Alle origini del biologico in Toscana
Intervista a Amos Unfer (*)
Il movimento biologico in Italia è stato la risultante di una varietà di esperienze locali, complesse e talvolta travagliate, ciascuna delle quali ci ha lasciato in eredità qualcosa che rischia di sfuggire se ci si limita a guardare il fenomeno nel suo insieme.
Iniziamo qui un lavoro di ricostruzione di quelle esperienze, nella convinzione che solo lo studio delle specifiche vicende locali possa rendere più chiari i percorsi di aggregazione dal basso che hanno innervato la costruzione del movimento su scala nazionale.
Amos Unfer, friulano cresciuto in Svizzera e trapiantato da una vita in Toscana, è stato, tra l’altro, il primo Segretario di AIAB con Armando Mariano presidente. La sua testimonianza, insieme ad altre che seguiranno, ci aiuta a capire quali siano state le caratteristiche peculiari dell’esperienza toscana. I suoi punti di vista ci paiono interessanti proprio perché riflettono una formazione culturale e tecnica particolare che gli permette di cogliere aspetti che potrebbero sfuggire a un osservatore comune.
(*) Testimonianza raccolta da Giuseppe Canale ( 1 marzo 2022 ) . Ogni eventuale errore o omissione è di esclusiva responsabilità dell’intervistatore.
Qui in Italia nessuno conosceva la nostra cultura agraria, guardavamo a Mollison, Fukuoka, Muller, Howard, Steiner….
Cosa ti ha portato all’agricoltura?
Sono nato a Basilea nel 1957 però dopo pochi mesi sono tornato dalla nonna in Carnia, ho avuto un’infanzia bellissima nella campagna – montagna carnica. A nove anni sono tornato in Svizzera con i miei genitori, entrambi emigranti, che volevano mettere via qualcosa per tornare in Italia e così si sono costruiti una casa a Timau in Friuli dove c’era la nonna paterna. Il Paese di Timau che adesso ha 250 abitanti negli anni 50 ne aveva 1.250. La mia stirpe, degli Unfer, è distribuita in Australia, Belgio, Lussemburgo, Francia e Brasile. Timau è un’enclave linguistica tedesca, si parlava il Tischlbongarisch, un particolare dialetto carinziano che so ancora leggere. Quando sono tornato in Svizzera ho fatto le scuole e poi ho iniziato a studiare chimica.
Negli anni in cui uno fa un po’ il ribelle, il rivoluzionario, mi sono innamorato dell’agricoltura, andavo il sabato e la domenica a dare una mano a un contadino lì vicino. Poi è diventata una cosa più seria, anche perchè in Svizzera fare l’agricoltore è un mestiere che si impara. C’è un istituto tecnico che dura 3 anni, con fasi di apprendistato e dopo i tre anni si fa un esame pratico: devi saper castrare i maiali, mungere, saldare, potare ciliegie e pastorizzare succo di mele…. Sono venuto in Italia definitivamente solo nel ’81. Ci venivo già prima ma non stabilmente perché altrimenti avrei dovuto fare il militare. In Friuli c’era stato il terremoto e hanno fatto una legge che permetteva ai friulani 20enni di evitare il servizio militare. Ma ho imparato a fare il contadino in Svizzera, anche con soddisfazione.
In tutti questi anni in Toscana sono passato da “mezzadro” a “coltivatore diretto” e poi a “imprenditore agricolo”. Ho fatto “carriera” a mia insaputa…. ho sempre vissuto l’attività agricola, sia come agricoltore che come tecnico-consulente oltre nel ruolo di “fattore”, in prima persona.
In Toscana come ci sei arrivato?
Sono arrivato nel ’81 per raccogliere le olive e mi sono innamorato di questa terra. C’era anche uno scopo venale; a quei tempi il raccoglitore veniva pagato in olio ( 0gni 100 Kg di olive raccolte si riceveva 5-6 Kg di olio). Come dicevo, in Svizzera per fare il contadino bisogna essere diplomati. Invece negli anni ’80 chi si avvicinava qui da noi all’agricoltura, sia pure un’agricoltura un po’ diversa, erano tutti gente di città. Gente che vedeva la campagna come una rivoluzione di vita e non come una scelta professionale. Tra quei giovani ce n’erano diversi che scendevano in Italia dai paesi nordici. C’è stata diciamo la discesa dei vichinghi dal nord: svizzeri. tedeschi, olandesi, inglesi che hanno individuato in una certa fascia (Umbria, Toscana, Marche) il paradiso terrestre. In quegli anni il marco tedesco e il franco svizzero permettevano anche a un cosiddetto povero di lassù di comprare qui subito della terra, un casale e roba del genere.
Tra di loro c’erano anche alcuni svizzeri tedeschi come un certo Markus Bernhard, un biodinamico che nel 1980 si era trasferito in Umbria, faceva da consulente e aveva contatti con Garofalo, con la Crespi. Nei primi anni era molto attivo tra gli stranieri che c’erano qui.
Grazie a quell’esperienza sono venuto giù insieme a un mio conoscente, Peter Furler. Abbiamo preso un podere a Monteloro (Fiesole) che un chirurgo voleva darci a mezzadria anche perché non sapeva che quei contratti non erano più permessi. Siamo rimasti insieme 3-4 anni finchè …. non ci hanno divisi le nostre donne. Fin dall’inizio abbiamo preso contatti con le erboristerie e pure col Cibreo (l’eclettico titolare è scomparso in questi giorni) che fu uno dei primi acquirenti dei nostri prodotti. Alla fine di questo periodo ho visto sul giornale agricolo svizzero “Die Grüne” l’annuncio di un podere di 23 ha nel grossetano in affitto (veramente c’era scritto “in Toscana: sotto Siena” perché per gli svizzeri la Toscana finisce a Siena ).
Quando sei entrato in contatto col Coordinamento toscano?
I contatti umani si sono stabiliti a fine ’82-’83. Allora c’era un filone un po’ politicizzato. Erano quelli che poi occupavano case e terreni abbandonati tipo la Cooperativa La Ginestra, avevano una visione più politicizzata, il ritorno alla terra come scelta legata alla classe operaia; loro portavano un po‘ di cultura., conoscevano le leggi ecc. Il biologico gli veniva spontaneo perchè erano contro la chimica, contro l’industria, contro la Montedison, ma senza saperne molto e senza dare molto peso all’ecologia. In Italia il movimento è nato con gente molto entusiasta, molto fantasiosa, creativa. Avevano letto tutto quello che c’era da leggere (Fukuoka, Steiner…) però, se c’era da potare un ulivo, non sapevano da dove iniziare, non erano capaci di fare due conti per programmare una produzione significativa. Lavoravano l’argilla, il cuoio, parlavano di parto dolce e suonavano la chitarra ma del lavoro agricolo non sapevano un gran ché . L’ecologia è stata acquisita strada facendo ma non era il primo input. Gli “Zappatori senza padrone“ erano ancora un’altra “corrente”, oggi, in certe zone (Garfagnana. Lucchesia, Pistoiese) trovi ancora i loro figli che sono diventati proprietari perchè la legge toscana ha permesso di acquisire queste proprietà. Qualcuno è diventato anche latifondista.
Nel Coordinamento c’era qualche personaggio di spicco?
Allora il Coordinamento Toscano era fatto da una congerie di trentenni senza famiglia.
Ricordo che Mimmo Tringale, uomo del sud, arrivò un po’ dopo, studiava agraria a Firenze. Aveva delle doti carismatiche, riusciva a raggruppare, coordinare. I primi incontri si tenevano a Fiesole in un’erboristeria di cui non ricordo il nome oppure in un centro Macrobiotico a Firenze. Allora il primo canale commerciale era il mondo della macrobiotica. Nel mio caso, per loro producevamo il daikon, le zucche Okaido, il pane cotto nel forno a legna ecc. Portammo dalla Svizzera sementi di segale, monococco, orzo nudo, i vasi per fare i crauti, il “Backferment”……
Le erboristerie coagulavano un po’ il tutto, c’era anche il filone di Messegué. Lui fu un grande aiuto di marketing perché se un giorno diceva che la crusca fa bene per la calvizie, il giorno dopo il pane si vendeva tutto.
A Firenze c’era anche La Fierucola…
A quei tempi si sovrapponevano diversi filoni. C’era anche un filone più religioso-comunitario, che veniva dal mondo dei cattolici: pacifista, gandhiano, francescano, per uno stile di vita sobrio, di rispetto della natura. Giannozzo Pucci, il cui cognome gli permetteva di aprire molte porte, riuscì nel 1982 ad avere una piazza per 2 giorni dove svolgere uno storico mercato agricolo. Uno era il primo fine settimana di settembre: la festa della Santissima Annunziata in occasione della quale tradizionalmente dalla campagna i contadini venivano in città. Venivano la sera prima, facevano la Rificolona, accendevano delle lanterne, dormivano anche per terra sotto le logge dell’ospedale Degli Innocenti . Erano presi in giro dai cittadini perché erano vestiti fuori moda. Però la domenica era giorno di mercato dove loro portavano le loro cose. Giannozzo prese spunto da questo fatto storico e dispose che La Fierucola doveva permettere solo un’agricoltura famigliare piccola o medio-piccola. All’inizio fu vista come una cosa un po’ severa, perché nel corso degli anni ci furono discussioni all’interno dell’Associazione La Fierucola su cosa permettere, se mettere il banco frigo…
Io sono stato bannato da Giannozzo Pucci perché ero diventato troppo industriale. Un sabato abbiamo fatto un incasso di un milione e seicentomila Lire. Vendevamo il pane, la pasta fresca e avevamo fatto un pentolone di minestra di cipolle, le ciotole di ceramica venivano lavate nella fontana e poi le riusavamo. Solo col tempo abbiamo imparato le norme igieniche, ma Giannozzo aveva un tale carisma e autorità che è riuscito a parare molti problemi di ordine sanitario e burocratico (p.e. bilance). Lui sosteneva un’agricoltura molto famigliare. Se facevi 10 pagnotte era già tanto, invece mi ricordo che noi una volta siamo andati lì con 186 pagnotte, avevamo lavorato come turchi….
Però il Coordinamento era un’altra cosa…
Il Coordinamento era un’altra cosa perchè Giannozzo lo vedeva come una cosa già troppo industriale, imprenditoriale.
Nel ’84 il coordinamento aveva 47 soci paganti, poi siamo arrivati fino a 120, erano tutti intorno a Firenze e nel Chianti dove si è subito cristallizzato un nucleo di produttori di vino che si è sempre distinto per avere un po’ il puzzo sotto il naso. I viticoltori sono agricoltori un po’ anomali perché il vino ha tutta un’altra immagine. Molti di loro erano stranieri, tutti avevano canali commerciali con l’estero. Noi dovevamo muovere di più le mani perché il vino ti impegna diciamo 100 giorni all’anno e poi devi vendere. Invece con gli ortaggi, il grano, le capre, ecc. hai molto più da fare. Il buffo è che noi dovevamo sempre giostrare con i tempi del lavoro per definire le riunioni mentre i viticoltori erano sempre presenti.
Ma tu e il tuo socio cosa producevate?
Noi facevamo ortaggi prima di tutto, poi facevamo il pane due volte alla settimana. Siamo arrivati a fare 150Kg in una volta. In due, impastando a mano e con cottura in forno a legna : era un gran lavoro. Si partiva alle 8 di sera per fare il primo impasto, alle undici – mezzanotte per fare il secondo….Vendevamo alle erboristerie o al Centro della Fondazione Est-Ovest dei macrobiotici di via Serragli. C’erano anche clienti privati. La moglie dell‘editore Giunti per esempio, era un’appassionata. Tra l’altro i primi libri con tematiche di orticoltura biologica fatti da autori tedeschi me li ha fatti vedere lei per sapere se andavano bene. Credo che ci siano anche mie foto in quei libri. La famiglia Giunti ha fatto molto, ha permesso……, c’era una grossa manifestazione che si chiamava Firenze a Tavola….credo organizzata dal “Chianti Classico” con Nanni Montorselli…Questo, nel 1985.
Qualcuno mi ha parlato di un’altra manifestazione a Firenze che fu importante…
La manifestazione si chiamava Herbalist, c’era anche Garofalo, non mi ricordo l’anno preciso, sarà stato nel ’1982 in autunno. Quella è stata la prima uscita “domenicale” dei produttori, era la prima volta che mi fu chiesto di fare una relazione come Coordinamento Toscano, di dare un po’ di numeri. Ricordo di aver sostenuto che il nostro fatturato era di 100 milioni di Lire, bluffavo un po’ perché non avevo numeri precisi.
Ma con quei numeri riuscivate a viverci?
Questa è una domanda che si potrebbe fare anche oggi. Io direi che si lavorava a 2-3 euro odierni all’ora. La distinzione tra lavoro e tempo libero non è una cosa netta. Era un piacere che era anche un mestiere. Noi, una grossa fetta del nostro reddito la facevamo con la vendita del nostro olio in Svizzera e in Germania. Quando l’olio costava qui 5 mila lire il litro in Svizzera lo vendevamo a 15 mila. Era un divertimento andare a vendere lassù. Si arrotondava con lavori agricoli esterni, durante la fienagione, la trebbiatura…..
Cos’altro faceva il Coordinamento?
Abbiamo cercato subito un contatto con le Amministrazioni, con la politica. Ci furono i primi inviti col WWF, poi Legambiente, i Verdi, i circoli Arci. In quel momento i Verdi erano più strutturati di adesso. Pensavamo che la scuola fosse il punto dove i nostri prodotti dovessero essere introdotti; e ci furono così i primi corsi di cucina e alimentazione naturale, le prime relazioni…..
Quand’è che il bio è diventato importante per quelli che tornavano alla terra?
Il biologico è nato per il semplice fatto che qualcuno aveva contatti oltralpe con i francesi di Nature et Progrés (Claude Aubert), con la Svizzera (Müller) e qualche biodinamico di vecchia data. Quindi la parte teorica che veniva da Oltralpe combinata con i giovani venuti in campagna ha fatto nascere l’agricoltura biologica in Italia. Qui in Toscana si può far risalire alla nascita del Coordinamento fondato nel 1983 che appunto si chiamava: “Coordinamento toscano produttori biologici”. Però all’interno di questo c’era molto altro: dal femminismo a rivendicazioni della terra, a chi faceva ceramica, a altre motivazioni…la quasi totalità dei membri viveva in campagna, nei poderi e, chi più chi meno, faceva attività agricole.
Ma il Coordinamento Toscano è stato un’iniziativa di AAMterranuova o preesisteva?
Il giornale esisteva già, però il Coordinamento è nato al di là del giornale. Di AAMtn c’era Pino De Sario che allora abitava nel Mugello, lui veniva saltuariamente alle riunioni però non aveva una funzione formale. Io credo che in quel momento non ci fosse un primeggiare tra l’uno e l’altro. Il giornale ha capito presto che c’era bisogno di coordinare a livello nazionale i diversi gruppi (El Tamiso,… S’atra Sardinia, i biodinamici del Friuli…) quindi più che una funzione di promozione hanno avuto quella di coordinamento. Poi c’era il problema che quando si parlava di biologico non era chiaro per tutti di che cosa si parlasse e quindi è nata la Commissione “Cos’è biologico”. Mi ricordo, che a metà degli anni ’80 i siciliani, per esempio, volevano vietare l’utilizzo delle serre, dicevano ovviamene che da loro non servivano. C’erano posizioni anche molto distanti tra di loro che in parte derivavano da una non conoscenza delle regole agronomiche e poi c’era l’influenza delle condizioni pedoclimatiche del territorio in cui ciascuno viveva. La stesura delle norme per definire cosa fosse biologico fu un grosso impegno e anche fonte di tensioni.
“Un ascoltatore esterno si sarebbe messo le maninei capelli.!”
C’era, per esempio Suolo e Salute [l’associazione fondata nel 1969 a Torino dal prof. Garofalo] che sosteneva l’uso dell’urea per agevolare la formazione del compost. L’aggiunta di urea nella paglia veniva vista come stimolo per la compostazione. Per dirti quanto eravamo lontani nel definire cosa intendere per biologico in quegli anni, si è arrivati a usare cose come il tabacco, cioè la nicotina, come insetticida per la difficoltà a trovare delle soluzioni nella lotta contro alcuni parassiti. Ma la nicotina è come il DDT. Anche se è di origine vegetale ha degli effetti molto più pericolosi di quello che oggi viene consentito…. Ancora oggi cos’è sia “naturale”, cos‘è buono e cos’è cattivo, non è una cosa facile a definirsi. In quegli anni se la mela non aveva il baco si diceva che era stata trattata. Il verme era quasi come un sinonimo di salubrità. Prova oggi a vendere una mela col verme!
Mi risulta che prima che venisse creata la Commissione nazionale siano state importanti le riunioni della redazione di AAMtn….
Si ma non ne ricordo la frequenza. Sicuramente ci siamo visti a Padova, a Firenze, nelle Marche, a Bologna. Poi quando è arrivato Antonio Compagnoni il baricentro si è spostato in Emilia perché lui, che sapeva l’inglese, frequentava l’IFOAM e ha tirato il carro un po‘ per di la.
Anche a Roma si cominciava ad andare spesso perché, quando si era capito l’importanza della politica, c’era l’ipotesi di fare una legge e quindi c’erano spesso degli incontri a Roma, in via Ostiense, vicino al mercato. Non ricordo se ci fosse già AIAB ma c’era un Coordinamento Laziale. Il Lazio è stato la prima regione a fare una legge sul biologico.
Ma a quei tempi quali erano i vostri riferimenti culturali?
Mi sono accorto molto presto che qui in Italia nessuno conosceva la nostra storia agraria, guardavano a Bill Mollison, Fukuoka, Muller, Howard, Steiner e nessuno conosceva la nostra scuola agronomica. Prima del 1924, se prendiamo Steiner come riferimento, solo nella scuola agraria italiana precedente ci sono dozzine di elementi di ordine agronomico, che poi sono stati presi da tutti quelli che sono venuti dopo. Le rotazioni, le consociazioni, le leguminose, la sostanza organica, i lombrichi, le siepi…sono tutte cose antecedenti al biologico. Ci sono esempi belli come l’azienda agricola come organismo unitario che abbia funzioni anche sociali. In tutti questi anni abbiamo soltanto preso degli spunti da lontano. Anche il Regolamento elaborato dalla Commissione Cos’è biologico è nato prendendo quel che dicevano quelli di Nature et Progrès, Ifoam, e i regolamenti degli svizzeri. Lo so perchè ho tradotto sia la norma francese che quella svizzera e poi se ne fatta una sintesi. Però non saprei se attribuire una colpa o un merito.
Dopo la fondazione di AIAB c’è stato un periodo in cui la segreteria era a Firenze?
Esatto, il Coordinamento Toscano si era candidato. Avevamo già un nostro ufficio, eravamo “sotto terra” in via Giacomo Leopardi, pensa che immagine davamo. Mariano [ Armando Mariano, primo presidente AIAB ] veniva giù a Firenze dal Piemonte e io che facevo da segretario facevo i miei 140km per arrivare a Firenze, a quei tempi da Grosseto ci si metteva due ore e mezza , abbondanti.
Ricordo che alle riunioni dell’AIAB a Firenze venivano Franco Zecchinato (El Tamiso), Antonio Compagnoni (il Salto), Adriano Del Fabro (Confabi), S’atra Sardigna con i fratelli Cirronis, Valli Unite, Dario dell’Aquila dalla Puglia, I Siciliani….i Marchigiani… raramente Riccardo Cozzo della BioAgricoop di Bologna, Enrico Accorsi….
Puoi raccontare come ha funzionato la certificazione Aiab prima che arrivasse quella della europea [CE 2092/91]?
Fu un primo elemento di razionalità. Ci siamo resi conto che anche se ci si incontrava ed era bello mangiare insieme fave e pecorino, poi, per inesperienza o per furbizia, o per bisogno…….In quel momento non tutti ritenevano che fosse una gran cosa avere un regolamento che prevedeva di rivolgersi a un controllo esterno per una verifica. Ci si auto-gratificava nel dire: noi siamo buoni, siamo bravi, onesti e così via. In Toscana c’era l’idea forte di coinvolgere anche i consumatori. Infatti c’era una certa Rossella che lavorava presso l’Associazione dei commercianti. Lei era una consumatrice, voleva essere sicura che i prodotti fossero fatti a norma anche dal punto di vista igienico, così in questo gruppo si decise di procedere in questo modo. Chi voleva entrare nel Coordinamento doveva fare richiesta formale, doveva compilare un questionario con gli ettari, le coltivazioni che faceva e via dicendo. La prima visita costava credo 50.000 Lire. Veniva un tecnico, che a quel tempo eravamo io e Mimmo Tringale. La persona mi faceva vedere le cose, io scrivevo tutto quanto e poi lasciavo un commento. Poi c’era la Commissione che si riuniva periodicamente e vagliava i resoconti delle ispezioni. Segnalava i punti deboli: non ha le siepi, è lungo l’autostrada…. in una logica di stimolo a migliorarsi. Emerse l’esigenza di avere una assistenza tecnica e qui è subentrato inizialmente anche Claude Aubert. In seguito furono fatti accordi con una coop. di agronomi: Bigallo Verde.
E poi c’era l’altro aspetto, quello di fornire un canale di vendita. E lì si partì presto con l’apertura di un punto vendita a Firenze, in via delle Conce 23. Una viuzza buia e stretta vicino al mercato di San Lorenzo. Oggi non ci si potrebbe più aprire un negozio di alimentari in un luogo cosi malsano!
Però avevamo un enorme giro. Le persone facevano la fila fuori. Sembrava di avere trovato l’oro. Veniva aperto due volte la settimana. C’era il pane, la pasta fresca, mi ricordo che preparavo la pasta di farro, e queste cose qua.
Però era su base volontaria e solo dopo alcuni mesi abbiamo capito che era opportuno dare la responsabilità a una persona che gestisse il negozio in un certo modo. Sul controllo c’è stato un primo momento di incomprensione dei suoi scopi e, all’inizio, è partito con un questionario molto blando. Quando poi doveva nascere AIAB ci siamo confrontati con gli altri e lì abbiamo visto quanto fosse importante codificare bene i punti di controllo. Insomma bisognava evitare che un piemontese poteva pensare che l’urea potesse andar bene perché lo diceva Garofalo quando un altro invece l’avrebbe vietata.
Però sinceramente da quando è subentrato, già nel ’92, questo aspetto di leggi, regolamenti, contatti con Roma, rapporti col Ministero ho visto che “la rivoluzione cominciava a mangiare i propri figli “ e ho iniziato a fare altre cose.
Avevo intuito che era più vincente saper parlar bene, saper giostrarsi con le carte, fare politica , scrivere libri….queste cose qui…
Ma queste ispezioni ogni quanto le facevate?
Almeno una volta all’anno se non c’erano problemi. Poi sai che quello che tutto fa e tutto disfa è: “chi paga ?”, perchè all’inizio c’era una componente di volontariato, salvo le spese della benzina che dovevano essere rimborsate. In alcune aziende medio-grandi ci stavi tutta la giornata e con 50 mila lire a quei tempi non ci facevi niente. Quelli del vino che avevano già canali commerciali avevano bisogno di una certificazione. Allora loro erano disposti a pagare anche di più. Anche se non c’era ancora la certificazione, poter dare ai loro clienti un attestato col timbro era già qualcosa. Tieni conto che nel 83-84 in Svizzera era già in vigore la “Knospe “– la gemma, il simbolo di quella certificazione privata che adesso è una multinazionale che certifica in oltre 100 paesi. Alcuni in Toscana si facevano certificare da Naturland (az.La Selva) o da Bioland.
Cosa pensi del marchio bio italiano di cui si parla nella legge sul biologico?
Se prima l’esigenza era di avere una certificazione europea valida dalla Finlandia al Portogallo che assicurasse che un certo lavoro era stato fatto, adesso sembra che ogni paese cerchi di qualificare questo lavoro con un label nazionale. Negli ultimi 10 anni l’antieuropeismo è venuto fuori anche nel biologico. Qui siamo partiti negli anni ’80 che erano tutti di sinistra, legati all’Arci, alle case del Popolo, alle Feste dell’Unità. Adesso non è più così. Oggi , a mio parere, l’anima del bio si è spostata a “destra”. Su al nord sono diventati tutti leghisti. I biodinamici sono sempre stati di quella destra accademica e aristocratica. In Germania no perché ci sono stati i Verdi.
Ai tempi del Coordinamento voi avevate rapporti con la GDO?
No, nessuno aveva rapporti con la GDO. I primi forse, negli anni ’90, avevano rapporti con Baule Volante che acquistava legumi, grano e così via. Poi , sia Alce Nero e sia la coop. Le Rene (Guido Frati) aprirono con i grandi mulini del Nord. Esselunga inizia con gli ortaggi freschi in Maremma…..