La Pace, l’Ucraina e l’agricoltura
Chi conosce la storia del movimento biologico in Italia sa che per tutti i protagonisti delle origini, anche se di differenti estrazioni culturali, la pace era un valore prioritario. Del resto erano ancora recemti gli echi del movimento dei figli dei fiori e delle lotte contro la guerra del Vietnam. Con ancor maggior evidenza la non violenza, il pacifismo, l’etica gandhiana sono stati in quegli anni l’orizzonte che ha connotato molte situazioni di ritorno alla terra, prima ancora che la scelta di praticare un’agricoltura più rispettosa della natura. Da allora il rifiuto della guerra come forma di risoluzione delle controversie internazionali (come prescrive la nostra Costituzione) è diventato, anche grazie a quei giovani, senso comune. Anche perchè il processo di integrazione europea, pur con tutti i suoi limiti, ha concretamente mostrato come sia possibile superare quelle rivalità nazionali che avevano prodotto le due guerre mondiali. Dopo la caduta del muro di Berlino ci siamo cullati nell’illusione che la guerra in Europa fosse ormai impossibile, che la logica dei blocchi fosse superata, che la minaccia atomica fosse un retaggio del passato. Persino le sanguinose guerre seguite alla dissoluzione della Jugoslavia sono state presto rimosse.
Così ci siamo trovati tutti increduli e confusi di fronte al precipitare della crisi Ucraina. Ma il desiderio di pace non può significare disarmo morale. Come potremmo non sostenere con tutti i mezzi possibili la resistenza di quel popolo senza rinnegare tutto quello che abbiamo detto a difesa della resistenza dei popoli contro l’imperialismo americano? Come possiamo consentire che, nel cuore dell’Europa, la Russia faccia quello che è stato rimproverato al governo americano di fare in altre zone del mondo? Come possiamo accettare che chiunque detenga l’arma nucleare possa pretendere la sottomissione ai suoi voleri? Come possiamo dimenticare che la dignità e l’onore del popolo italiano furono salvati dai Partigiani, armi in pugno, contro l’invasore nazista e i suoi servi repubblichini?
Ma tra i motivi di inquietudine c’è anche qualcos’altro, che riguarda da vicino le nostre prospettive future. Non ci riferiamo tanto alle pur gravi difficoltà economiche causate nell’immediato dalla guerra e agli effetti sul nostro stile di vita, quanto all’impatto su scelte che ci condizioneranno per molti anni a venire. L’attacco del governo russo alla convivenza pacifica rischia di riportarci indietro di decenni e di farci rimettere in discussione scelte e conquiste faticosamente maturate nel corso degli anni. In nome dell’emergenza rischiamo non solo di tornare per un bel po’ al carbone e al gas, ma anche di piazzare ovunque generatori eolici e pannelli fotovoltaici senza alcun riguardo per la salvaguardia del territorio, del paesaggio e della produzione agricola. Ci auguriamo che l’urgenza di emanciparci dal gas russo non impedisca di trovare quegli accorgimenti che meglio possano limitare i danni a un patrimonio storico, artistico e naturale non riproducibile. E certo l’uso indiscriminato del termine nimby contro qualsiasi obiezione non fa ben sperare.
Per quanto riguarda più specificamente l’agricoltura, rischiamo di tornare a una politica agricola volta esclusivamente alla sicurezza alimentare, come quella che caratterizzò il dopoguerra e la fase iniziale della Politica Agricola Comune. Una logica che comportò l’industrializzazione dell’agricoltura e dell’allevamento, con i vantaggi immediati ma anche i gravi danni ambientali che adesso sappiamo. Questa guerra e le sue conseguenze hanno evidenziato, se ancora ce ne fosse bisogno, l’estrema fragilità del nostro sistema agricolo. E’ bastata l’impossibilità di importare mais e cereali dalla Ucraina e il blocco delle esportazioni di granaglie e di concimi chimici dalla Russia per generare allarmi sulla disponibilità e sui prezzi di generi di prima necessità come farina, pane, pasta. Per di più qualche governo, come quello ungherese, infischiandosi delle regole del mercato unico europeo, ha pensato bene di bloccare le esportazioni di grano e mais, e subito qui da noi si sono levate alte grida per il timore di dover abbattere migliaia di capi di bestiame.
Già nel 2021 il presidente Francese Macron, nel pieno della pandemia, aveva sollevato il tema della sovranità alimentare per mettere in discussione i trattati di libero scambio che la Commissione europea stava per approvare con alcuni paesi del Sud America e il Messico. Adesso però la sovranità alimentare, intesa proprio come autosufficienza, sembra diventata lo scopo principale delle scelte europee in materia agricola. Come scrive oggi Andrea Bonanni (la Repubblica Economia & Finanza): ” a Bruxelles le lobbies agricole…chiedono una revisione almeno temporanea delle restrizioni che la Ue aveva imposto soprattutto ai grandi produttori su scala industriale per motivi ambientali”. Si vorrebbe perfino che fosse consentito l’uso dei pesticidi anche nelle aree di protezione ecologica adatte alla produzione di alimenti proteici (ibidem). La stessa Commissione Agricoltura del Parlamento europeo propone di sospendere alcuni degli obiettivi ambientali dell’Unione per far fronte alle conseguenze sul settore primario della guerra in Ucraina. Per non parlare di chi, qui da noi , propugna una sorta di battaglia del grano i cui riflessi sulla nostra agricoltura sarebbero quantomeno discutibili. Non manca persino chi solletica una sorta di gastro-nazionalismo miope secondo cui il prodotto italiano, qualunque esso sia, è sempre il migliore. Affermazione non solo infondata , ma che rischia di produrre una reazione eguale e contraria nei paesi nostri partner commerciali.
E’ certo plausibile che sia necessario aumentare la produzione europea di granaglie per far fronte alle nostre esigenze immediate e alla necessità di aiutare quei paesi del Medio Oriente e dell’Africa che sono già in gravi difficoltà. Può anche darsi che, a più lungo termine, sia necessario diminuire la nostra dipendenza dall’estero in un mondo che, dopo la tanto criticata globalizzazione, sta sempre più chiaramente dividendosi in macro aree economiche.
Quel che preoccupa è che il Green Deal e la strategia Farm2Fork della Ue siano visti come un ostacolo in questa direzione e non come parte della soluzione. Si chiede a gran voce la sospensione persino dei blandi progressi contenuti nella nuova PAC quasi che questa fosse l’occasione propizia per un “liberi tutti” senza alcuna considerazione per le conseguenze sul cambiamento climatico.
Invece di cogliere questa occasione per trasformare in profondità la nostra agricoltura estendendo pratiche virtuose di coltivazione e allevamento come quelle biologiche, si pensa solo a chiedere di sospendere la strategia F2F (per quanto tempo?) quando invece è proprio questa la strada per avere un’agricoltura più sostenibile e resiliente. Anche se fosse vero che con la strategia F2F la produzione alimentare si ridurrebbe addirittura del 20%, come sostengono alcuni pareri pessimistici, basterebbe ridurre lo spreco alimentare, che già ammonta al 38%, per far tornare i conti. Per non parlare poi della possibilità di incentivare abitudini alimentari più virtuose.
Viene quasi da pensare che la soddisfazione recentemente manifestata da alcune associazioni di categoria per l’approvazione della nostra legge sul biologico fosse più di facciata e legata a interessi strumentali piuttosto che a una sincera convinzione.
Io penso che stiamo tornando indietro di decenni in rapporto alle prospettive che fino all’altro ieri erano quasi inevitabili
vedi affermazioni pro OGM, riammettere la monocoltura, rinnovata fiducia alla non agricoltura dei pesticidi e delle fandonie sul “100% italiano”, nuovi investimenti per allevamenti industriali e colture a basso costo commerciale e ad alto costo ambientale e sociale
occorre tornare alla denuncia ambientale e sanitaria, se non al “terrorismo” mediatico sugli effetti di questo modello
Sono d’accordo su molti punti,ma faccio solo un ossevazione serve il bio per non dipendere da Putin ma con cosa facciamo con tutto quello che non è agricoltura? le fonti rinnovabili ? e il consumo del suolo o il consumo del mare? Le semplificazioni sono facili.
L‘agricoltura convenzionale non bio consuma tantissimo fossili. Vicino da me a Piesteritz (Sassonia-Anhalt) c’è un grande stabilimento chi produce Fertilizzante azotato. È il più grande consumatore di gaz del Land e chiede adesso sussidi di seguito al aumento dei prezzi. Il proprietario del stabilimento è Agrofert, una holding del ceco Andrej Babis, politico molto corrotto. La mia sintesi: serve il bio per non più dipendere del gaz di Putin.
Facciamo anche un po di sana autocritica. Quanti di noi faranno pagare i cereali prodotti o il fieno allo stesso prezzo dell’anno scorso. Quanti di noi non faranno speculazione approfittando del momento. La solidarietà ha un prezzo.
Walter Meles
Non credo ci sia giustificazione alcuna all’aggressione russa dell’Ucraina. Se l’Italia non rispetta gli accordi per l’Alto Adige, l’Austria è autorizzata a invaderlo? O la Slovenia potrebbe accampare diritti ad annettersi le Valli del Natisone dove si parla sloveno? Se tra gli Stati le cose non vanno, si cerca di utilizzare la diplomazia, appunto. E anche le sanzioni. Cioè, qualcuno mi vuole dire che la Russia non poteva far pressione sull’Ucraina con il gas, i cereali, l’economia o altro, senza scatenare una guerra d’invasione di TUTTA l’Ucraina? E, poi, ci sarebbe anche l’autodeterminazione dei popoli per scegliersi il proprio destino, la propria strada di sviluppo, con gli alleati che preferisce…
Ma c’è un’altra cosa che mi colpisce in tutti questi ragionamenti sulla crisi bellica dell’Ucraina e dei costi energetici, alimentari e quant’altro che ne sono (solo in parte), la conseguenza (i prezzi dell’olio d’oliva aumentano adesso quando la frangitura è di 4 mesi fa? e la farina lo stesso, quando il frumento è stato raccolto 8-9 mesi fa?…).
Nessun governo, nessun partito, nessuna associazione (nemmeno quelle ecologiste o pacifiste…), sta premendo per un po’ di austerità e di prevenzione delle cause della cris, in particolare energetica. Quello che una volta si chiamava altro modello di sviluppo. Per motivi anagrafici, ho vissuto la crisi energetica degli anni ’70 (allora la causa era il petrolio) e uno dei temi in agenda era il risparmio, L’altro la differenziazione delle fonti energetiche. Oggi, gli stessi temi li ritroviamo sul gas. Dunque, nulla abbiamo fatto (o molto poco) per impostare un modello di sviluppo meno dipendente, più autosufficiente, più sostenibile. Certo, bisogna produrre energia, ma bisogna anche risparmiala. Quali politiche sono state chieste e/o sostenute per promuove il risparmio energetico? Nelle case, nelle fabbriche, nei campi, nei consumi… Troppo blande. Ora con il discutibile bonus del 110% si punta a efficientare le abitazioni, Ma le italiche truffe e i problemi burocratici necessari per ottenerlo fanno più notizia. Non si tratta, dunque, di tornare a un’autarchia impossibile (se poi l’Italia è una piattaforma manufatturiera, senza fonti energetiche primarie…), ma di credere in un diverso modello di società e praticare una politica adeguata informando i cittadini e indirizzando le energie verso un modello che pratica la prevenzione dei problemi anzichè la cura che, a volte, richiede soluzioni drastiche e indigeribili. Dunque, anche in questo contesto l’agricoltura biologica ha la sua validità e centralità, Così pure come la tutela dell’ambiente. Il fatto non è che qualsiasi cosa va bene pur di mangiare. Il fatto è che la toppa è peggio del buco e il buco, prima o poi, si riforma.
Buongiorno Giuseppe
ti invito ad uscire dalle informazioni della stampa mainstream, per capire più a fondo cosa è successo in Ucraina, soprattutto in Donbass, perlomeno dal 2014 e chi sono i governanti ucraini e come hanno governato, dopo essere saliti al potere con un colpo di stato.
Non sto difendendo Putin, ci mancherebbe!
L’unica strada possibile perchè i popoli non debbano soffrire le nefaste conseguenze della guerra è il dialogo (e l’abolizione delle armi, oltre che della NATO, che non ha più senso di esistere),
Da quanto leggo, la Russia aveva più volte richiesto di ottemperare gli accordi di Minsk e di aprire un tavolo di trattative affnchè l’Ucraina rimanesse neutrale (come la Svizzera), ma gli USA hanno pensato bene di “soffiare sul fuoco”, affinchè si aprisse il conflitto qui in Europa.
Mi fermo qui, vista la ora tarda e ti saluto