La crisi del biologico in Francia
In Francia il biologico ha una lunga storia e la sua esperienza ha costituito un riferimento importante anche per il biologico italiano delle origini (vedi https://storiedelbio.it/2022/06/30/410/ ). I suoi numeri sono di tutto rispetto. Nel 2021 la Francia era il primo paese dell’Ue per superficie agricola coltivata a biologico in valore assoluto ( 2.776.553 ettari ) anche se, in quell’anno, essa rappresentava solo il 10,3% del totale contro il 17,4% dell’Italia. Nel 2021 il valore degli alimenti bio consumati è stato di 13,27 miliardi di euro – anche se in calo del 1,23% rispetto al picco raggiunto nel 2020 – pari al 6,6% del totale dei consumi alimentari ( vedi dati Agence Bio ). Tanto per fare un paragone, in Italia nel 2020 il mercato del biologico ha raggiunto i 6,9 miliardi di euro di cui però solo 4,3 miliardi venduti sul mercato interno (dati del Rapporto Bio Bank 2020 che descrive l’andamento del settore, considerando sia alimentare che cosmesi ). Il Mercato del bio francese che è secondo solo a quello tedesco, vede la presenza di una pluralità di soggetti diversi, dalle AMAP ( le Communitry Supported Agriculture francesi ) alle grandi catene della GDO. Lo stesso biologico specializzato, di cui si occupa il seguente rapporto di Roberto Pinton, è articolato in una pluralità di catene di cui Biocoop è solamente la più grande e diffusa. Un altro aspetto caratteristico del biologico francese è il marchio AB (Agriculture Biologique), marchio pubblico istituito nel 2008, quindi prima del logo europeo, ma che, pur se ormai pleonastico dato che lo standard è quello UE, è rimasto in uso visto che ormai la maggior parte dei consumatori francesi lo riconosceva come “il” marchio biologico. Vi è anche la particolarità del Nutriscore ( https://ilfattoalimentare.it/nutri-score-risposta-hercberg-salvini.html ), l’etichetta a semaforo per gli alimentari adottata in Francia nel 2017, la cui estensione a livello europeo è fortemente avversata dal nostro governo.
Insomma l’alimentazione e il biologico in Francia sono presi molto sul serio, tanto che anche organi di stampa come Le Monde si preoccupano delle difficoltà attuali del biologico anche per i suoi riflessi sugli obiettivi della strategia Farm 2 Fork dell’Unione europea. ( vedi: Le marché du bio ralentit en raison de l’inflation et des labels trompeurs (lemonde.fr ). La situazione non è per nulla tranquilla. Per dare un’idea: nel 2022 si sono registrate 224 chiusure contro 111 aperture di negozi specializzati. Dal 1 gennaio al 15 febbraio 2023 le chiusure sono state 19 e le aperture 8 (nello stesso periodo del 2022 le aperture erano state 15).
Bastano queste poche notazioni per capire quanto, qui da noi, siamo lontani dall’esperienza francese. Eppure crediamo che ci siano molti problemi in comune con la nostra situazione e che il confronto con quanto si sta facendo in Francia per affrontarli possa fornirci molti utili spunti di riflessione.
Roberto Pinton, che ha già scritto qui, (vedi https://storiedelbio.it/2022/12/14/uno-sguardo-sul-bio-di-roberto-pinton/ ) è tra i fondatori nel 1984 della Coop. Agricola El Tamiso, nel 1993 ha partecipato alla costituzione di Brio per poi dirigere il Consorzio di imprese biologiche promosso da Esselunga. Ha diretto per sei anni la rivista Bioagricultura ed è stato Responsabile per i servizi alle imprese in AIAB (Associazione Italiana per l’Agricoltura Biologica), dal 2004 al 2013 è stato componente del comitato di salvaguardia dell’imparzialità in ICEA, dal 2006 al 2020 è stato responsabile tecnico e segretario di AssoBio. In rappresentanza del settore trasformazione e distribuzione europeo è al secondo mandato come componente del board di IFOAM Organics Europe. Dal 2015 fa parte del comitato settoriale di accreditamento agroalimentare di Accredia.
BIO: COSA SUCCEDE IN FRANCIA?
di Roberto Pinton
Francia: sciopero generale e proteste, città blindate e migliaia di agenti schierati, disagi per il traffico ferroviario e le metropolitane, un sesto delle stazioni di servizio senza benzina per la chiusura della maggior parte delle raffinerie.
No, non dipende dalle manifestazioni del biologico nazionale, messe in secondo o terzo piano da quelle contro la riforma delle pensioni, che il governo difende con le unghie e coi denti, ma anche il settore bio, pur senza barricate, è sul piede di guerra.
Il 28 febbraio il primo ministro Elisabeth Borne aveva annunciato lo stanziamento di 10 milioni di euro per aiutare le aziende agricole biologiche ad affrontare le sfide del calo dei consumi dovuto all’inflazione, un annuncio che ha scatenato reazioni rabbiose: a conti fatti, significa un sostegno di 166 euro a ciascuna delle 60mila aziende agricole.
Ritenuta la somma irrisoria per arrestare la spirale discendente dei consumi, La Maison de la Bio, l’organizzazione unitaria del biologico francese, con eccezionale tempestività ha lanciato il primo marzo la campagna “Fermiamo il disprezzo del governo per l’agricoltura biologica!”, che al momento in cui scrivo veleggia verso le 50.000 firme. Ecco il “manifesto”:
“Nel bel mezzo della sesta estinzione di massa
Il governo decide di DISTRUGGERE 40 anni di agricoltura biologica, di spingere la sua fumosa etichetta HVE [nota: il logo “Haute valeur environnementale” è stato istituito nel 2012 dopo la Conferenza nazionale francese per l’ambiente; il marchio trasmette ai consumatori l’idea che il prodotto sia più biologico del biologico, mentre l’agriculture raisonnée è una banale agricoltura integrata che autorizza l’uso di tutti i principi attivi, compresi quelli cancerogeni, mutageni e tossici per la riproduzione, non prevede periodi di conversione ed è molto facile da ottenere] e di prostrarsi davanti all’enorme lobby dei pesticidi.
Avanti con la deconversione delle aziende agricole biologiche, con le aziende che falliscono e con la chiusura dei negozi biologici.
Peccato per i 10 milioni di francesi che ogni mese scelgono prodotti biologici, che dovranno ripiegare sui prodotti HVE in gran parte contaminati da pesticidi.
Peccato per i francesi che vivono accanto alle aziende agricole biologiche che si deconvertiranno e ritireranno fuori l’atomizzatore sotto le loro finestre.
E BYE BYE alle nostre possibilità di vedere emergere nei prossimi 20 anni un’agricoltura contadina, che promuove la vita nei campi, che non ha bisogno di fertilizzanti russi, di pesticidi chimici di sintesi e che offre cibo più sicuro.
Puoi fermare tutto questo, la tua scheda elettorale è il tuo piatto!
Noi consumatori biologici siamo più numerosi degli elettori di Macron al primo turno.
Se il 10% di noi si mobilita, cambierà l’equilibrio elettorale, la base elettorale del governo è ancora più fragile del settore biologico!
Le nostre principali richieste:
– che l’agricoltura biologica smetta di essere disprezzata e continui a essere considerata un settore agricolo promettente e in sintonia con le questioni climatiche
– che il governo sblocchi una dotazione di 150 milioni di euro, in linea con quanto sta sviluppando per i diversi settori agricoli convenzionali
– che la legge EGALIM, peraltro spinta da Macron, venga davvero applicata (20% di biologico nella ristorazione collettiva) e che il biologico non venga lasciato cadere in mezzo alla strada da un governo che volta le spalle”.
La petizione si può sottoscrivere on-line, nei negozi specializzati e nei punti di vendita diretta dei produttori e degli artigiani.
-12% DI VENDITE NEL 2022
Se nel 2021 il mercato biologico aveva visto una contrazione limitata ( – 1,34%, sta a dire 68 milioni di euro in meno all’appello rispetto a un 2020 in gran spolvero, come nel resto d’Europa), il contesto economico del 2022 ha visto un calo del 12%, con andamento differenziato tra grande distribuzione e canale specializzato. In sostanza, ormai abituati a una crescita costante, ci si è ritrovati al livello del 2019.
Il calo c’è anche nella GDO (che ha avviato, con maggior o minor determinazione, una revisione dell’assortimento, delistando i prodotti biologici che non si guadagnavano il pane), ma qui ci occupiamo solo del canale specializzato, che in Francia è molto più strutturato che da noi.
Non va dimenticato l’impatto di altri nuovi fenomeni, come le EAP (Épiceries Alternatives de Proximité): piccoli (più di metà dei pdv ha una superficie tra i 50 e i 100 mq, un terzo sotto i 50 mq), ma tanti (1.165 secondo la rilevazione del dicembre scorso) e bene o male rappresentano un fatturato di 250 milioni da prodotti locali e intorno all’80% biologici che non passano per i negozi biologici classici.
Ai primi di marzo Agence Bio ( l’agenzia pubblica che si occupa del biologico ) ha presentato al Salon International de l’Agriculture il suo Biobarometro, giunto alla ventesima edizione.
Sì, l’82% dei francesi continua a pensare che l’agricoltura biologica contribuisca a salvaguardare l’ambiente, la qualità del suolo e delle acque.
E il 60% è convinto che il biologico consenta una giusta remunerazione del produttori (sarebbe bene chiedere anche il parere dei produttori).
Ma non basta a fermare la messa in discussione del bio: nel 2022 la percentuale di francesi che consumano prodotti biologici almeno una volta al mese, è calata sensibilmente (dal 76% al 60%), scendendo a un livello che non si vedeva dal 2014.
Il rapporto constata la crescente sfiducia dei consumatori nei confronti dei marchi di qualità in genere, biologico compreso, in seguito alla maggior attenzione al prezzo indotta dall’inflazione e ai crescenti dubbi derivanti dalla mancanza di informazioni.
Qualcosa più di metà dei consumatori ritiene di non disporre di informazioni sufficienti sull’origine dei prodotti biologici e solo il 37% ritiene di saperne abbastanza sul sistema dei controlli, il che denota l’incertezza sui prodotti a scaffale: ma saranno davvero biologici?
Probabilmente è anche per i lanci di prodotti davvero poco “basic” da parte di multinazionali (Danone, primo operatore del lattiero caseario biologico, Nestlè ecc.), e per il fatto che parte non piccola dei negozi specializzati fa in realtà riferimento ai colossi della distribuzione (Monoprix/ Groupe Casino, Carrefour, Les Mousquetaires/Intermarché), che nella GDO il valore delle vendite di prodotti biologici a marchio generico ha superato quelle dei marchi specializzati già nel 2018, il 61% dei francesi che non acquista prodotti biologici pensa che il marchio AB (che rimane più conosciuto del logo europeo, come d’altra parte accade in Germania con il Bio-Siegel) sia solo uno strumento di marketing.
Aggiungiamoci l’eccesso di packaging, le polemiche sulla produzione in serre riscaldate (e sulle emissioni di gas climalteranti legate ad alcune “primizie” biologiche, la crescente presenza di generi “coloniali” non solo come classificazione merceologica, ma proprio come concetto, senza alcun riferimento a filiere equo-solidali): le incongruenze del mercato hanno contribuito a svuotare il biologico di significato.
Non mancano poi i consumatori duri e puri che non apprezzano la globalizzazione delle provenienze e si interrogano sull’impronta ecologica (ma anche sull’effettiva equivalenza del sistema di controllo) di un prodotto biologico originario del Brasile o del Togo.
In ogni caso, a 44 francesi su 100 che non lo acquistano, pur se con diversa gradualità, il biologico interessa poco o non interessa (per il 12% è la prima risposta, per il 16% la seconda e la terza), il 22% non ci ha mai pensato (6%, 7% e 9% come prima, seconda e terza risposta) e il 19% si orienta verso i prodotti locali non biologici (come si capisce, l’indagine prevedeva risposte multiple).
L’aspetto nuovo più preoccupante è il calo dei consumatori regolari (giornalieri), che si è quasi dimezzato dal 15% all’8%.
I dati del barometro non forniscono più dettagli, si può solo sperare che si tratti di consumatori il cui acquisto si concentrava su un unico prodotto assunto tutti i giorni (latte, yogurt, tè…) e che ora si sono rivolti a un’alternativa convenzionale o che hanno mantenuto il consumo biologico, ma riducendo la frequenza d’uso, passando da “tutti i giorni” a “più giorni la settimana”.
In calo anche i consumatori da “non tutti i giorni, ma almeno una volta a settimana”, passati dal 37% al 26%, sostanzialmente invariati quelli da “non tutte le settimane, ma almeno una volta al mese” (dal 24% al 26%), passa al 23% dal 15% chi ha consumato meno di una volta al mese, raddoppia al 17% dal 9% chi non li ha mai consumati nel corso del 2022.
Tra chi consuma tutti i giorni (ripeto, in calo dal 15% all’8%), chi effettua una spesa in cui il biologico pesa per oltre il 75% rappresenta il 23% del totale, in leggero calo i consumatori con una quota di prodotti biologici tra il 50% e il 75%, senza variazioni chi consuma dal 25% al 50%, in calo la percentuale di chi ha una quota di spesa biologica inferiore al 10%.
Il che comporta che nel 2022 la percentuale dei francesi con consumi quotidiani di biologico superiori al 75% è rimasta del 2% (che comunque si può stimare rappresenti almeno il 20% del consumo in assoluto e con tutta probabilità non meno del 30% della spesa nei negozi specializzati); per il 3% è biologico dal 50% al 75% della spesa alimentare totale (era il doppio nel 2021), si riducono anche le quote dei consumatori di percentuali più modeste, probabilmente i meno convinti e i primi ad abbandonare la nave a fronte di difficoltà economiche vere o percepite (in ogni caso è questione di priorità).
Sempre tra i non acquirenti, i prodotti sono percepiti come troppo cari: per il 36% è la prima risposta, per il 22% è la seconda, per il 13% è la terza: messi assieme fanno il 71%.
Va abbastanza da sé che per il 2023 che dopo Covid, invasione dell’Ucraina e relativa inflazione, tensioni sociali, rimane un anno complicato, il canale specializzato, anziché investire per far cambiare idea a chi non acquista perché è convinto che il prezzo sia troppo elevato, deve concentrarsi sullo zoccolo duro del 23% per il quale è biologico oltre il 75% della spesa e sullo zoccoletto del 32% che in ogni caso ha una quota di acquisti biologici dal 50% al 75%, curandone la fidelizzazione attraverso anche una qualificazione dell’offerta.
Ed è quello che ha fatto, come riassume l’ottimo Bio Linéaires [ rivista specializzata ] elencando le diverse iniziative poste in essere dai retailer.
Cominciamo con il leader BioCoop, che ha chiuso il 2022 con 765 pdv aderenti (35 chiusure e 41 aperture nel corso dell’anno) e un fatturato di 1,495 miliardi, in calo del 5.6% in valore – ma a fronte di un aumento medio dei prezzi del 6%, contenuto grazie a una riduzione dei margini, quindi con calo più accentuato nelle vendite in volume- meglio della media di settore, ma sempre in calo.
La catena pesa per il 45.4% delle vendite del canale specializzato, punta sull’origine nazionale dei prodotti (88%, che arriva al 90% per l’ortofrutta, con il 15% di prodotti di fornitura locale in prossimità dei singoli punti vendita).
Nel 2022 BioCoop ha rotto gli schemi con una campagna multicanale con oltre 30 milioni di contatti il cui slogan era “Dietro un prezzo troppo basso c’è spesso un produttore che paga il prezzo più alto”; la sfida all’inflazione continuerà per tutto quest’annocon «un plan de bataille» sul livello dei prezzi e sulla loro spiegazione.
Per rendere “accessibili a tutti i prodotti biologici più rigorosi per tutto l’anno”, BioCoop propone la selezione di 140 referenze «Nos prix engagés».
La Vie Claire (oltre 400 pdv, circa 250 dei quali affiliati in franchising) a gennaio ha proposto due settimane di prendi due, paghi uno su una buona serie di prodotti a marchio, e per contrastare l’idea che i prezzi siano troppo elevati ha bloccato fino a fine 2023 quello di 100 prodotti della linea Petits prix bio (presente da tempo, ha ricevuto più enfasi e visibilità): 1 litro di bevanda di riso a 1.59 EUR, di avena a 1.65, farina tipo 1 a 1.99 EUR/kg, passata da 680g a 1.65 EUR…
A febbraio è toccato al nuovo programma fedeltà «+ POUR VOUS»: i titolari della tessera (che è gratuita e dematerializzata) ottengono il 10% di sconto al raggiungimento dei 300 EUR di spesa, ogni 10 spese ricevono un prodotto a marchio in omaggio, con punti speciali per l’uso del sito web, per il compleanno del titolare e il raddoppio dei punti per gli acquisti di prodotti a marchio effettuati il martedì, teso anche a spalmare in modo più razionale le frequenze a punto vendita.
Naturalia (fondata nel 1973 da una coppia di agricoltori e acquistata negli anni 2000 da Monoprix/ Groupe Casino, 190 pdv in proprietà e 55 affiliati prevalentemente nella regione di Parigi, sviluppo per linee interne ed esterne, con l’acquisizione di Serpent vert nel 2011, di Nature & Santé nel 2012, di Vie bio nel 2013, di 9 pdv Les Nouveaux Robinson l’estate scorsa, centrale d’acquisto in comune con Les Comptoirs de la Bio) a marzo ha rinnovato l’operazione “Le mois de l’Oseille” con oltre 600 prodotti di uso quotidiano scontati fino al 30% e un’innovativa tessera fedeltà a pagamento (5.90 EUR al mese) che dà diritto allo sconto del 10% sulla scontrino, promozioni comprese, particolarmente apprezzata dai forti consumatori.
So.bio (fondata nel 2005 e in pancia a Carrefour dal 2018, 80 pdv) ha lanciato i suoi 150 produits BIO au meilleur prix (erano 100 l’anno scorso) per migliorare il potere d’acquisto dei suoi consumatori.
Da Bio c’Bon (dalla fine del 2020 anch’esso parte del gruppo Carrefour) les mini-prix sont de mise (i mini-prezzi sono la regola) per tutto l’anno su 100 prodotti d’uso quotidiano, “frutto di un lavoro impegnativo per trovare il miglior equilibrio tra il tuo potere d’acquisto e la giusta remunerazione dei nostri fornitori”. Ai magnifici cento si aggiungono offerte a rotazione per rester bio quand tout augmente.
Sulla stessa pista il gruppo cooperativo di 164 negozi indipendenti Biomonde che presenta la selezione Essential à petits prix garantito tutto l’anno.
Les Comptoirs de la Bio (parte del gruppo Les Mousquetaires/Intermarché, 98 pdv e 140 milioni di fatturato 2022), ha introdotto il nuovo programma fedeltà “La Fidélité Libérée” che accredita il 2% di cashback su tutti gli acquisti (esclusi i prodotti in promozione) che passa al 4% per acquisti mensili superiori a 400 EUR, con una selezione mensile di prodotti ancora più scontati. Inoltre settimanalmente propone menu elaborati dalla nutrizionista Soliane Loubriat con ricette anti-inflazione con pasti completi a meno di cinque euro.
Naturéo (fondato nel 2007, 48 pdv) fino a marzo accredita il 10% della spesa sui circa 250 prodotti a marchio ai titolari di carte fedeltà .
Le Grand Panier Bio (20 punti vendita in franchising, private label Les Délices de Clarisse) sconta del 20% i prodotti di un reparto a settimana (ortofrutta, fresco, sfuso, cantina, bellezza/salute); l’importo viene caricato sulla tessera fedeltà dei consumatori ed è spendibile dalla spesa successiva, a eccezione che sui prodotti già in promozione e a quelli «coup de cœur» (130 referenze d’uso quotidiano a prezzi ridotti).
Gli E-commerce non stanno a guardare: La Fourche ha bloccato il prezzo di 50 prodotti di prima necessità fino a giugno e propone una selezione di 90 referenze a meno di 2 EUR (“Inflazione, calo del potere d’acquisto, difficoltà di approvvigionamento, tempi duri all’inizio dell’anno… Non c’è motivo di abbandonarvi, vi proponiamo una selezione di prodotti biologici poco costosi per continuare a farvi piacere senza privazioni”); dal canto suo Greenweez ha bloccato i prezzi di 50 referenze d’uso quotidiano fino a fine maggio.
Queste le iniziative più immediate, sul versante dei prezzi e della fidelizzazione dei clienti più altoconsumanti, che dovrebbero consentire la traversata del mare in tempesta, ma con un’inevitabile contrazione dei margini.
Oltre ad altre iniziative più locali, non mancano certo le riflessioni interne per trasformare la pausa in una preparazione della ripartenza.
E’ opinione condivisa che la rete si fosse sviluppata troppo ottimisticamente, concentrando in alcune aree un numero di pdv eccessivo rispetto alla domanda: ci si attende che la crisi scremi il mercato, consentendo ai negozi che resisteranno di riprendere a crescere nel giro di 12/18 mesi.
Il management di Biocoop si è espresso con assoluta chiarezza: sarà necessario adattarsi con flessibilità a un mercato che, comunque, non sarà più quello di prima.
L’ubriacatura della crescita ha portato alla diluizione della carica ideale iniziale, a favore di un’”aziendalizzazione” spinta, contendendosi manager provenienti dalla grande distribuzione che non parlavano la stessa lingua dei consumatori e di gran parte dei gerenti. Se scimmiotti il supermercato, ma non ti viene bene (e in Francia la GDO è un’arte), è inevitabile che il consumatore scelga l’originale e non si accontenti dell’imitazione così così.
Con la consapevolezza dei passi falsi, molti operatori auspicano un ritorno all’attivismo e alle radici, che non comporti il ritorno alla nicchia, ma a un po’ di sana sobrietà e il riavvicinamento ai fondamentali.
Il modello di consumo che si propone deve effettivamente preservare la salute e rispondere alle sfide ambientali, non limitarsi a dichiararlo, con una frattura che è avvertita dai consumatori.
Tra i ferri del mestiere che si trovano nella cassetta:
– acquisti il più vicino possibile, sia per la freschezza che per riproporre con più forza il concetto dello sviluppo locale sostenibile e per avviare sinergie tra operatori
– riduzione degli sprechi, enfasi sul contenimento degli imballaggi e sull’aumento dello sfuso (la strategia Farm to Fork imporrà entro il 2030 a tutto il settore alimentare caratteristiche ambientali più stringenti sui materiali a contatto con gli alimenti per ridurre l’impronta ambientale: non ci si può far superare a sinistra dall’agroalimentare convenzionale), sviluppo del ruolo di piattaforma di recupero (già ora 4 pdv BioCoop su 10 sono convenzionati con i consorzi per il riciclo del vetro e ricevono i vuoti dai consumatori)
-riduzione dell’impatto ambientale complessivo (piattaforme logistiche e pdv): non si può presentare il biologico come risposta efficace alla crisi climatica e non gestire il punto critico nei terminali di vendita, non fosse altro perché anche in questo caso la strategia Farm to Fork imporrà presto a tutto il settore agroalimentare di integrare la sostenibilità nelle strategie aziendali;
-aumentare l’attenzione nei confronti del fair trade e accertarsi che anche i prodotti nazionali provengano da filiere eque, perché è giusto e per evitare riflessi negativi all’emersione di situazioni deplorevoli
– ragionare sull’offerta, promuovendo la riformulazione dei prodotti, magari definendo livelli massimi per grassi, sale e zuccheri, per poter rivendicare il ruolo di fornitori qualificati di alimenti davvero salutari (e non solo senza residui di pesticidi: questo è un vantaggio che si deve ai produttori primari, mentre anche l’industria di trasformazione e la distribuzione devono prendere in carico la criticità e assumere un ruolo attivo nella filiera, non fosse altro che per evitare di trovarsi a competere con prodotti convenzionali con un punteggio Nutriscore che evidenzia profili nutrizionali migliori)
– dismettere gradualmente prodotti ultra-processati e con additivi autorizzati ma poco o per niente allineati con il concetto di alimentazione naturale: va evitato che l’offerta biologica nella GDO sia più “pulita” di quella che si trova nel canale specializzato
-un maggior coinvolgimento nel movimento
-rimettere al centro il consumatore, accompagnandolo e capendo le esigenze sia di chi vuole principalmente salvare il pianeta, sia di quelli più alla ricerca del miglior rapporto tra qualità, prezzo, gusto e salute.
I negozi specializzati, a cui agli inizi della psicosi COVID molti nuovi consumatori si erano rivolti alla ricerca di un porto sicuro non sono riusciti a trattenerli e a fidelizzarli perché troppo impegnati a riassortire gli scaffali e senza tempo per consigliarli.
Si trattava in gran parte di clienti poco pratici di marchi e tipologia di prodotti, che han ricevuto risposte da supermercato costoso e che quindi si sono presto orientati verso i supermercati più economici.
In ogni caso, il barometro di Agence Bio conferma che l’’aumento della sfiducia nei confronti dei prodotti biologici è collegato in particolare dalla mancanza di informazioni (pensiamo soltanto alla necessità di spiegazioni sull’equità dei prezzi), quindi è assolutamente necessario concentrarsi sull’informazione e la formazione del consumatore.
Certo, prima del 2000 internet era poco diffusa e le informazioni su prodotti inconsueti erano meno accessibili, ma le attività e i corsi rivolti ai consumatori negli anni pioneristici sembrano molte più di quelle offerte negli anni del biologico “professionale”.
E non riuscire a trattenere i clienti per l’incapacità di rispondere alle loro esigenze non è poi così professionale.
Anche Terra Nova, un think tank progressista indipendente che propone soluzioni politiche innovative si è occupato della questione, pubblicando l’interessante “ Biologico in declino: semplice rallentamento o vero stallo?”, un rapporto di una sessantina di pagine che avanza una ventina di proposte concrete per sviluppare il mercato biologico.
Lorenzo ciao.
Lo scenario di piani nazionali della PAC che eroghino una sorta di reddito universale di ruralità non è tra le cose di questo mondo.
Quindi quella di ragionare di mercato è una responsabilità cui non ci si può sottrarre quando è condotto con metodi biologici il 10.3% della SAU nazionale (e il tuo obiettivo è che questa quota aumenti), quando è biologico il 13.4% del totale delle aziende agricole nazionali, quando queste aziende occupano più di 200mila unità di lavoro, quando distribuiscono i loro prodotti 2mila negozi in qualche maniera organizzati e non meno di 1.500 indipendenti (occupando in tutto 30mila addetti), quando tra imprese di trasformazione e servizi hai più 20 mila altri occupati.
Se, come dice il manifesto Stop au mépris de l’agriculture bio, i consumatori biologici sono più numerosi degli elettori di Macron al primo turno, gli addetti al settore biologico con le loro famiglie sono più degli abitanti di Tolosa o di Lione: noblesse oblige (o preferendo citazioni marveliane, “Da un grande potere derivano grandi responsabilità”).
La criticità non si risolverà soltanto con le tessere fedeltà, ma alle iniziative tattiche emergenziali in Francia stanno affiancando profonde riflessioni strategiche sul “che fare” che solo succintamente ho annotato e alle quali, chi molto concentrato sul suo ombelico, chi confidando sulle virtù salvifiche della legge 23/2022, da questa parte delle Alpi si tende a sottrarsi.
Molto interessante anche se ci vedo i limiti da sempre scontati di un approccio più orientato alla difesa delle quote di mercato del bio che non alla creatività necessaria per fare rete con tutte le scelte a farsi verso la sostenibilità cioè per fare rete con tutti i soggetti che sono attori produttori trasformatori e commercianti o fruitori di prodotti più o meno sostenibili
Si deve garantire la diversità ma fare necessariamente rete a mio modo di vedere