La siccità vista dalla Francia
Anche la Francia, come l’Italia, sta attraversando una crisi idrica senza precedenti. Anche da loro ci si interroga su come far fronte a questa conseguenza sempre più evidente del cambiamento climatico. La traduzione dell’intervista dell’idrologa francese Emma Aziza che vi proponiamo ha il pregio di mettere in chiaro come allevamento e agricoltura siano, al tempo stesso, responsabili e vittime della crisi idrica e che occorrono scelte radicali per affrontarla.
Siccità: “Abbiamo bisogno di una sveglia globale”
Dice l’idrologa Emma Haziza, fondatrice e presidente di Mayane, un centro di ricerca per la resilienza e l’adattamento dei territori ai grandi rischi e ai cambiamenti climatici.
Vedi: EURACTIV France 30 giu 2022
La siccità sta colpendo la Francia e l’Europa in un modo senza precedenti. Per la prima volta, le falde acquifere sono in deficit all’inizio dell’estate. L’idrologa Emma Haziza racconta a EURACTIV France l’entità dei danni e chiede una trasformazione radicale del nostro modello agricolo per preservare le risorse idriche.
EURACTIV: In un Tweet del 21 giugno lei afferma che non siamo mai entrati in estate con così poche riserve d’acqua… Quanto è grave la siccità alla fine di giugno 2022?
Emma Aziza: Quest’anno è senza precedenti, perché stiamo uscendo da un inverno di siccità, con quattro mesi senza pioggia, a parte qualche millimetro che è stato assorbito molto rapidamente dalla vegetazione senza riuscire a raggiungere le falde acquifere.
Dal 2017 al 2019, anni di intensa siccità, la situazione era diversa. Allora avevamo iniziato l’estate con un rifornimento di acqua in eccesso. Questa ondata di calore ha sottoposto il territorio a un forte stress idrico nei terreni, nei fiumi e nelle falde acquifere. Adesso quasi tutte le falde acquifere del Paese sono in deficit. Secondo il Bureau de recherches géologiques et minières (BRGM), quest’inverno c’è il 70% di acqua in meno rispetto al normale.
Ci siamo lasciati alle spalle la variabilità climatica naturale per entrare in una nuova tendenza in cui la prima conseguenza è la mancanza di acqua.
Una mancanza d’acqua che sta colpendo anche le zone temperate che si pensava fossero state risparmiate, in particolare nell’Europa settentrionale…
Anche questa è una novità. Alcune aree che si pensava fossero state risparmiate sono sempre più colpite. Oggi il Belgio inizia l’estate con il 95% del territorio in uno stato di grave siccità. Uno scenario prevede 45.000 morti all’anno in Germania a causa delle ondate di calore nei prossimi dieci anni. Stiamo assistendo a incendi nel nord della Francia!
Dobbiamo agire molto rapidamente per cambiare il nostro modo di operare. Ci sono troppi utilizzi dell’acqua, dovremo fare delle scelte. Per esempio, Il lago di Serre-Ponçon (Hautes-Alpes), gravemente colpito dalla siccità, sta già affrontando grandi interrogativi: l’acqua deve essere mantenuta per le attività turistiche, molto importanti dal punto di vista economico, o deve essere resa disponibile per le attività agricole che alimentano la popolazione? Questi sono i primi segnali delle guerre dell’acqua che vivremo in Francia.
Una soluzione molto controversa consiste nell’estrarre l’acqua in profondità dal sottosuolo e immagazzinarla in superficie in mega-bacini, per renderla disponibile agli agricoltori in estate. Cosa ne pensa di questa strategia sostenuta dalla FNSEA [ l’ equivalente della nostra Confagricoltura NdT] e appoggiata dallo Stato?
È la soluzione peggiore. Bisogna distinguere tra i bacini collinari, che consentono di trattenere l’acqua che scorre e di utilizzarla per l’irrigazione, e il prelievo di acqua dalle falde acquifere per costituire le riserve. Una falda acquifera è molto fragile ed è difficile da ricaricare: due terzi della pioggia che cade al suolo (65%) ritorna nell’atmosfera e solo il 9% dell’acqua penetra nella falda.
Con questo sistema, stiamo estraendo dalle falde acquifere più acqua della loro capacità di ricarica. In Francia l’impatto è limitato, perché fino a cinque anni fa eravamo ancora un Paese temperato, ma se si va in India, alcune falde acquifere sono passate da cinque metri di profondità a 500 metri di profondità a causa dei prelievi. Lo stesso vale per la California.
Inoltre, le falde acquifere sono collegate ai fiumi. Quando, in un periodo di siccità, vediamo scorrere un fiume, è perché è alimentato dalla falda acquifera. Se la falda freatica si abbassa troppo, non può più sostenere il fiume. E se la falda acquifera non sostiene più il fiume, questo si prosciuga. Questo ha conseguenze terribili per gli ecosistemi.
Tra le misure da adottare al più presto c’è una revisione completa del nostro modello agricolo. Come possono i nostri agricoltori risparmiare acqua?
Prima di tutto, dobbiamo reidratare la terra, reimmettere la vita al suo interno, soprattutto il microbiota. Sappiamo che nel nostro corpo ci sono più batteri che cellule umane. Senza i nostri batteri, non esisteremmo. Lo stesso vale per il terreno. Ma uccidendo gli invertebrati con i pesticidi, in particolare, uccidiamo la capacità del suolo di ossigenarsi, di contenere carbonio e di idratarsi.
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, possiamo ricreare piccoli cicli idrici a livello locale con buone pratiche. In un terreno idratato, la traspirazione (rugiada) crea masse d’aria umide che alla fine cadono a 100 chilometri di distanza. È un circolo virtuoso che deve essere ripristinato. La siccità non è provocata tanto dal riscaldamento globale quanto dal nostro modo di operare. Il riscaldamento globale non fa che aggravare la situazione.
In questa logica, l’agricoltura conservativa è un passo nella giusta direzione. Integrando delle strisce erbose, ad esempio, riduciamo l’effetto albedo [la capacità del suolo di riflettere la radiazione solare, che aumenta l’effetto serra, ndr]. Anche l’agriculture raisonnée [in Italia, agricoltura integrata, NdT] è una soluzione. Per non parlare di tutti quegli agricoltori che investono nella conversione al biologico. Tutti devono muoversi nella giusta direzione.
Dobbiamo cambiare la nostra produzione agricola, la nostra alimentazione?
Dobbiamo fare a meno dalla carne. Non abbiamo scelta. Se domani la Cina iniziasse a mangiare carne, non ci sarebbe abbastanza terra coltivabile per allevare il bestiame. In Europa, il 70% della terra è dedicato all’allevamento. Fortunatamente, gli Indiani mangiano il pollo, un animale che consuma poca acqua.
L’altro problema è il mais. Il Cile ne coltivava massicciamente prima di smettere 12 anni fa a causa della aridità causata da questa pianta tropicale. Il mais ha bisogno di acqua in agosto e di irrigazione in superficie; non può fare altrimenti che drenare fiumi e falde acquifere. Eppure l’Europa ha sostenuto massicciamente questa coltura con la PAC [Politica Agricola Comune NdT]. Era il jackpot fino a qualche anno fa, l’oro giallo come lo chiamavano i contadini.
Potremmo sostituire il mais con il sorgo, una specie che ama il caldo e non ha bisogno di molta acqua. Questa coltura soddisferebbe la domanda del settore animale, che ne costituisce la maggior parte, ma non le altre richieste, dato che il mais viene utilizzato anche nell’industria dei film plastici e in quella farmaceutica. È per questo che continuiamo.
L’agricoltura è anche produzione di materie prime per il tessile. Si tratta di un settore che consuma molto. Per produrre un solo chilo di cotone sono necessari circa 10.000 litri d’acqua. Per una singola maglietta, si tratta di 2.500-3.000 litri…
Per rifornire le nostre 18 collezioni di abbigliamento all’anno, coltiviamo cotone su vasta scala in zone dove non c’è acqua, in Africa o in India. Prelevando acqua da falde acquifere che si stanno prosciugando. Per alcune di loro non resta che una riserva di 10 anni. La cosa peggiore è che poi prenderanno l’acqua dai pozzi dei piccoli agricoltori locali per rifornire le fabbriche tessili. Un’acqua che viene trasformata coi coloranti che inquinano le falde acquifere e i fiumi a valle e intossicano la popolazione. Tutto questo per avere le nostre 18 collezioni annuali. Non immaginiamo lontanamente quanto le nostre magliette stiano uccidendo intere popolazioni ed ecosistemi. Tutto ciò che consumiamo ha un impatto colossale sulle risorse idriche.
Esistono molti strumenti legali che dovrebbero proteggere la risorsa, a livello europeo – la Direttiva Quadro sulle Acque (WFD) del 2000 – e a livello francese – la Legge sull’Acqua e gli Ambienti Acquatici (LEMA) del 2006. Cosa si può fare di più?
La Direttiva quadro sulle acque prevedeva un buono stato ecologico dei corsi d’acqua nel 2025. Oggi il 40% dei nostri corpi idrici è in cattive condizioni. Si tratta quindi di un fallimento. Sappiamo tutto, abbiamo tutte le soluzioni, si suppone che abbiamo avuto una politica iperattiva per 20 anni. Eppure non sta accadendo nulla. Le nostre politiche pubbliche sono completamente dettate dalle lobby. Quando vedo che la Francia autorizza l’invio di prodotti fitosanitari in Africa anche se sono riconosciuti come pericolosi dall’Europa, mi dico che abbiamo davvero bisogno di un risveglio globale.
Per quanto riguarda la gestione del rischio, la Francia ha fatto buoni progressi rispetto al resto del mondo per quanto riguarda il rischio di inondazioni. Ma siamo ancora lontani da una politica di adattamento ai rischi di siccità e di ondate di calore. Attualmente sto pensando a un modello per finanziare la conversione dei terreni attraverso i crediti di carbonio [ Un credito di carbonio o carbon credit è un certificato negoziabile, equivalente a una tonnellata di CO2 non emessa o assorbita grazie a un progetto di tutela ambientale. NdT]. Le GAFAM [ acronimo per Google, Apple, Facebook, Amazon, Microsoft. NdT] e tutti i grandi inquinatori hanno bisogno vendere massicciamente il carbonio che producono. E noi abbiamo bisogno di soldi per finanziare la transizione verso un’agricoltura sana, che preservi le risorse idriche.
Grazie Giuseppe.
Interessante come alcune delle analisi di Emma siano vicine a quelle del CIRF Centro italiano per la riqualificazione fluviale
https://altreconomia.it/perche-la-costruzione-di-nuovi-invasi-non-e-la-soluzione-alla-crisi-idrica/
Non condivido il commento di Amos.
Non dichiara le fonti informative che gli consentirebbero di dare autorevolezza alle sue informazioni.
Per quanto posso vedere e per la mia conoscenza diretta, anche se ridotta, del mondo agricolo le cose stanno proprio come dice Emma Aziza.
L’economia di estrazione e di rapina non molla la presa.
Grazie a Giuseppe and co per la condivisione di questo articolo.
Interessante, sentire l’opinione di una idrologa in merito alla situazione in Francia.
Emma Aziza e ben visibile su i media , sin dall’estate 2019. Dirige una sua azienda che si occupa principalmente di consulenza rivolta alle amministrazioni pubbliche in aree a rischio alluvione, oltre a divulgazione a scuole e popolazione di come affrontare i rischi di questo genere.
Non condivido quando indica l’agricoltura come causa di questi, aumentati periodi di siccità e consumatrice di ingenti volumi di acqua con conseguenze drammatiche per l’imminente futuro;
Un pò infantile la proposta, che siano la riduzione dei consumi di carne ad avere qualche effetto significativo: in Europa le abitudini dei consumatori già si stanno muovendo a ribasso , all’incontrario in paesi come Cina e l’India dove la richiesta di proteine animali è in forte ascesa.
Sicuramente non saremo noi credibili e influenzare le loro nuove preferenze alimentari!
Noi, invece, per rimanere su questo filone di discussione, dovremmo iniziare a pensare a rinunciare anche ai nostri maglioncini di cashmere (e fin quì, può andare), ma anche ai calzini di lana e alle t-short colorate –
tutti prodotti con “alto” consumo di acqua.
Ci verrà a mancare il riso, così come tutti gli ortaggi a ciclo estivo incluso le succose fette di anguria !
..se per fare l’albero ci vuole il seme, per fare l’anguria ci vuole l’acqua.
un saluto
au