La transizione ecologica in agricoltura

Maggio 19, 2021 1 Di storiedelbio

Nel momento in cui l’Unione Europea cerca in vari modi  (strategie Farm2Fork e Biodiversità, nuova PAC 2023) di orientare in senso agroecologico il modello di sviluppo agricolo dominante, molti si chiedono fino a che punto questi interventi saranno capaci di ottenere i risultati voluti ( ad es. vedi: https://www.slowfood.it/la-nuova-strategia-farm-to-fork-che-cose-e-come-funziona-tutto-quello-che-ogni-cittadino-europeo-deve-sapere/  ) e cercano giustamente di fare in modo che le risorse messe a disposizione vadano veramente a riconoscere le pratiche agroecologiche, in primis, l’agricoltura biologica (ad es. vedi: https://www.cambiamoagricoltura.it/wp-content/uploads/2019/12/Relazione-Camera-PAC-Piano-Strategico-Nazionale.-CambiamoAgricoltura-28-apr-2021_def_AM-1.pdf ).

Tuttavia la transizione dell’agricoltura convenzionale al biologico non può essere condotta esclusivamente per mezzo degli incentivi economici ma richiede anche un cambiamento culturale, una trasformazione delle forme, dei modi di fare agricoltura: di quelli che vengono definiti gli “stili agricoli”.

Per queste ragioni pubblichiamo qui di seguito un estratto dal discorso di commiato del professor J. Douwe van der Ploeg al momento del pensionamento come professore di Processi di transizione in Europa, presso la Wageningen University & Research del  26 gennaio 2017. ( Per il testo integrale si veda:  http://www.jandouwevanderploeg.com/EN/farewell-the-importance-of-peasant-agriculture-a-neglected-truth/  )

In questo discorso il professore, grande studioso dell’agricoltura contadina nel mondo, espone in modo sintetico ma efficace la storia recente dell’agricoltura convenzionale, le sue contraddizioni e la necessità di riconoscere e rivalutare l’agricoltura contadina. L’agricoltura contadina di cui l’autore ci parla è molto più diffusa di quanto comunemente si creda. La si può trovare non solo nelle aree interne e marginali ma persino nelle aree dove più è estesa la monocultura come ad esempio quelle risicole (e prossimamente cercheremo di documentarlo). Nelle vasta zona grigia compresa tra la tipica azienda agricola imprenditoriale e quella prettamente contadina vi è uno spazio enorme di innovazione colturale e culturale che va riempito senza lasciarsi attrarre da facili schematismi. Quel che è certo, come ci dice J. D. van der Ploeg, è che la transizione ecologica non potrà essere fatta senza i contadini.

L’importanza dell’agricoltura contadina: una verità trascurata

Jan Douwe van der Ploeg

( Discorso di commiato al momento del pensionamento come professore di Processi di transizione in Europa presso la Wageningen University & Research – 26 gennaio 2017 )

Nuove divisioni stanno emergendo all’interno dei numerosi e diversissimi sistemi agricoli che esistono nel mondo. Esse pongono notevoli minacce alla sovranità e alla sicurezza alimentare, ai mezzi di sussistenza di centinaia di milioni di persone e all’urgente necessità di mitigare il cambiamento climatico. Le espressioni direttamente visibili di queste nuove divisioni sono ovunque. In gran parte del Sud globale sono visibili nelle contraddizioni che esistono tra un piccolo segmento di aziende agricole impegnate nella produzione per l’esportazione e la grande maggioranza di produttori contadini che producono principalmente per i mercati interni. Le scarse risorse (terra, acqua, accesso ai mercati e ai servizi, sostegno politico, ecc.) sono sempre più sottratte all’agricoltura contadina e utilizzate nel polo agro-esportativo dell’economia. Questo comporta un aumento massiccio, e a volte scioccante, della povertà, della disoccupazione e della disperazione. Una divisione simile è venuta alla ribalta in Italia quando i COBAS, i comitati degli imprenditori agricoli, sono entrati in conflitto diretto con la maggioranza dei produttori di latte per la distribuzione delle quote latte. Gli stessi conflitti si possono vedere nei Paesi Bassi, dove una minoranza di grandi produttori di latte ha provocato un enorme problema agro-ambientale e socio-politico i costi del quale – secondo il principale sindacato degli agricoltori (LTO), il ministero dell’agricoltura, l’agroindustria e le banche –  dovrebbero essere pagati dalla maggioranza degli agricoltori olandesi. Questo ha provocato attriti e tensioni che non si erano mai visti prima. Solo un voto parlamentare ha evitato l’attuazione di questa proposta ridicola.

Questi tre esempi hanno un importante fattore in comune. Tutti illustrano le divisioni e i conflitti interni al settore dell’agricoltura familiare.

Fino a poco tempo fa, le principali minacce all’agricoltura contadina provenivano dall’agro business, dalle banche, dalle politiche con un forte orientamento urbano e/o dall’agricoltura aziendale [capitalistica – ndt]. Queste minacce venivano, schematicamente, dall’esterno. Le nuove divisioni sono decisamente diverse. Vengono, per così dire, dall’interno. Ciò è dovuto al fatto che il settore agricolo familiare si è sviluppato, negli ultimi decenni, lungo due percorsi divergenti. Uno è l’agricoltura contadina, l’altro è l’agricoltura imprenditoriale. Non c’è una differenza in bianco e nero. Tuttavia, ci sono, come sosterrò più avanti, importanti differenze tra queste due traiettorie e le realtà associate.

L’agricoltura familiare è un concetto utile in quanto si riferisce alle relazioni giuridiche. In un’azienda agricola familiare la famiglia possiede le risorse principali, il processo decisionale è situato all’interno della famiglia e la maggior parte del lavoro è fornito dalla famiglia. Questa definizione si concentra sul lato istituzionale ed è molto utile per distinguere l’agricoltura familiare dall’agricoltura aziendale. Tuttavia, lascia da parte la dimensione socio-materiale: la nozione (un po’ rassicurante) di agricoltura familiare non specifica come le risorse sono mobilitate, combinate e sviluppate o come la produzione è organizzata e sviluppata. Non comporta alcuna specificazione su come l’azienda agricola si relaziona con la natura o con la società. Per affrontare queste questioni è necessario un altro concetto: quello di stile agricolo. Uno stile agricolo specifica come sono strutturati i processi di produzione e di sviluppo. Uno stile agricolo mette in relazione lo schema di questi processi con il repertorio culturale dell’agricoltore e con l’insieme di relazioni che collegano l’azienda agricola ai mercati, alla tecnologia e alle politiche statali. Wageningen [l’Università – ndt] ha una ricca tradizione nella ricerca sugli stili agricoli. Questa tradizione ci ha aiutato a capire la grande eterogeneità che esiste nell’agricoltura, che va da stili di agricoltura più contadini a quelli più imprenditoriali. Ed è proprio nelle interfacce dei due che stanno emergendo le nuove divisioni.

L’agricoltura imprenditoriale è una grande minaccia per l’agricoltura contadina (che rappresenta la grande maggioranza degli agricoltori e delle aziende agricole) ed è in contrasto con le nuove scarsità che la società in generale sta affrontando (clima, acqua, occupazione, cibo). Ciononostante, sotto il velo di rivolgersi a tutti gli agricoltori familiari, le politiche agricole sono sempre più modellate in un modo che convoglia principalmente, se non esclusivamente, i benefici verso il polo imprenditoriale, mentre i costi sono distribuiti su tutte le aziende o addirittura pagati principalmente dal polo contadino. Il discorso mainstream impiega una serie di giustificazioni per questo. Tuttavia, in questo discorso sosterrò che tali politiche distorte possono essere paragonate a scommettere su un cavallo zoppo.

Agricoltura contadina e imprenditoriale

L’agricoltura contadina è un’istituzione di terra-lavoro che esiste da migliaia di anni. Essa lega terra e lavoro in modo distintivo e sostiene un modo di fare agricoltura che non solo è stato in grado di affrontare i tempi che cambiano, ma che è anche in grado di adattarsi con successo a una impressionante varietà di condizioni ecologiche e socio-economiche contrastanti. È stato rappresentato in molti modi diversi e molte narrazioni diverse sono state impiegate per annunciare la sua imminente scomparsa. Tuttavia, oggi ci sono più contadini che mai e il futuro del mondo dipende criticamente da loro: uno dei motivi è che l’agricoltura contadina fornisce al mondo almeno il 70% del suo cibo (Samberg et al, 2016).

L’agricoltura contadina può essere definita come fondata su una base di risorse auto controllate. Vale a dire che le risorse necessarie per produrre cibo, fibre o quant’altro sono in gran parte disponibili nella fattoria stessa. Queste risorse fanno parte del patrimonio della famiglia contadina e passano da una generazione all’altra. La base di risorse auto controllate abbraccia la natura vivente che si incarna nella terra, nelle colture, negli animali e nell’ecosistema locale e la capacità degli agricoltori di conoscere, trattare, sviluppare e convertire la natura vivente in cibo. Avere una tale base di risorse permette l’autonomia e il controllo della produzione e dello sviluppo. La base di risorse auto controllata rappresenta uno “spazio di manovra” che, come sostiene Norman Long (2001), permette ai produttori contadini di andare controcorrente. I cicli chiusi (cioè il bestiame che produce letame che va nei campi e nella terra, nei raccolti, nel mangime per il bestiame e di nuovo nel bestiame) giocano un ruolo cruciale: allargano l’autonomia. Il letame di buona qualità prodotto dall’allevamento implica che non c’è bisogno, o ce n’è molto poco, di acquistare concime.  Una buona produzione di erba da prato permette il lusso di non comprare, o comprare molto pochi,  mangimi concentrati. Un’alimentazione bene equilibrata crea meno stress e aumenta la longevità nella mandria. L’allevamento e la selezione degli animali avvengono per lo più  all’interno dell’azienda, e  questo riduce i rischi di importare problemi di salute. L’agricoltura contadina è “una coltivazione delicata” (Zuiderwijk, 1998), ma al tempo stesso altamente produttiva (Larson et al., 2012). L’agricoltura contadina si prende cura della natura e si preoccupa anche dei legami che la collegano alla società più ampia.

Le aziende agricole hanno molti equilibri diversi e la chiave del successo di un’azienda agricola contadina è il raggiungimento di un buon equilibrio (Chayanov, 1925). Questo vale non solo per gli equilibri agronomici (tra, per esempio, la capacità di carico della terra e il numero di animali) ma anche per gli equilibri socio-economici. La forza lavoro disponibile nella fattoria familiare e la capacità produttiva sono combinate in modo attento e periodicamente regolate. Anche la capacità di risparmio e il ritmo di crescita sono equilibrati. Tutto questo avviene secondo repertori culturali che sono parte integrante dei diversi stili agricoli. Un’azienda agricola ben bilanciata, ovunque essa sia, è percepita come una “bella azienda agricola” e quando si arriva a un saldo positivo della capacità di risparmio e di crescita (cioè il saldo delle attività e dei debiti) l’azienda sarà indicata, almeno dagli agricoltori frisoni, come una “azienda libera” (Ploeg, 2013). Avere un’azienda agricola equilibrata e libera è, come hanno dimostrato i tempi recenti, molto rilevante in tempi di crisi: si traduce in resilienza. Allo stesso tempo si scopre che questo tipo di fattoria è molto apprezzato dalla società in generale.

Queste caratteristiche sono alla base dei molti punti in comune che si possono trovare tra l’agricoltura contadina in Europa e l’agricoltura contadina nel Sud del mondo. Mentre ci possono essere molte differenze nel livello di reddito, nel benessere, nelle prospettive e nella posizione sociale, i modi in cui i contadini strutturano la produzione e lo sviluppo delle loro aziende sono fondamentalmente gli stessi. L’agricoltura contadina non è limitata al Sud globale. C’è anche molta agricoltura contadina nel Nord del mondo. Tuttavia la scienza istituzionalizzata ha perso la sua capacità di riconoscere l’agricoltura contadina, di rappresentarla teoricamente e di sostenerla adeguatamente.

L’agricoltura imprenditoriale è strutturata in un modo molto diverso da quello dell’agricoltura contadina. In primo luogo non si basa su una base di risorse autonome. Si basa invece su flussi più o meno costanti di merci  Le risorse principali, come il mangime e il foraggio per il bestiame, i fertilizzanti, i giovani animali per sostituire quelli più vecchi e le sementi, sono principalmente, se non completamente, acquistate da diversi mercati invece di essere prodotte (e riprodotte) nella fattoria  stessa o nella comunità agricola più ampia. Lo stesso vale per le conoscenze, i servizi di macchine e la capacità di finanziare macchinari, attrezzature, edifici e, più in generale, lo sviluppo dell’azienda: qui il credito ha definitivamente preso il posto del risparmio [1] generato nell’azienda stessa. Tutto ciò implica che l’agricoltura imprenditoriale è diventata fondamentalmente un’operazione finanziaria: si tratta di denaro investito nell’acquisto di risorse necessarie per una produzione che ha lo scopo  di  ottenere altro denaro per far fronte alle passività finanziarie. Questo è fondamentalmente diverso dalla logica dell’agricoltura contadina dove la natura e il lavoro sono combinati per produrre in modo efficiente cibo per il mercato.

L’agricoltura imprenditoriale ha dato origine a nuove identità. Il tipico imprenditore agricolo non è più principalmente il contadino esperto che ama l’agricoltura. Lui o lei tende a diventare un commerciante, un manager e, sì, un po’ uno speculatore.

All’inizio degli anni ’70 raccoglievo barzellette raccontate in campagna. Col senno di poi è significativo che molte riguardassero il rapporto tra agricoltori e banche. Una di queste riguarda un contadino che chiama il direttore della sua banca: “Me ne vado a fare una vacanza”, dice il contadino. “Bene, buon per te”, risponde il banchiere, “ma perché dirlo a me”. “È ovvio”, risponde il contadino, “visto che la maggior parte di queste mucche sono tue, ora voglio che ti occupi della tua parte di mungitura. A me sembra normale”. La gente spesso usa le barzellette per esplorare, nuove situazioni di disagio ed esprimere il proprio disagio. Al giorno d’oggi è difficile sentir raccontare barzellette. Alti livelli di indebitamento sono la nuova norma. I debiti totali delle aziende agricole olandesi (esclusi i prestiti all’interno della famiglia) ammontano a 30 miliardi di euro. Questo è da 10 a 15 volte il reddito agricolo totale guadagnato in queste aziende (che oscilla tra i 2 e i 3 miliardi all’anno).

La genesi del progetto imprenditoriale

L’agricoltura imprenditoriale è stata creata da, e attraverso, il progetto di modernizzazione da parte dello Stato. La modernizzazione è un mega progetto che è guidato dallo stato e che richiede l’intervento determinante dello stato. [2] È un’operazione organizzata, multi livello e di lunga durata per allineare l’agricoltura agli interessi globali del capitale e agli interessi specifici delle industrie agricole e alimentari. Nel nord-ovest dell’Europa questo progetto è iniziato dopo la seconda guerra mondiale, ha preso slancio durante gli anni ’50 ed è diventato egemonico alla fine degli anni ’60. Nel Sud del mondo, progetti simili sono stati portati avanti sotto le bandiere della Rivoluzione Verde e dello “sviluppo rurale integrato”.

La scienza ha giocato un ruolo importante nei processi di modernizzazione, nella rivoluzione verde e nello “sviluppo rurale integrato”. Più specificamente si può sostenere che il ruolo della scienza è stato decisivo nella genesi e nello sviluppo dell’agricoltura imprenditoriale,sia strumentalmente che ideologicamente. Ha raggiunto questo ruolo decisivo ridefinendo l’agricoltura. Nell’agronomia classica l’agricoltura era intesa come “ciò che i contadini facevano”. Negli anni ’30 le scienze agrarie hanno iniziato a percepire l’agricoltura come un’applicazione delle leggi della biologia, della chimica, della fisica e dell’economia. L’applicazione delle leggi alla base di queste discipline ha portato alla costruzione e allo sviluppo di tecnologie e modelli organizzativi progettati per ‘migliorare’ e ‘sviluppare’ l’agricoltura. Come ha riassunto Koningsveld: “La scienza agraria si impegna nella ricerca sistematica dei processi naturali rilevanti per l’agricoltura come dipendenti dalle condizioni da creare attraverso interventi tecnici” (1986:46). Ciò di cui la scienza ha spogliato l’agricoltura è l’uomo, il lavoro, il suolo e la biologia del suolo. La scienza non era, e in gran parte ancora non è, in grado di trattare con queste entità imprevedibili e quindi le ha lasciate fuori dall’equazione.

Mazoyer e Roudart (2006) hanno scritto una storia interessante dell’agricoltura mondiale. Quando si riferiscono al periodo precedente la seconda guerra mondiale, parlano di ‘les paysans’. Tuttavia, nella loro descrizione dei decenni dopo la guerra questi contadini sembrano essere scomparsi: quando descrivono questo periodo non usano più la parola contadino. Un altro storico, Eric Hobsbawn ha dichiarato che il dopoguerra è l’epoca della “morte dei contadini”. Da un punto di vista intellettuale è intrigante fare riferimento ai grandi studiosi che hanno vissuto e lavorato in quel periodo, che hanno contribuito a plasmare la transizione che ha avuto luogo. Mendras (1984), Hofstee (1966), e molti altri grandi intellettuali si sono dati molto da fare per specificare la differenza tra i contadini e quei nuovi imprenditori agricoli che avrebbero dovuto costituire la promessa per il futuro. Esaminiamo brevemente il loro ragionamento.

In primo luogo c’era il rapporto con la terra. I contadini erano legati alla terra. Amavano la loro terra, ma a volte la odiavano anche. La terra era la testimonianza del sangue, sudore e lacrime loro e dei loro antenati, dei loro continui sforzi per migliorare la biologia e la fertilità del suolo. I contadini conoscevano la loro terra, ogni suo angolo. Loro stessi avevano fatto del suolo quello che era, era il loro orgoglio, a volte la loro maledizione. Ed erano decisamente esperti in materia. Tuttavia, l'”imprenditore agricolo” aveva, secondo Mendras, un rapporto molto diverso con la terra perché poteva fare ampio uso di fertilizzanti chimici e delle scoperte della scienza applicata del suolo. Così il cordone ombelicale che univa il contadino e la sua terra fu tagliato.

In secondo luogo, il nuovo imprenditore dovette affrontare la necessità e la sfida di nuovi investimenti. Nel corso della storia agraria ci sono sempre stati investimenti nel lavoro, ma ora il trattore, la mietitrebbia e i nuovi edifici richiedevano enormi investimenti finanziari: Si dovevano acquisire nuove tecnologie e questo comportava un terzo cambiamento: era necessario il credito per finanziare le nuove tecnologie. Nella tradizione olandese, guidata da Hofstee e van den Ban, la paura o l’accettazione del credito era la linea di demarcazione tra i due gruppi di agricoltori: i contadini evitano il credito il più possibile, mentre gli imprenditori lo abbracciano e lo fanno diventare lo strumento principale per lo sviluppo dell’azienda.

L’ampio uso del credito ha portato un quarto cambiamento. Ha obbligato i contadini a diventare “imprenditori”. Dovevano “jouer le jeu économique moderne” (Mendras 1984 p.171). Questo implicava un nuovo calcolo, che differiva fondamentalmente da quello dei paysans, riassunto in “être libre, manger son pain et respecter la nature” (ibid p. 171). Per Mendras, questo atteggiamento non implicava assolutamente che i contadini rappresentassero la stagnazione. Scriveva infatti: “il buon contadino dispone dei mezzi di produzione necessari, lavora molto duramente e migliora la propria condizione ” (ivi, p. 181). 

Un quinto cambiamento, secondo Mendras, riguardava il contesto in cui operavano i contadini. I contadini erano soggetti a un’economia morale di costrizioni che dominava le comunità contadine, al contrario si riteneva che i nuovi imprenditori fossero liberi, senza vincoli, e capaci di prendere decisioni razionali.

A questo punto è interessante fare riferimento al lavoro del grande Bruno Benvenuti. In modo meticoloso egli ha spiegato come i nuovi imprenditori fossero a loro volta vincolati  da un TATE (Technological- Administrative Task Environment) che prescriveva e sanzionava le loro scelte. Più in generale, Benvenuti (1990) notava che l’imprenditorialità in agricoltura era raramente definita in positivo. Rimaneva una definizione in negativo. Si diceva che gli imprenditori non operano più come contadini. Tuttavia, il concetto di agricoltore imprenditore non era tradotto in una descrizione chiara che specificasse come fare “buoni affari” con l’agricoltura. Il libero imprenditore si è rivelato essere una finzione, un “agricoltore virtuale” costretto ad attuare le pratiche prescritte dagli scienziati e dai responsabili della politica agricola. In modo significativo Benvenuti (1983) ha intitolato la sua indagine sull’imprenditorialità: “alla ricerca di un fantasma”.

Mi addentro in questi aspetti della storia per sostenere che oggi stiamo assistendo a una sorta di inversione a U. Mentre i protagonisti della modernizzazione hanno liquidato il legame tra l’uomo e la terra come irrilevante, attualmente stiamo assistendo a un ritorno alle specificità del suolo, del locale e del contadino consapevole. Il bellissimo discorso di commiato tenuto in questa sede da Lijbert Brussaard (2016) ne è un esempio. L’agroecologia, ormai un movimento sociale diffuso, è un altro (Altieri et al., 2011). La fertilità del suolo non può essere mantenuta solo con fertilizzanti chimici, anche la biologia del suolo è cruciale. Il suolo non è qualcosa che è lì dalla Genesi. È, come hanno sostenuto Johan Bouma (1993) e Martijn Sonneveld (2004), una fenoforma: il risultato della co-produzione, dell’interazione continua tra l’uomo e la natura vivente. Di conseguenza, la conoscenza del suolo non può essere standardizzata e incapsulata in categorie generali astratte. E’ determinante  lavorare il suolo per averne una reale conoscenza.

Lo stesso vale per il credito. Conosciamo ora i terribili pericoli che derivano dalla finanziarizzazione, così come conosciamo ora, molto meglio, i pericoli de ‘le jeu économique moderne’. Ora più che mai conosciamo la verità dell’osservazione di Polanyi: “lasciare il destino del suolo e delle persone al mercato equivarrebbe ad annientarli” (1957:131 ) .

C’è ironia in questa storia. Gli scienziati e i politici hanno ignorato l’importanza di prendersi cura del suolo e di avere un forte legame con esso e hanno ritenuto che gli agricoltori riluttanti a contrarre debiti elevati si sarebbero condannati all’irrilevanza economica. Questo ha permesso loro di cancellare, almeno concettualmente, i contadini. Tuttavia, 5 o 6 decenni dopo, queste stesse caratteristiche giocano di nuovo un ruolo centrale nel dibattito: sono il cuore della crisi agraria di oggi. La fertilità del suolo è diminuita enormemente in molte parti del mondo, mentre i debiti dei contadini e la mancanza di volontà o incapacità delle banche di rifinanziarli rappresentano un’altra grande minaccia alla continuità della produzione alimentare. In breve: il modello imprenditoriale, che prometteva di rendere ridondante il contadino, ha fallito proprio dove si pensava fosse superiore: superare i limiti dell’ecosistema e cavarsela unicamente con la logica dei mercati. Di conseguenza, si sostiene ora che abbiamo di nuovo bisogno del contadino. Non il contadino di ieri, ma i contadini del XXI secolo (Ventura e Milone, 2007). La loro cura e conoscenza della terra e la loro prudenza nel trattare con il mercato dei capitali sono ingredienti molto necessari nell’agricoltura di oggi. Questo desiderio di far tornare i contadini nell’agricoltura è stato accompagnato dall’intuizione che i contadini, di fatto, non sono mai scomparsi – abbiamo solo smesso di riconoscerli.

Questo riesame delle fonti intellettuali del progetto di modernizzazione, che avrebbe dovuto trasformare i contadini in imprenditori o, in caso contrario, farli sparire, dovrebbe anche far nascere un appello alla modestia. La scienza spesso pretende facilmente di fornire cambiamenti e soluzioni onnicomprensivi. Sostiene e contribuisce volentieri ai mega progetti (Scott 1998). L’Università di Wageningen attualmente eccelle in tutto questo. Ma la storia insegna che dovremmo essere più modesti e che il dibattito interno, la riflessione e la critica sono più necessari che mai. La storia mostra anche che cose come la tanto sbandierata ‘identità aziendale’ e la filosofia ‘One Wageningen’ sono potenzialmente molto pericolose.

Gli ampliamenti di scala come  ‘fuga in avanti”

La dipendenza dell’agricoltura imprenditoriale dal mercato dei capitali ha conseguenze di vasta portata. In primo luogo significa che gli artefatti tecnologici non sono più strumenti per facilitare e migliorare il processo di produzione, ma entrano nella fattoria e funzionano come capitale che deve essere valorizzato. Edifici, terreni, tecnologie, animali e altre risorse non sono più patrimonio (come nell’agricoltura contadina) ma, essendo fondati sul credito, cominciano a funzionare come “capitale” che deve generare un “profitto” per permettere i rimborsi, gli interessi (e per nuove linee di credito). Si tratta di un cambiamento fondamentale all’interno dell’agricoltura: questa finanziarizzazione, come viene ora chiamata, ha portato ad un cambiamento diffuso, anche se lontano dall’essere totale e completo,  verso l’agricoltura imprenditoriale.

Il ruolo centrale del capitale nell’agricoltura imprenditoriale implica che lo sviluppo di un’impresa agricola diventa, come hanno osservato i colleghi francesi, “une fuite en avant” . Il capitale induce la necessità di espandere continuamente l’azienda. Questo è specialmente il caso quando i mercati sono volatili: i margini relativamente bassi e la prospettiva di improvvisi cali nei livelli di prezzo trasformano gli aumenti di scala continui, se non accelerati, in una necessità materiale.

Questi aumenti di scala avvengono attraverso le acquisizioni. Le aziende agricole imprenditoriali si espandono rilevando le risorse (terra, quote di produzione, quote di mercato , marchi ) di altri spinti fuori dal settore agricolo. Questo si traduce in uno sviluppo agricolo  regressivo: il valore aggiunto netto totale si riduce e contemporaneamente viene ridistribuito in modo più disuguale. Questo rappresenta un netto contrasto con i modelli di sviluppo di tipo contadino che ampliano il valore aggiunto netto totale del settore primario nel suo complesso e garantiscono un certo grado di equità.

Questo contrasto è stato dimostrato in modo chiaro e convincente da una ricerca a lungo termine condotta dal Centro Nazionale di Ricerca Applicata all’Allevamento di Lelystad (Kamp e Haan, 2004; Evers et al., 2007). Nella seconda metà degli anni ’90 è stato fatto un confronto tra la gestione di un’azienda agricola in un modo “a basso costo” simile a quello dei contadini e quella in un modo “hi-tech” simile a quello degli imprenditori. Entrambe le fattorie erano progettate per ottenere un livello di reddito paragonabile alla media urbana ed entrambe erano progettate per essere gestite da una sola persona. Queste erano le somiglianze. In tutti gli altri aspetti le due fattorie differivano significativamente: il livello tecnologico, la razza degli animali, l’uso degli input, ecc. In effetti, queste differenze riflettevano le differenze empiriche tra lo stile contadino e quello imprenditoriale dell’agricoltura nei Paesi Bassi. Il risultato è stato sorprendente: entrambe le aziende hanno prodotto lo stesso reddito, ma l’azienda imprenditoriale aveva bisogno di una quota di produzione doppia rispetto a quella dell’azienda contadina (800.000 contro 400.000 kg. di latte all’anno) per farlo. Se proiettiamo questo all’economia lattiero-casearia dei Paesi Bassi nel suo complesso, questo indica, almeno teoricamente, che c’è un enorme spazio di manovra. Secondo questi risultati della ricerca, la produzione totale dell’industria lattiera olandese a metà degli anni 90 (10 miliardi di kg. di latte) potrebbe essere fornita da 12.500 a 25.000 aziende. Questo è tutt’altro che irrilevante. Il passaggio da forme di produzione di tipo contadino all’agricoltura imprenditoriale riduce sostanzialmente l’occupazione e il reddito totale generato – non solo una volta ma  continuamente.

Questi confronti dovrebbero portarci a concludere che l’agricoltura imprenditoriale è un’opzione molto costosa. Può essere un’opzione attraente per le banche, le agro-industrie e la grande distribuzione. Tuttavia, per i contadini coinvolti si rivela spesso una realtà ben lontana dalle aspettative.

L’importanza dell’agricoltura contadina

Alcuni anni fa il gruppo di esperti di alto livello (2013) del Comitato per la sicurezza alimentare mondiale della FAO ha discusso la necessità di investire nella piccola agricoltura, sottolineandol’importanza dell’agricoltura contadina.L’agricoltura contadina, sosteneva il panel, contribuisce positivamente alla sicurezza alimentare, allo sviluppo economico generale, all’occupazione e al reddito, alla produttività, alla sostenibilità, al paesaggio, alla biodiversità, al clima, all’emancipazione e al patrimonio culturale. L’agricoltura contadina non solo contribuisce positivamente, ma contribuisce molto di più di altri modi di fare agricoltura, sia nel Nord che nel Sud del mondo. In una recente serie di studi (organizzati e pubblicati dalla FAO) [3] sull’agricoltura familiare in diversi continenti questo è stato ribadito in modo convincente. L’agricoltura contadina è importante per il mondo, se solo ha lo spazio, lo spazio di manovra, per fare la sua parte . Negare ai contadini tale spazio non è solo una minaccia diretta al sostentamento di centinaia di milioni di persone in tutto il mondo: pone anche serie minacce alla sicurezza alimentare, alla sostenibilità, allo sviluppo economico generale, ecc. Tuttavia, l’agricoltura imprenditoriale e le politiche che la sostengono stanno continuamente e voracemente divorando questo spazio (Ploeg, 2008).

L’emancipazione: una sfida ancora incompiuta

La storia agraria dell’Europa ha visto importanti episodi durante i quali i poveri senza terra cercavano il più possibile di ottenere un piccolo pezzo di terra per iniziare a coltivare e ottenere così almeno un minimo di autonomia, dignità e benessere. Mio nonno (porto orgogliosamente il suo nome) era uno di loro. Era un lavoratore rurale che viaggiava avanti e indietro dalla Frisia alla Germania e all’Olanda per guadagnarsi da vivere mungendo le mucche e raccogliendo il fieno, per altri. Durante uno di questi viaggi incontrò una giovane donna che più tardi sarebbe diventata mia nonna. Si fidanzarono e rimasero tali per sette anni. Questo era il tempo necessario per risparmiare abbastanza per avere una mucca da latte e un maiale. Avere una mucca e un maiale era considerato, a quel tempo, il requisito minimo per stabilirsi, affittare un pezzo di terra, sposarsi, avviare una piccola fattoria e crescere una famiglia. Avere la loro piccola fattoria e svilupparla attraverso il duro lavoro era il loro orgoglio e ha permesso loro di mandare un figlio alla scuola secondaria e poi all’università per insegnanti. Questo figlio divenne maestro di scuola che, a sua volta, poté mandare un figlio all’università agraria. Così procede l’emancipazione,  ed è precisamente ciò che l’attuale strutturazione della produzione, della trasformazione, del commercio e del consumo di alimenti nega a molti milioni di altre persone, che hanno un estremo bisogno di emancipazione.

L’agricoltura contadina permette l’emancipazione ed è anche il risultato dell’emancipazione. Le basi di risorse auto controllate sono state costruite attraverso lotte sociali plurime e continuamente ripetute. In molti luoghi del mondo uomini e donne continuano a lottare per la terra, i semi, l’acqua, l’accesso ai mercati e ai servizi. Una volta che tale base di risorse auto controllate è costruita, le aspirazioni emancipatorie delle persone (ad esempio migliorare il proprio sostentamento, creare nuovi punti di partenza per i bambini, ecc.) diventano il principale motore della crescita e dello sviluppo agricolo. I miglioramenti simultanei della produzione (in quantità e/o qualità) e il miglioramento dei mezzi di sussistenza sono le ruote che fanno avanzare la storia agraria e forniscono cibo a una popolazione mondiale in continua crescita.

Non c’è alcun motivo per sostenere che il ruolo emancipatore dell’agricoltura contadina sia finito (o che le crescenti economie urbane possano assumere completamente questo ruolo). In America Latina, Asia e Africa non è assolutamente così. Nei decenni a venire, ci saranno centinaia di milioni di giovani che avranno bisogno di sviluppare le loro possibilità di vita nel mondo rurale. Nell’area mediterranea c’è già un forte flusso di giovani verso le campagne che stanno sviluppando aziende agricole incredibilmente nuove (Morel, 2016). E, qui in Olanda, tutti si lamentano che gli agricoltori sono sempre più vecchi, ma nessuno apre effettivamente la porta ai giovani.

L’emancipazione non arriva mai come un semplice regalo: non avviene mai senza lotta socio-politica. Lo spazio necessario deve essere conquistato e poi difeso. Qui voglio fare tre osservazioni. La prima riguarda i punti di forza e di debolezza dei movimenti contadini. I contadini possono sembrare situati ai margini: sono piccoli e possono essere facilmente trascurati. Tuttavia, sono allo stesso tempo centrali nella fornitura di cibo. Sono contemporaneamente periferici e centrali: deboli e forti. Entrambe le cose sono vere, poiché ci troviamo di fronte a realtà contraddittorie che cambiano continuamente. Ma attraverso questi cambiamenti corrono alcune importanti continuità. La forza socio-politica dei movimenti contadini è radicata in due diritti comunemente condivisi (o “beni comuni”). Questi sono l’accesso alla terra, all’acqua, alle sementi o più in generale: l’accesso alla natura. Questo è un diritto innegabile che costituisce un  bene comune . L’altro è il diritto al cibo, il diritto di godere del cibo e il diritto associato di impegnarsi direttamente con i produttori di cibo. Questi due beni comuni, l’accesso alla natura e il diritto al cibo, sono centrali per la civiltà, e questo dà ai movimenti contadini un’enorme forza potenziale e la possibilità di allearsi con altri.

In secondo luogo, dobbiamo tenere a mente che le lotte contadine non avvengono solo attraverso manifestazioni, blocchi stradali, bruciando un McDonalds o distruggendo campi sperimentali con OGM. Si manifestano anche come pratiche costruttive e innovative che mirano a trasformare la produzione, la trasformazione e la distribuzione e che insieme portano con sé il potenziale di una transizione completa. Le singole pratiche potrebbero sembrare insignificanti – almeno per lo scienziato e il politico – ma insieme potrebbero comporre un’importante forza socio-politica e una promessa per il futuro.

La mia terza osservazione riguarda il significato sociale dei movimenti e delle lotte contadine. Essi rappresentano attualmente la principale antitesi alle reti globali e oligopolistiche che controllano sempre più la produzione, la trasformazione, la distribuzione e il consumo di cibo. Laddove tali imperi alimentari controllano i mercati, i movimenti contadini stanno creando nuovi mercati contadini e difendono il principio della sovranità alimentare. Dove gli imperi alimentari mirano a monopolizzare il materiale genetico, i movimenti contadini difendono l’accesso democratico alla natura vivente. Dove gli imperi alimentari inducono attivamente la povertà e la marginalità, i movimenti contadini lottano per l‘emancipazione. In breve: i movimenti contadini sono una parte indispensabile dei controlli e degli equilibri che mantengono le nostre società vivibili.

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L ‘attenzione politica sulle grandi aziende agricole e l’assegnazione preferenziale di opportunità di sviluppo ad esse – sancita dalle politiche agricole – non è altro che scommettere su un cavallo zoppo.

La scomparsa dell’agricoltura imprenditoriale

Le questioni qui discusse hanno conseguenze che riguardano la società nel suo complesso. Le aziende agricole imprenditoriali sono molto sintonizzate sui  mercati e dipendenti dall’ambiente istituzionale in cui operano . È così che ottengono il massimo. Tuttavia, essere meticolosamente sintonizzati sui mercati e sulle istituzioni (politica compresa) rende il segmento imprenditoriale piuttosto vulnerabile, se non fragile. Ogni volta che ci sono cambiamenti imprevisti e/o bruschi nel contesto economico e istituzionale questo segmento cade “fuori linea” e ha poca capacità di adattarsi  perché ha imboccato un percorso a senso unico.  Le turbolenze possono quindi diventare una grande minaccia per l’approvvigionamento alimentare – proprio perché l’agricoltura imprenditoriale, a differenza di quella contadina, ha una capacità limitata di assorbire gli shock. Al contrario, li amplifica. Stalle vuote e grandi campi che giacciono sterili (come si può vedere in ampie parti del Sudafrica, dell’America Latina e dell’Asia) esemplificano questa vulnerabilità. Ma queste scene potrebbero non essere lontane neanche in Europa. Nel 2008/2009 i produttori di latte hanno affrontato una drastica riduzione del prezzo del latte. Di conseguenza, molte aziende hanno vissuto un periodo prolungato di flusso di cassa negativo. Questo è stato particolarmente problematico per le aziende specializzate, intensive e di grandi dimensioni che si erano espanse rapidamente negli anni precedenti e che di conseguenza avevano alti livelli di indebitamento (Oostindie et al., 2013; Dirksen et al., 2013), Nell’ultimo anno (2016), il 72% di tutte le aziende lattiero-casearie olandesi ha avuto problemi di flusso di cassa. Se non fosse per i pagamenti diretti della PAC (53.260 euro all’anno per le grandi aziende contro i soli 6.780 per le piccole aziende) queste aziende imprenditoriali, che si dice siano competitive, sarebbero fallite anni fa. In sintesi: l’agricoltura imprenditoriale non è a prova di terremoto. Può crollare troppo facilmente. Se, e quando, questo accadrà, influenzerà certamente negativamente l’approvvigionamento alimentare.

Ri-contadinizzazione

La globalizzazione, la deregolamentazione, l’ascesa dell’agricoltura imprenditoriale, le politiche statali squilibrate, la crescente egemonia degli imperi alimentari e, più recentemente, la nuova ondata di land grabbing (Ploeg, Franco e Borras, 2015) hanno sconvolto le prospettive di molti milioni di famiglie contadine. In molti luoghi questo ha portato a forti processi di “de-contadinizzazione”. Ciononostante, non dobbiamo dimenticare che i tempi recenti hanno visto anche robusti processi di  ri-contadinizzazione in altri luoghi. Nel 1979 nell’Anhui, i lavoratori rurali cinesi hanno sfidato la tirannia del collettivismo e hanno così provocato un processo  che ha portato alla creazione di 200 milioni di nuove unità agricole contadine. Il Brasile è stato il luogo di un altro spartiacque: attraverso le occupazioni delle terre e i successivi campamentos il MST (Movimento dos Sem Terra) ha generato 400.000 nuove unità di produzione contadina che, nel  loro insieme, coprono una superficie pari alla superficie agricola totale di Svizzera, Portogallo, Belgio, Danimarca e Paesi Bassi presi insieme.

L’Europa, a sua volta, ha assistito all’ampio sviluppo della multifunzionalità, all’ulteriore dispiegamento dell’agricoltura a basso input esterno (che oggi viene portata avanti sotto il logo dell’agro-ecologia) e alla creazione di nuovi mercati (Hebinck, et al.,2015). Questi nuovi meccanismi di sviluppo sono tutti emersi come risposte alla pressione sull’agricoltura esercitata dagli imperi alimentari e si sono tradotti simultaneamente in una ri-contadinizzazione: vale a dire che l’agricoltura sta tornando ad essere più contadina e sta anche attirando nuovi ingressi, soprattutto giovani che stanno allargando i ranghi dei contadini. È importante sottolineare che la trasformazione degli alimenti in azienda, l’agriturismo, la gestione della natura e del paesaggio da parte degli agricoltori, la creazione di nuovi mercati, ecc.  non sono solo attività aggiuntive all’agricoltura. Al contrario, contribuiscono a ridisegnare l’agricoltura. Sono un’espressione del “fare agricoltura in modo diverso”, come dimostrato in modo convincente da Henk Oostindie (2015) . È un’agricoltura che si differenzia decisamente dall’industrializzazione imprenditoriale dell’agricoltura. È un’agricoltura che torna ad essere più ‘gentile’.

Infinec’è la costruzione e lo sviluppo de La Via Campesina, il fiero, robusto e forte movimento contadino globale che combina una notevole potenza intellettuale e di immaginazione con una  considerevole capacità di esercitare autorevolezza.

Questi principali cambiamenti storici sono, a mio avviso, legati da un unico filo conduttore: il desiderio di molti milioni di produttori di essere indipendenti e autonomi, di prendere le distanze dai soffocanti protocolli che ci vengono sempre più spesso  imposti, e di costruire le proprie basi materiali ed economiche per poter sia condurre una vita migliore che contribuire alla società nel suo complesso.

Una verità trascurata

La dipendenza da un percorso predefinito  fa sì che le alternative che si staccano dalla corrente principale sembrino irrilevanti o che non valga la pena considerarle seriamente. La dipendenza da tale percorso fa apparire la storia come una traiettoria inevitabile che non può essere alterata. La dipendenza dal percorso porta le persone a credere che semplicemente non ci siano alternative (e, in effetti, per coloro che vi restano  materialmente intrappolati, questo è vero). L’immagine dell’inevitabilità emerge soprattutto quando le università restringono il loro orizzonte di rilevanza a ciò che trovano interessante e promettente: il mega progetto in corso di realizzazione di stato, scienza e capitale (Scott, 1998). [6] Quando questo accade, le pratiche che differiscono da questa visione non vengono studiate e questo contribuisce a renderle invisibili. Naturalmente, c’è un prezzo da pagare per questo. Parte del prezzo è che la scienza si perde le molte novità che fioriscono al di fuori della parte limitata della realtà delineata dal suo ristretto orizzonte di pertinenza.

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Verso cosa ci stiamo dirigendo?

Ci stiamo muovendo [7], credo, verso un’agricoltura fatta di molte fattorie contadine che collaborano reciprocamente e che sono fortemente incorporate e intrecciate all’economia regionale attraverso “mercati nidificati” di nuova costruzione (Ploeg, Ye e Schneider, 2012). Queste fattorie sono elementi indispensabili all’interno dell’economia circolare che dobbiamo costruire. Abilità, gioia, cura e delicatezza sono aspetti fondamentali in queste fattorie. Fanno un ampio uso delle nuove tecnologie che permettono una trasformazione su piccola scala e locale degli alimenti e delle materie prime. Gli attori coinvolti si identificano orgogliosamente come “contadini del XXI secolo” (Ventura e Milone, 2007) o come “neo-paysans” (d’Allans e Leclair, 2016). Nel Nord globale questa nuova agricoltura è sentita come un sollievo, come un lusso – perché possiamo permetterci di andare oltre le rozze agro-fabbriche che alcuni promuovono. Nel Sud globale è ugualmente sentita come un sollievo – ma per un’altra ragione.
Un’agricoltura contadina generalizzata offre a molti milioni di persone i mezzi di sussistenza migliori e le possibilità di emancipazione che hanno desiderato così a lungo.

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Gli studi contadini stanno ora integrando sia il sociale che il tecnico; sono in grado di comprendere l’agricoltura contadina del Nord globale e del Sud globale all’interno dello stesso quadro teorico; hanno materialmente influenzato lo sviluppo dei nostri settori agricoli; sono in grado di contribuire vividamente ai dibattiti internazionali; e stanno aiutando a trovare, in diverse località, nuovi accordi istituzionali che aiutano a rafforzare l’agricoltura contadina in modi nuovi e produttivi (Roep, 2000; Daniel, 2011). Accanto a questo vediamo che, inizialmente piccole, le iniziative contadine (come le prime associazioni per la gestione agricola della natura e del paesaggio, i primi esperimenti di autoregolamentazione locale, i primi mercati contadini e le prime fattorie multifunzionali) sono ora costellazioni solide e convincenti.

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Note

[1] Gli investimenti in manodopera (per migliorare la qualità del suolo, costruire i propri edifici o attrezzature, ecc.) e l’acquisto di macchinari di seconda mano giocano un ruolo simile.

[2] La principale contraddizione dell’agricoltura di oggi (e soprattutto delle politiche agricole) è probabilmente che, da un lato, lo Stato incoraggia la riproduzione del progetto di modernizzazione mentre, dall’altro, si ritira dai mercati. Questa contraddizione si riflette nell’incapacità delle grandi imprese agricole intensive e in rapida crescita di rispondere adeguatamente alla volatilità dei mercati deregolamentati e globalizzati.

[3] Pubblicato dall’International Policy Centre for Inclusive Growth (IPC-IG) del Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP) e disponibile su www.ipc-undp.org

[6] Le caratteristiche di questo  mega progetto mirano a costruire un futuro che differisce radicalmente dalle realtà empiriche che conosciamo ora. Ed è parimenti scollegato dalle esperienze, dai punti di vista, dalle prospettive e dalle aspirazioni emancipatorie dei molti milioni di persone coinvolte in queste realtà.

[7] Questa sezione attinge fortemente a Chayanov, 1920; Raad voor het Landelijk Gebied, 1997 (specialmente le pp. 17-20 intitolate: “schets van het landelijke gebied in de 21e eeuw”), USDA, 2007 (che si riferisce alle piccole aziende agricole negli USA come “pietre miliari dell’economia regionale”) e Parlamento europeo, 2014.