Che ne è del DDL 988 sul biologico?

Gennaio 19, 2022 3 Di storiedelbio

Quando la primavera scorsa la senatrice Cattaneo e i suoi epigoni hanno attaccato con argomenti pretestuosi il testo dell Disegno di Legge 988 sul biologico non abbiamo esitato un attimo a schierarci a difesa del testo approvato dal Senato (con la sola eccezione del voto contrario della Senatrice e di un astenuto). Al polverone sollevato allora sui media, a cui si sono prestati anche personaggi, riviste e trasmissioni insospettabili, crediamo abbia risposto in modo definitivo Giacomo Sartori ( https://www.micromega.net/agricoltura-biologica-biodinamica-ambiente/ ).

A quel punto, in molti, non ci siamo più preoccupati di un provvedimento che credevamo presidiato dalla Coalizione Cambiamo Agricoltura che raccoglie le più importanti Associazioni ambientaliste e del biologico ( https://docs.google.com/document/d/1AqxfQQDxx4vusYHPzjUB7Zvad8apzXakr_e29Fpwubc/edit ).

Ma ultimamente non sono mancati gli allarmi, in particolare quelli lanciati da un testimone autorevole come Roberto Pinton che segnalava strane evenienze al riguardo ( https://greenplanet.net/la-legge-sul-bio-alla-camera-peccato-faccia-acqua-da-tutte-le-parti/ ).

Quel che non avevamo capito è che una discussione pubblica andava fatta non tanto sulle illazioni della Senatrice ma invece proprio sul merito di quanto si sta definendo in Parlamento. Anche se pare che a febbraio ci sarà una votazione alla Camera che potrebbe risultare decisiva, crediamo che non sia troppo tardi per fare una valutazione di quel che è stato fin qui l’esito di anni di lavori parlamentari.

E’ quel che ci sollecita a fare l’articolo di Maurizio Agostino che qui pubblichiamo e che speriamo trovi risposta da parte dei diversi soggetti interessati e specialmente di coloro che fanno parte della Coalizione Cambiamo Agricoltura.

I problemi sollevati dal suo intervento riguardano l’importante questione della rappresentanza, il marchio nazionale del bio, le risorse economiche nazionali per il sostegno e lo sviluppo dell’agricoltura biologica e la cruciale questione delle sementi locali.

Maurizio Agostino è coordinatore di Rete Humus, da sempre attivo nel movimento del biologico italiano ( http://www.retehumus.it/ ).

Ma il disegno di legge sull’agricoltura biologica è davvero a favore dei produttori biologici?

Maurizio Agostino

Una breve premessa

L’agricoltura biologica e l’agricoltura biodinamica sono concrete speranze per la sopravvivenza del nostro pianeta, perché rigenerano la fertilità organica del suolo, tutelano i grandi patrimoni naturali del territorio rurale, come l’acqua e la biodiversità, migliorano la qualità del cibo e riconoscono la dignità di ogni forma di vita, quindi anche di ogni soggetto interessato alla produzione agricola, fino ai consumatori finali. La pratica agrobiologica, diffusa ormai in varie parti del mondo, lo dimostra. Lo confermano ricerche scientifiche, sperimentazioni e studi condotti a livello nazionale e internazionale.

A nulla valgono le polemiche a cui abbiamo assistito recentemente, e le prese di posizione pretestuose sull’agricoltura biodinamica, piene di luoghi comuni e facili approssimazioni, nel tentativo goffo di creare discredito e confusione sulle varie forme di agricoltura sostenibile. Il risultato più negativo di queste polemiche è che esse sono riuscite a sterilizzare il dibattito nel merito delle norme di cui al il disegno di legge n. 988 ( Disposizioni per la tutela, lo sviluppo e la competitività della produzione agricola, agroalimentare e dell’acquacoltura con metodo biologico ) approvato il 20 maggio 2021 al Senato e ancora in discussione alla Camera.

( https://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/REST/v1/showdoc/get/fragment/18/DDLMESS/0/1298137/all )

Discuterne è invece una vitale necessità, proprio per difendere l’agricoltura biologica e biodinamica oggi in Italia. In questo breve intervento vogliamo toccare solo alcuni punti cruciali: 1. la rappresentanza dei produttori e il ruolo delle organizzazioni territoriali degli agricoltori biologici; 2) il marchio nazionale del bio; 3) le risorse economiche per il sostegno e lo sviluppo del bio; 4) la questione delle sementi locali.

La questione della rappresentanza del settore biologico

La legge 988 vuole disciplinare, per il settore della produzione con metodo biologico: a) il sistema delle autorità nazionali e locali degli organismi competenti; b) i distretti biologici e l’organizzazione della produzione e del mercato; c) le azioni per la salvaguardia, la promozione e lo sviluppo della produzione con metodo biologico; d) l’uso di un marchio nazionale.

Una parte importante e molto delicata del nuovo disegno di legge è quella relativa alla rappresentanza del settore e al ruolo delle associazioni sindacali agricole e di altre organizzazioni interprofessionali di grandi dimensioni.

L’articolo 5 prevede un tavolo tecnico per la produzione biologica, chiamato a tracciare indirizzi e priorità del settore tramite un Piano d’Azione, a proporre interventi per la promozione dei prodotti bio, a esprimere pareri sui provvedimenti nazionali e dell’Unione Europea concernenti la produzione bio, e a individuare strategie per favorire la conversione al biologico.

Tra i vari componenti del tavolo tecnico – tre rappresentanti del MIPAAF, uno del Ministero della Salute, uno del Ministero della Transizione Ecologica, rappresentanti di regioni, Province Autonome e ANCI, uno della cooperazione agricola, uno dell’associazione più rappresentativa in ambito biodinamico, due delle associazioni dei produttori di mezzi tecnici, tre delle associazioni dei consumatori, tre della ricerca scientifica, tre dei distretti biologici e tre degli organismi di controllo – vi sono anche quattro rappresentanti delle “organizzazioni agricole a vocazione generale”. Le organizzazioni maggiormente rappresentative a livello nazionale (nei settori della produzione, della trasformazione e del commercio dei prodotti biologici) sono le sole che possano interagire nella promozione delle intese di filiera, previste dall’articolo 16.

Il disegno di legge prevede inoltre all’art. 14 che possano essere riconosciute come componenti del tavolo tecnico le organizzazioni interprofessionali (OI), che rappresentino una quota delle attività economiche pari almeno al 30 per cento del valore della produzione della filiera biologica nazionale oppure di singoli prodotti o gruppi di prodotti. La quota soglia sale al 40 per cento per organizzazioni interregionali, che comunque dovrebbero rappresentare almeno il 25 per cento del valore della produzione a livello nazionale. La norma prevede infine che il Ministero possa riconoscere a livello nazionale una sola organizzazione interprofessionale.

Alle organizzazioni interprofessionali sono riconosciuti ruoli e compiti molto estesi ed incisivi, rispetto a quanto previsto dalle norme nazionali già in vigore per il settore agroalimentare, come la costituzione di fondi, contributi obbligatori, programmazione delle produzioni. Tali strumenti possono essere resi obbligatori per gli operatori aderenti ed estesi anche agli operatori non associati con maggiore facilità rispetto alle norme in vigore. Il disegno di legge infatti non pone quote maggioritarie di rappresentatività per l’estensione  erga omnes  di norme e contributi. Consideriamo che per le interprofessionali “convenzionali” l’articolo 12 del D.lgs. n. 173/98 richiede il controllo di almeno il 75% della produzione o della commercializzazione sul territorio nazionale.

I requisiti di rappresentanza delle interprofessionali biologiche consentirebbero il riconoscimento di una sola organizzazione a livello nazionale, alla portata di un numero limitato di grandi soggetti economici. Paradossalmente tale organizzazione potrebbe aggregare anche una parte minoritaria delle attività economiche a livello nazionale o interregionale.

Questo esclude la possibilità che siano create organizzazioni interprofessionali locali o di ambiti produttivi ben caratterizzati, con quote significative di produzione, che siano in grado di funzionare realmente ed alla portata di realtà produttive singole ed associate di piccole e medie dimensioni, quelle maggiormente vocate ai mercati nazionali ed ai sistemi distributivi locali, vicini al mondo agricolo.

Sempre in tema di “rappresentanza” il disegno di legge interviene con l’art. 15 ad estendere alle “associazioni di categoria maggiormente rappresentative a livello nazionale” la facoltà di stipulare a nome delle imprese che hanno loro conferito apposito mandato, accordi quadro ai sensi del decreto legislativo 27 maggio 2005, n. 102, che lo prevede per le sole organizzazioni dei produttori (OP). Ma vi è di più, perché lo stesso articolo indica che gli stessi contratti debbano comportare “a favore dei produttori un corrispettivo pari almeno ai costi medi di produzione”. E’ una pericolosa riformulazione del concetto di “giusto prezzo” per i produttori agricoli, che passa dall’essere strumento per un reddito dignitoso per l’imprenditore e la sua famiglia, alla copertura dei “costi medi di produzione”. Così facendo si uniforma il biologico al resto del settore agroalimentare, dove troppo spesso i produttori agricoli riescono con difficoltà a pareggiare i costi di produzione, mentre gli altri attori si accaparrano gli utili.

Sulle relazioni esistenti fra i produttori, le loro organizzazioni economiche e di rappresentanza dunque il disegno di legge mette in campo una specifica legislazione per il biologico, che accresce di molto il ruolo dei principali sindacati agricoli, che hanno vocazione generale e delle organizzazioni interprofessionali nazionali o interregionali.

E’ un riconoscimento questo a dire il vero non meritato. Sono le stesse organizzazioni che hanno contrastato la strategia Farm to Fork, cioè gli obiettivi di riduzione del 50% nell’uso di pesticidi ed antibiotici, limitazione del 20% dei fertilizzanti chimici di sintesi e obiettivi di sviluppo del biologico al 25% della superficie agricola europea. Sindacati agricoli che approvano i “nuovi OGM” e i finanziamenti alla produzione intensiva di tipo industriale, a parole “sostenibile” e nei fatti con impatto negativo sulla fertilità organica dei suoli e sulla biodiversità naturale nei campi coltivati.

Quando il disegno di legge si occupa delle organizzazioni dei produttori biologici (cioè l’articolo 17) replica impostazioni che esistono per le produzioni convenzionali, cioè finalizzate a riconoscere aggregazioni di operatori con una sola tipologia di prodotti ed in grado rispondere a mercati di notevoli dimensioni. Si tratta di criteri lontani da molte realtà produttive aggregate, che hanno una molteplicità di produzioni e che operano su mercati locali. Queste quindi richiedono regole diverse, come volumi di fatturato più bassi per il loro riconoscimento e la possibilità di garantire alle singole aziende la vendita diretta.

La verità è che questo disegno di legge è stato pensato per un biologico a vantaggio delle filiere lunghe e manifesta una profonda incapacità a leggere la sua preziosa originalità, quella di essere presidio locale e condiviso dei valori ambientali, sociali, economici e culturali generati e gestiti proprio dall’agricoltura diversificata. Nella proposta di legge non vi sono norme a vantaggio dei sistemi locali di produzione e di distribuzione del biologico, come ad esempio la semplificazione delle norme igienico sanitarie e delle regole per l’accesso al mercato.

Si pone una preoccupante questione di democrazia, perché viene svilito il protagonismo dei soggetti direttamente impegnati nelle attività produttive, acquisito sul territorio con merito, spesso in sinergia e sintonia con i sistemi della distribuzione locale e con i consumatori singoli ed associati a favore delle grandi organizzazioni convenzionali.

Il marchio nazionale inutile ed illegittimo

Il disegno di leggeistituisce (art. 6) il marchio “biologico italiano”, che interviene nel quadro di una normativa europea delle produzioni biologiche che obbliga già a dare indicazione dell’origine delle materie prime in etichetta, anche in riferimento ad un comprensorio, con tanto di severi requisiti sulla tracciabilità e la rintracciabilità, a garanzia di tutti e che sono la migliore base regolamentare per qualsivoglia sistema di controllo, tutela e vigilanza. Un “marchio biologico italiano” in questo contesto aggiunge un ennesimo logo sulle etichette dei prodotti biologici, già interessate al logo UE, a quelle dei distributori e ad eventuali denominazioni di origine. Francamente non se ne sentiva davvero il bisogno.

Etichettare i prodotti con il marchio collettivo pubblico “biologico italiano”, se può far piacere agli alfieri dell’italianità dei prodotti alimentari, contrasta (incredibilmente) con il diritto europeo.

Nel 2009 l’Istituto Nazionale di Economia Agraria in uno “Studio di fattibilità per l’introduzione di un logo nazionale da utilizzare nell’etichettatura, presentazione e pubblicità di prodotti biologici”, studio commissionato dal MiPAAF,nell’ambito del Piano d’Azione nazionale per l’agricoltura biologica, ha letteralmente affermato che “l’ammissibilità di marchi collettivi di natura pubblica è stata contestata in questi anni dalla Commissione europea e dalla stessa Corte di giustizia, laddove la loro utilizzazione risulti riservata alle sole imprese operanti in un territorio determinato, con conseguente ostacolo alla libera concorrenza tra imprese”.

Secondo questo studio vi è un evidente contrasto di un marchio “nazionale” (che reca un indicazione di paese) con le “tassative ipotesi previste dal Regolamento CE 510/06 relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli e alimentari”. Cioè non potrà mai essere ammesso un logo di riconoscimento che “introduca segni identificativi della sola origine territoriale, prescindenti da una documentata rilevabilità di precipue qualità o caratteristiche del prodotto, inteso nella sua materialità”. In tal senso si è anche espressa la DG VI del MIPAAF, che ha più volte messo in guardia sulla legittimità di qualsiasi norma nazionale che contrasti con le norme europee vigenti sulle denominazioni di origine.

A conferma di questo vale anche la pena considerare che nessuno degli altri stati membri europei ha introdotto marchi che esplicitano la caratterizzazione nazionale dell’origine dei prodotti.

Le risorse economiche

Sotto il profilo delle risorse impegnate la legge in discussione non apporta novità sostanziali rispetto a quanto già esistente e non prevede un incremento di fondi disponibili per il biologico. Viene istituito il “Fondo per lo sviluppo della produzione biologica” (art. 9). Il fondo è costituito in quota parte su quanto ha già stabilito l’articolo 59 della legge 488 del 1999. Viene riproposto il prelievo del 2% sul fatturato dei pesticidi e dei concimi chimici di sintesi. Finora queste risorse non sono state sufficienti per le necessità di un settore in crescita, che pone nuove domande di innovazione, organizzazione ed informazione.

Discordia sulle sementi locali

I semi locali biologici rappresentano il germe vitale dell’agricoltura biologica e della biodiversità agricola italiana, in un paese come il nostro ricco di tipicità.

Il Reg. UE 848 (relativo alla produzione biologica e all’etichettatura dei prodotti biologici e che abroga il regolamento (CE) n. 834/2007 del Consiglio) del 2018 ha introdotto il concetto di “materiale riproduttivo vegetale eterogeneo biologico”, che molto si addice agli ecotipi locali, costituiti da popolazioni non selezionate, quindi senza l’omogeneità delle “sementi elette”. La norma europea ha stabilito che tale “materiale” può essere prodotto e commercializzato senza rispettare i requisiti previsti dalla normativa sementiera. Senza limiti di quantità e di spazialità, assicurando anche criteri di trasparenza, con la notifica pubblica dei produttori e dei materiali riproduttivi. E’ forse questa la novità più importante introdotta dalla nuova normativa europea.

Il disegno di legge (art. 18) cita le disposizioni del Reg. UE 848, ma richiama subito dopo le norme sementiere e stabilisce limiti alla commercializzazione, che può avvenire solo in quantità limitate ed in ambito locale.

Insomma le disposizioni che si vogliono introdurre a proposito della produzione e della vendita delle sementi biologiche delle popolazioni eterogenee degli ecotipi locali pongono un forte elemento di contrasto e di confusione rispetto a quanto previsto nel Reg. UE 848 e rischiano di peggiorare una condizione già difficile per i produttori impegnati a tutelare e valorizzare il patrimonio genetico vegetale locale. Questo è francamente inaccettabile.

I bisogni reali ancora non hanno risposte

Il nostro paese è leader nella produzione biologica in Europa ed è uno dei pochi a non avere ancora una legge nazionale, a supporto dello sviluppo reale della produzione e della diffusione dei prodotti biologici.

Da anni si aspettano norme in grado di dare risposte concrete e semplici ai bisogni di chi produce, sia esso agricoltore o trasformatore, degli operatori della distribuzione e dei consumatori (che brutta parola) singoli ed organizzati.

Ci si attendeva quindi una legge espressione di una politica di elevati investimenti a favore della ricerca scientifica e dell’innovazione dei processi agrobiologici, in grado di far interagire proficuamente ed alla pari ricercatori, agricoltori e quadri tecnici.

Sono anche necessarie norme che mettano fine all’asfissiante e costosa burocrazia del sistema di controllo e delle norme di accesso diretto ai mercati da parte degli agricoltori, soprattutto quelli di piccole dimensioni.

Una efficace regolamentazione della produzione aziendale di compost e preparati naturali per la biostimolazione delle piante, in una ottica di economia circolare, che finalmente eviti ad un agricoltore biologico di essere denunciato di reato ambientale se tenta di far maturare un letame sul proprio terreno.

Si potrebbe anche parlare della necessità di tutela del produttore biologico che subisce contaminazioni dai prodotti chimici di sintesi utilizzati dagli operatori convenzionali, una tutela che garantisca che i costi dei danni siano a carico di chi li provoca, comprese le case produttrici di pesticidi caratterizzati da una forte mobilità ambientale (basta fare l’esempio del glifosate e del clorpirifos).

Un’occasione mancata anche per una regolamentazione completa della ristorazione collettiva biologica, demandata dai regolamenti europei proprio alle legislazioni nazionali, cioè norme che diano certezza ad Enti Pubblici, operatori e fruitori del servizio.

E sarebbe ancora lunga la lista delle speranze deluse.

In conclusione sia consentita una domanda, magari da rivolgere ai parlamentari e ai rappresentanti delle organizzazioni che hanno condiviso il disegno di legge in approvazione. Perché un produttore biologico dovrebbe essere contento dell’approvazione di questo disegno di legge?