AGRIVOLTAICO: davvero tutto positivo?
Recentemente il ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica (MASE) ha trasmesso alla Corte dei Conti il decreto che incentiva la diffusione dell’agrivoltaico innovativo . Il MASE spiega che “ Con il provvedimento, su cui già c’è stato il ‘via libera’ della Commissione europea, ci si pone l’obiettivo di installare almeno 1,04 gigawatt di sistemi agrivoltaici avanzati entro il 30 giugno del 2026 “. Peraltro sembra che nel luglio scorso risultassero presentati al MASE 434 progetti per un totale di 22,750 GW .
In una nota il MASE spiega ancora che “ Il Decreto punta alla promozione di soluzioni costruttive innovative, prevalentemente a struttura verticale e con moduli ad alta efficienza, in cui possono coesistere più usi del suolo: una produzione di energia, dunque, pienamente compatibile con le attività agricole, che ne migliora la redditività, promuovendo il recupero dei terreni per usi produttivi”.
Che l’Agrivoltaico sia un passo avanti rispetto agli impianti fotovoltaici fissi installati a terra non v’è dubbio. Tuttavia il profluvio di promesse miracolistiche sul connubio virtuoso tra fotovoltaico e agricoltura non bastano a fugare molti interrogativi in chi di agricoltura a vario titolo si occupa.
In realtà l’Agrivoltaico è un tema su cui scarseggiano analisi accurate, ricerche sul campo e conoscenze consolidate. A uno studioso rigoroso e non certo contrario allo sviluppo del fotovoltaico come Paolo Pileri dobbiamo la critica più severa della disordinata corsa al fotovoltaico a terra. Mentre sull’argomento specifico dell’agrivoltaico ci pare che ci si limiti, nel migliore dei casi, a fornire un elenco dei vantaggi e svantaggi potenziali.
In queste condizioni ci sembra utile far circolare il servizio di Reporterre che pubblichiamo qui di seguito. Pur riferendosi a un contesto come quello francese, per certi aspetti assai diverso dal nostro e non certo in peggio, questo servizio ha il pregio di aggiungere ulteriori elementi di conoscenza e di riflessione su una tecnologia che lascia ancora molti dubbi circa la sua validità agricola e la sua convenienza economica. Per non parlare dell’aspetto paesaggistico, che qui non viene affrontato ma che in molti casi è altrettanto importante .
Reporterre è un media indipendente che si occupa di ecologia in tutte le sue forme. Il periodico è gestito da una associazione senza fini di lucro finanziata dai lettori. La linea editoriale di Reporterre è quella di considerare che la questione ecologica è la sfida politica essenziale dell’inizio del XX secolo.
La versione originale del sevizio ( pubblicato in tre diverse parti ) è reperibile al seguente indirizzo: Agrivoltaïsme : les panneaux solaires poussent dans les champs (reporterre.net)
Agrivoltaico: i pannelli solari proliferano nei campi
La moltiplicazione di progetti agrivoltaici sta alimentando le preoccupazioni sul futuro della terra. Anche se talvolta c’è un interesse agronomico, questa pratica spesso si riduce a una questione di tanti soldi. La nostra indagine in tre parti.
[1/3] La diffidenza dei contadini
La proliferazione di progetti “agrivoltaici” in Francia sta destando crescente preoccupazione. Agricoltori e attivisti si rifiutano di permettere che i terreni agricoli vengano dirottati all’elettricità.
“Presto non avremo più agricoltori ma guardiani del parco fotovoltaico che rimuoveranno le erbacce…A Mouterre-sur-Blourde, nelle tranquille valli della “Piccola Svizzera” nel sud della Vienne, la vendita di un allevamento di 500 pecore ha subito suscitato l’appetito delleaziende fotovoltaiche, che si sono rivolte a industriali e agricoltori per installare pannelli solari.
Allertata da un vicino di casa allevatore, Isabelle Moquet, membro in pensione della giovanissima associazione Les Prés survoltés, ha iniziato a informarsi su questi cosiddetti progetti “agrivoltaici”. “Che si mettano pannelli su un capannone, in una vecchia cava o nei parcheggi, va bene. Ma non c’è urgenza di metterli nei campi”, dice. Tuttavia, è ai terreni agricoli che la maggior parte delle aziende energetiche si sta rivolgendo.
La redditività dei progetti sulle coperture degli edifici privati sembra loro troppo bassa, e considerano troppo pesanti i vincoli normativi sulle aree artificializzate, spesso inquinate o, al contrario, ricche di nuova biodiversità protetta. A differenza delle ex cave o dei siti industriali dismessi, i terreni agricoli rappresentano anche un immenso stock di superfici pianeggianti e prive di barriere, una topografia favorevole allo sviluppo di progetti su decine di ettari, che sono più redditizi.
Così, per installare a un costo inferiore e il più rapidamente possibile i 100 GW di energia fotovoltaica entro il 2050 promessi dal programma energetico pluriennale, i terreni coltivabili sono l’Eldorado dei promotori e l’agrivoltaico la loro terra promessa. In totale, secondo l’Agenzia per la transizione ecologica (Ademe), nel 2022 in Francia esistevano già quasi 200 impianti fotovoltaici su terreni agricoli. E quasi 1.000 progetti sono in cantiere, secondo la Federazione francese dei produttori agrivoltaici.
Il 26 settembre, più di 200 organizzazioni agricole, associazioni ambientaliste locali, partiti politici e sindacati, hanno firmato una dichiarazione congiunta in cui chiedono una massiccia opposizione a tutti i progetti sviluppati “su terreni agricoli, naturali o forestali”. I firmatari denunciano una pratica che non è altro che “marketing finalizzato a legittimare l’opportunismo fondiario e finanziario in un contesto difficile per il mondo contadino”.
Insieme ad Attac e Les Amis de la Terre, la Confédération paysanne è in prima linea in questa battaglia contro l’agrivoltaico. Per Laurence Marandola, il nuovo portavoce del sindacato degli agricoltori, “agri e voltaismo sono due parole che non vanno d’accordo. Quello che temiamo e che stiamo già vedendo sul campo è la competizione tra le due attività, la produzione di energia e quella alimentare”. La richiesta del sindacato: “Una moratoria sul fotovoltaico a terra fino a quando non saranno già utilizzate tutte le superfici coperte e già artificializzate. Quando arriveremo a quel punto, discuteremo di nuovo le esigenze di fotovoltaico a terra.»
Rifiuti e manifestazioni
Questa presa di posizione arriva dopo un anno ricco di mobilitazioni, con diversi momenti di scambio sul tema durante il raduno dei Resistenti a Larzac o le Assemblee Contadine di Bure e la mobilitazione di quasi 300 manifestanti nel Lot contro il progetto TotalEnergies che vuole installare 19 ettari di pannelli fotovoltaici nel cuore del Quercy.
Più a ovest, a Lacour, un piccolo villaggio nella regione del Tarn-et-Garonne con meno di 200 abitanti, i pannelli solari del gruppo Valeco potrebbero presto coprire 120 ettari di terreno agricolo. La prospettiva allarma alcuni rappresentanti eletti e residenti: lo scorso agosto, una consigliera comunale e tre abitanti del villaggio hanno presentato ricorso al tribunale amministrativo di Tolosa per invalidare la decisione che apriva le porte agli sviluppatori di fotovoltaici.
L’agrivoltaico è una preoccupazione anche all’interno del mondo agricolo tradizionale, che è diffidente nei confronti dell’afflusso degli sviluppatori di energia solare e del loro appetito per la terra . Alcune camere dell’agricoltura [La Camera dipartimentale dell’agricoltura è l’organo consultivo, rappresentativo e professionale degli interessi agricoli, NdT] hanno prodotto documenti per regolamentare i progetti, anche lo scorso febbraio prima del voto sulla legge che intende accelerare la produzione di energie rinnovabili [ Publication de la loi relative à l’accélération des énergies renouvelables | Ministères Écologie Énergie Territoires (ecologie.gouv.fr) ]. Questo lavoro ha permesso, ad esempio, alle aree zootecniche del Massiccio Centrale di opporsi a qualsiasi progetto.
In un documento votato nel 2019, la Camera dell’Agricoltura dell’Aveyron ha dichiarato che qualsiasi “progetto istituito in aree agricole sarà rifiutato”.In queste regioni, dove si potrebbero ancora insediare giovani agricoltori , si teme in particolare per la trasmissione, e la successione dopo il pensionamento dei titolari.
Vaste aree di prateria sono particolarmente sul radar dei costruttori, quindi il mondo dell’allevamento è diffidente. “Quello che non voglio è che le greggi vengano usate come scusa per mettere pannelli”, spiega Mickael Tichit, presidente della sezione ovina della FDSEA di Lozère, la sezione dipartimentale del sindacato agricolo maggioritario (FNSEA).
Si oppone all’agrivoltaico perché, da un lato, c’è il rischio di speculazione fondiaria – “per pochi progetti che daranno valore a terreni che non ne hanno, affonderemo l’intero settore” – e, dall’altro, il pericolo per gli agricoltori che affittano terreni – ” un proprietario si porrà inevitabilmente la domanda su cosa sia più interessante tra l’affitto a un giovane e l’avere il reddito dei pannelli”.
All’interno del settore stesso, alcune voci stanno mettendo in guardia sugli eccessi dell’agrivoltaico. “Lo Stato si è completamente disimpegnato dalla politica energetica. L’ha lasciata alla logica privata, che cerca la crescita e la moltiplicazione dei progetti. Su dieci o venti progetti, ne avrai solo uno che si realizzerà effettivamente. E nel frattempo crea un enorme disordine territoriale, con un prezzo dei terreni deregolamentato”, spiega Alice, che è stata project manager delle energie rinnovabili per sei anni presso un’azienda energetica.
Per convincere gli agricoltori, le Camere dell’agricoltura e i dipartimenti governativi, gli sviluppatori stanno evidenziando i presunti benefici che l’agrivoltaico avrebbe per l’agricoltura. Certo, i pannelli saranno installati su un terreno agricolo ma, giurano, sarà senza ostacolare la coltura e fornendo anche ombra e protezione contro la grandine, i picchi di calore o il gelo, dicono.
“In realtà, non avevamo alcun contenuto scientifico a sostegno di questa tesi, solo alcuni rapporti prodotti dagli stessi sviluppatori, senza cifre precise a lungo termine”, afferma Guillaume Schmidt, ingegnere che ha lavorato in uno studio di progettazione di Lione tra il 2020 e il 2022.” A volte ci limitavamo a dire: ‘Lasciate perdere questo appezzamento dove metteremo dei pannelli. Ha comunque dei cattivi raccolti. Ripiegate su un altro.”»
Guillaume Schmidt ha finito per lasciare la sua azienda, disgustato dai rapporti di forza tra industriali e agricoltori, che riteneva troppo sfavorevoli al mondo contadino. “Negoziamo con agricoltori che lottano per guadagnarsi da vivere con la loro attività, e ripongono immense speranze finanziarie nei progetti agrivoltaici.» aveva denunciato già mesi fa nella rivista Silence
Per gli industriali, il terreno di negoziazione è perfetto. È quasi impossibile per un agricoltore preso dalla gola dai debiti rinunciare ai 3.500 euro all’anno per ettaro che gli verrebbero affittando il suo terreno a un costruttore, mentre un grande industriale non vedrà la necessità di installare pannelli solari sui tetti delle sue fabbriche o dei suoi parcheggi per fare più margini.
Dalle loro rispettive aziende, Guillaume e Alice hanno anche osservato i giochi di influenza locali, le tensioni e i piccoli accordi tra amministratori locali, camere dell’agricoltura e prefetture intorno all’installazione di pannelli fotovoltaici sui terreni agricoli. “Alcune camere dell’agricoltura fatturavano studi agronomici per conto di sviluppatori fotovoltaici. Per di più, sono gli stessi organi che danno un parere consultivo al prefetto sull’importanza dell’installazione di pannelli in questa o quell’azienda. C’è un chiaro rischio di conflitto di interessi”, spiega Guillaume Schmidt.
La loro utilità è ancora tutta da dimostrare
Nel Massiccio Centrale, Alice ha notato che di fronte al rifiuto delle Camere dell’agricoltura e di parte del mondo agricolo, la strategia dei promotori è quella del logoramento: “Stanno scommettendo su una strategia a lungo termine: ci sarà un momento in cui le camere contrarie ai progetti agrivoltaici saranno costrette a cedere sotto la pressione dello Stato”, che ha importanti obiettivi produttivi da raggiungere.
L’assunzione della FNSEA alla copresidenza di France Agrivoltaïsme, la principale lobby del settore, e la votazione della legge per accelerare la produzione di energia rinnovabile nel febbraio 2023 potrebbero essere proprio il segnale tanto atteso. Ma queste tecnologie devono ancora dimostrare la loro utilità per il mondo agricolo.
[2/3] Gli incerti benefici dell’agrivoltaico per l’agricoltura
L’agrivoltaico è al servizio dei progetti agricoli? Sebbene possa essere di interesse in casi specifici e su scala molto ridotta, non è stata ancora fornita alcuna prova di benefici agronomici.
Drôme e Vaucluse: Relazione
Una struttura alta 5 metri, campate metalliche su cui sono poste linee di pannelli solari che ruotano su un asse motorizzato seguendo il percorso del sole. Sotto ci sono ventisette filari di alberelli piantati la scorsa primavera. “È carino, vero?” Più che altro, è sorprendente per un frutteto di ciliegi.
Arboricoltore di Loriol-sur-Drôme (Drôme), Adrien Clair non ha scelto un’installazione del genere per l’estetica, ma per far fronte al moltiplicarsi dei problemi climatici: “Due anni fa abbiamo avuto il gelo, abbiamo perso l’intero raccolto di ciliegie”, dice. Freddo, vento, grandine, siccità… Da quando è entrato a far parte dell’azienda di famiglia Clair Fruits, il giovane è alla ricerca di soluzioni per adattarsi al clima che cambia: piantare alberi di melograno e kiwi, nuove tecniche di potatura degli alberi, e ora pannelli fotovoltaici per proteggere le sue colture.
Dopo un test su 2.500 m², all’inizio di settembre Clair Fruits ha inaugurato un impianto agrivoltaico cosiddetto “dinamico”su un appezzamento di 2,8 ettari di giovani alberi di ciliegio. Sono le 15 del pomeriggio e i motori del sistema sono impegnati con un certo fracasso per ruotare i pannelli e far entrare quanta più luce solare possibile.
C’è un interesse finanziario per l’agricoltore? “La mia priorità è garantire la produzione di frutta.Non ricevo nulla, nemmeno un centesimo, né l’affitto, né la partecipazione al progetto”, afferma Adrien Clair. E non c’è motivo che lui si indebiti. Sun’Agri, l’azienda a cui è associato, ha guidato il progetto ed è responsabile della programmazione dei pannelli e della loro manutenzione, dal momento che è proprietaria dell’installazione – un modello che è tutt’altro che generalizzato, dato che la maggior parte degli agricoltori riceve un compenso.
Un’idea nata in Giappone
Chi ha mai avuto questa idea atipica di mettere i pannelli sopraelevati? Inizialmente, questi sistemi hanno avuto origine in Giappone, dove la disponibilità di terra è molto limitata. L’installazione di micro-progetti su 0,1 ettari ha permesso di fornire un back-up elettrico locale. In Francia, la diffusione del termine “agrivoltaico” si deve a Christian Dupraz.
Dopo anni di lavoro nel campo dell’agroforestazione – della cui associazione francese è tuttora presidente – questo ricercatore dell’Istituto nazionale francese di ricerca per l’agricoltura, l’alimentazione e l’ambiente (INRAE) ha unito le forze negli anni 2010 con un ingegnere dell’azienda Sun’R. Insieme, hanno lanciato il programma di ricerca chiamato “Sun’Agri” e scritto le prime pubblicazioni scientifiche e una definizione nel 2012. «Il rapporto tra pannelli e coltura deve essere valutato da due punti di vista: da un lato, la competizione per la luce, dall’altro, gli incerti benefici microclimatici», spiega il ricercatore.
Un decennio e tre programmi di ricerca dopo, Sun’Agri è diventata una consociata interamente controllata da Sun’R, specializzata in soluzioni di adattamento ai cambiamenti climatici. L’azienda dispone di una ventina di piccoli impianti funzionali nella Valle del Rodano e nel Rossiglione, e sta preparando una cinquantina di progetti da 3 a 5 ettari, la superficie massima consigliata dallo stesso Dupraz.
Inizialmente abbastanza isolata in questa nicchia, l’azienda è ora affiancata da tutte le società energetiche: TotalEnergies, Engie Green, EDF Renewables, TSE, Voltalia, Urbasolar, ecc. che realizzano progetti molto più imponenti. Sapere cosa rientra o meno nell’ambito dell’agrivoltaico diventa una questione essenziale: se i progetti rientrano nell’ambito di applicazione della legge, non saranno ufficialmente conteggiati come artificializzazione del terreno.
La legge sull’accelerazione della produzione di energia rinnovabile (Aper), votata a febbraio 2023, ha infatti fissato un quadro iniziale e una definizione ufficiale: i moduli fotovoltaici devono “apportare direttamente” a una produzione agricola “significativa” uno di questi quattro benefici:miglioramento del potenziale e dell’impatto agronomico, adattamento ai cambiamenti climatici, protezione dai rischi, miglioramento del benessere animale.
Progetti giusti, prepotenze e imbrogli
Per ottenere l’accettazione dell’agrivoltaico, è necessario evitare di riprodurre i modelli distorti del passato. Fino ad ora, l’interesse per l’agricoltore è stato principalmente per i benefici economici della produzione di elettricità. Gli anni 2010 hanno visto la nascita di centinaia di capannoni, inutili, ma dotati di pannelli per la produzione di energia elettrica che all’epoca era molto costoso acquistare da parte di EDF. Nel 2019 è stata la volta delle “serre fotovoltaiche” a fare scandalo. Nei Pirenei Orientali, un’indagine amministrativa ha rivelato che due terzi di essi erano privi di qualsiasi attività agricola per la maggior parte dell’anno.
Da qui la sfida sia per i promotori che per gli agricoltori di distinguersi, almeno in apparenza, da queste esperienze riprovevoli del passato. “Servono delle regole. Ma forse si impedisce di fare automobili perché ci sono dei cattivi piloti? Chiede André Bernard. Direttore dell’EARL (Entreprise agricole à responsabilité limitée) la Comtesse, a Uchaux, nel Vaucluse, che da cinque anni equipaggia le sue serre di pannelli.
Anche come presidente della Camera regionale dell’agricoltura della regione Provenza-Alpi-Costa Azzurra, André Bernard si scontra con una relativa ostilità nei dipartimenti, o anche all’interno della FDSEA (Federazione dipartimentale dei sindacati delle aziende agricole), il sindacato agricolo maggioritario e produttivista: “Alcune persone sono contrarie, ma non hanno nemmeno il coraggio di venire a vedere di che cosa si tratta!” Vuole mostrarci la sua serra fotovoltaica, costruita sei anni fa, dove da cinque anni produce una dozzina di colture orticole in tutte le stagioni: asparagi, pomodori, melanzane, peperoni, spinaci, ravanelli…
“Mio padre un tempo coltivava tutto questo in campo aperto, protetto da siepi di cipresso, ma ora non è più possibile”, spiega André Bernard. Il motivo: il cambiamento climatico e il vento Mistral, che stanno seccando i raccolti nella pianura del Rodano. Sotto la serra fa solo un po’ caldo, non disturbato da raffiche di vento. “Quando ero presidente della Camera e con mio suocero che era sindaco, mi ci sono voluti tre anni per ottenere i permessi. Il 90% delle persone avrebbe rinunciato, ma guardate il risultato! »
Mentre i pomodori nei campi sono ancora la principale fonte di reddito per l’azienda, l’orticoltura funge da base per la diversificazione: “Senza questa protezione, non coltiveremmo più ortaggi”. A parte la concimazione, André Bernard non utilizza prodotti sintetici nella serra. Per questa serra, André Bernard “ha messo a disposizione il terreno senza ricevere alcun affitto”.
In cambio, beneficia della struttura costruita dagli sviluppatori. Ha anche costruito una nuova serra più sperimentale, con pannelli bifacciali e vari gradi di ombra per coltivare fragole senza terra. “Naturalmente ci devono essere delle regole, un meccanismo di controllo. L’amministrazione sa come farli bene per la PAC o lo zero residui. Ma non dobbiamo lasciarci sfuggire questa opportunità. »
L’interesse per l’agricoltura è stato debolmente dimostrato
Mentre gli sperimentatori sembrano molto soddisfatti del risultato, cosa dice la scienza sugli effetti dell’agrivoltaico sulla produzione agricola? Innanzitutto, i risultati conclusivi sono ancora molto limitati. In secondo luogo, questi riferimenti agronomici riguardano varietà specifiche per determinati tipi di produzione, in particolare nell’arboricoltura, nell’orticoltura e nella viticoltura.
Negli ultimi cinque anni, l’INRAE ha monitorato l’effetto dei pannelli sulla crescita della vite e dell’uva nel sito sperimentale di Piolenc a Vaucluse. Angélique Christophe è ricercatrice in ecofisiologia presso il team Etap (Efficienza nella Traspirazione e Adattamento delle Piante ai climi secchi) di Montpellier. Ha partecipato ai primi studi che valutano i benefici di un’ombreggiatura moderata da parte di pannelli pilotati, in particolare sul consumo di acqua e sulla qualità dell’uva.
“Bisogna tenere conto dell’effetto sulle rese di un anno, ma anche di quelle dell’anno successivo, della quantità di ombra prima e dopo la fioritura e della reazione a seconda del vitigno”, spiega. Per avere un’idea dei risultati sulle rese, è necessario ora trovare conferme su aziende agricole private o su terreni appartenenti alle camere dell’agricoltura.
Nella fattoria sperimentale di Étoile-sur-Rhône (Drôme), sono cauti sui benefici dell’impianto pilota costruito nel 2021 per ospitare diverse varietà di alberi di pesco e albicocco. Sì, c’è effettivamente una “diminuzione del consumo di acqua a causa della copertura dinamica”, ha osservato Sophie Stévenin, direttrice di questo sito della Camera dell’Agricoltura della Drôme, ma ” i risultati possono essere valutati solo nell’arco di cinque anni”.
Calo dei rendimenti
Per confrontare i modelli con le sperimentazioni concrete, è stato appena istituito un centro di ricerca nazionale INRAE a Lusignano (Vienne). Partecipano cinquantasei partner pubblici e privati. Uno degli obiettivi è quello di poter stabilire, sulla base di risultati coerenti, riferimenti per specie, per varietà, per tipo di suolo e per climatologia.
Per Christian Dupraz, tuttavia, le prime lezioni generali si possono già trarre. Effettuando una sintesi di una trentina di esperimenti con risultati significativi provenienti da tutto il mondo, il ricercatore ha concluso in una recente pubblicazione che “il tasso di copertura dei pannelli – la loro superficie piana rispetto all’ettaro – è direttamente correlato con il calo delle rese”, che diminuiscono massicciamente se questo tasso supera il 25%. E per un semplice motivo: “È impossibile garantire le stesse rese quando si intercetta tra il 20 e il 50% della radiazione solare, a meno che questi pannelli non siano pilotati“, afferma il ricercatore.
Tuttavia, per i promotori dell’agrivoltaico, la sfida è quella di coprire fino al 45% della superficie per ettaro. Alcuni progetti sono impostati su seminativi e, soprattutto, su terreni zootecnici molto ricercati, che offrono la possibilità di installazioni molto estese. Sebbene le federazioni nazionali degli ovini e dei bovini elaborino varie carte di buona condotta, mancano ancora riferimenti scientifici su questi progetti.
Quello che già sappiamo, tuttavia, è che la produzione di latte o di carne rimarrà sempre non abbastanza remunerativa. Mikaël Tichit, della sezione ovini della FDSEA di Lozère, avverte: “Non si possono tenere in piedi con dei sussidi progetti agricoli strutturalmente in perdita. Ciò che è necessario è pagare il lavoro e la produzione a un prezzo remunerativo”. Una lotta che sembra difficile da far comprendere, talmente tante le difficoltà nella sopravvivenza delle aziende agricole che portano molti proprietari terrieri ad accettare le condizioni poste dai promotori [dell’agrivoltaico, NdT]
Agrivoltaico: una parola, quattro tecnologie diverse
Mentre il principio dell’agrivoltaico è comune a tutti, i tipi di impianti possono essere molto diversi. Possono essere classificati in quattro famiglie.
- 1. L’ombra fissa è la forma più semplice e la più soggetta a cautela. La differenza principale con un parco terra “classico” è che i pannelli sono più alti e i filari sono più distanziati, soprattutto quando si vuole lasciar passare le macchine agricole. Questi progetti possono essere riscontrati nell’allevamento di ovini e bovini, nonché nelle colture cerealicole. Sono offerti da aziende come GLHD, VSB o TSE. Da notare che INRAE Clermont-Ferrand ed Engie Green stanno attualmente studiando l’utilità di installazioni fisse, ma questa volta verticali, chiamate “siepi agrivoltaiche”.
- 2. I “Trackers”: sono pannelli che ruotano con il percorso del sole e quindi ottimizzano l’efficienza elettrica, di quasi il 40% in più rispetto a un orientamento a sud. L’azienda OkWind, ad esempio, è specializzata in questi sistemi montati su palo per allevamenti avicoli all’aperto.
- 3. I pannelli “dinamici” fanno fare un ulteriore passo avanti alla tecnologia. Questa volta, i moduli possono essere ruotati lungo uno o due assi, ma sono accoppiati con un sistema di controllo computerizzato che permette di regolare i pannelli in base alle esigenze delle piante, in particolare viti e alberi da frutto. Queste tecniche sono sviluppate principalmente da Sun’Agri e Ombrea, che è stata appena acquisita da TotalEnergies.
- 4. Infine, le serre agrivoltaiche cosiddette di “nuova generazione”: sono serre chiuse, il cui tetto è ricoperto per un terzo da pannelli che permettono il passaggio di parte della luce tra i moduli e anche tra le piccole celle che compongono il pannello.
Tuttavia, si tratta di proposte commerciali per le quali il riscontro dell’esperienza pratica è troppo insufficiente per poter concludere che una particolare tecnologia è efficiente.
[3/3] La folle corsa dei colossi dell’energia
Nella fretta di raggiungere rapidamente gli obiettivi di produzione di energia rinnovabile, gli sviluppatori stanno ideando sempre più megaprogetti. Una gara che potrebbe rapidamente condannare questo giovane settore.
“Per produrre il doppio dell’energia solare, bisogna che ci impegniamo tutti ! E non solo il settore dei terreni degradati, ma coinvolgendo anche il mondo agricolo, industriale ed economico”. Patrick Pouyanné è entusiasta. A fine settembre, l’amministratore delegato di TotalEnergies ha ricordato che il suo gruppo mira a entrare nella “top five” dei produttori di elettricità rinnovabile al mondo. Il boss della multinazionale petrolifera non è l’unico a voler approfittare dell’entusiasmo per il fotovoltaico.
Nessuna azienda energetica sta sfuggendo all’attuale corsa all’installazione di pannelli solari sui terreni coltivati, con progetti su una scala mai praticata prima. In tutte le fiere agricole sono presenti stand, modelli e promozioni di aziende energetiche che promettono questa versione XXL della “sinergia” con l’agricoltura. In media, i progetti oggetto di studio hanno un’estensione compresa tra i 10 e i 30 ettari, che è già dieci volte superiore a quella dei progetti sperimentali.
In questa media, ad esempio, si colloca il gruppo VSB Energies nouvelles. “Stiamo cercando aree di almeno 15-20 ettari, che è la dimensione critica per essere sufficientemente redditizia in termini di distanze e costi di connessione”, afferma Adrien Appéré, direttore dello sviluppo di VSB.
Per un pugno di ettari
Alcuni operatori non si fermano qui. Nel Lot-et-Garonne, 1.300 ettari di seminativi saranno presto coperti in sei comuni. Questo progetto, del valore di oltre 1 miliardo di euro, è sostenuto da cinque aziende, tra cui GLHD. Un nome poco conosciuto che si sovrappone a due azionisti di maggioranza, al 45% ciascuno: EDF Renewables e Cero Generation, filiale del fondo di investimento australiano Macquarie.
Il loro progetto nel Lot-et-Garonne: 500 ettari di cereali irrigui sostituiti da allevamento ovino e piante aromatiche (60 ha), sovrastati da pannelli fissi e “tracker” (pannelli che ruotano seguendo il corso del sole), il tutto con il sostegno della locale Camera dell’agricoltura. Un progetto di tale portata implica per di più altre grandi opere, tra cui la costruzione di nuove cabine di trasformazione elettrica e linee ad altissima tensione, che stanno già provocando proteste locali.
Secondo i programmi di RTE (Réseau de Transport d’Electricité), il collegamento sarà possibile nella migliore delle ipotesi non prima del 2030, tra sette anni. Nessuna preoccupazione per GLHD, che ha già molto a che fare con un altro progetto nelle vicine Landes, chiamato Terr’Arbouts: 700 ettari in trentacinque fattorie nei comuni di Saint-Gein e Pujo-le-Plan e un’opposizione che sta prendendo forma, guidata in particolare dalla Confédération paysanne e dal Modef (Movimento per la difesa delle famiglie di agricoltori), che denuncia un ” un vasto progetto industriale e privato che utilizza la motivazione agricola per rafforzare la propria legittimità”.
Qualunque sia la dimensione del progetto, il modello economico che si sta diffondendo è quello che spesso si osserva nel mondo dell’energia: un industriale sfrutta una risorsa (in questo caso la radiazione solare), gli viene garantito un prezzo minimo dallo Stato o da un’azienda. In cambio, egli paga un canone annuo al proprietario – e talvolta al conduttore – per l’affitto di ogni ettaro occupato dalla sua struttura. Per essere implementato, questo sistema richiede molti capitali: a seconda del tipo di installazione, tra 600.000 e 1 milione di euro per ettaro per il progetto completo, dalla prospezione al completamento.
È redditizio? I promotori qui sono molto più timidi quando si tratta di dare informazioni . La maggior parte di loro ci ha preccisatoche il loro margine di redditività è tra il 6 e l’8% su un aqrco di trent’anni e che la struttura viene ammortizzata dopo vent’anni, ossia la durata dei contratti sottosritti con lo Stato o con un’azienda privata.
Alcuni operatori, come Sun’Agri di Clair Fruits nella Drôme, obbligano il rivenditore di energia elettrica a rinunciare a parte della massima produzione di elettricità possibile per soddisfare il fabbisogno agricolo, ma non vi è alcun obbligo per altri progetti di fare altrettanto.
Le aziende energetiche concordano su un punto: nonostante il grande investimento iniziale e i possibili adeguamenti alla produzione agricola, l’agrivoltaico costa la metà delle installazioni su grandi coperture: meno difficoltà tecniche e normative ed economie di scala sulla connessione. Tuttavia, nulla impedirebbe di raggiungere l’obiettivo di 100 gigawatt (GW) di capacità fotovoltaica entro il 2050 utilizzando solo tetti, magazzini, parcheggi e altre superfici già artificializzate, come dimostrato da Cerema e Ademe, l’Agenzia francese per la transizione ecologica.
Quindi, perché puntare alla terra? Perché l’attuale politica in materi di produzione mira principalmente a mantenere il prezzo dell’elettricità il più basso possibile. Nelle gare d’appalto proposte dalla Commissione di regolamentazione dell’energia, questo è sempre il criterio principale per la selezione dei progetti. Automaticamente, questo porta a favorire il candidato privato che offrirà il costo di produzione più basso possibile e, così facendo, progetti su superfici più grandi e redditizie.
1 milione di ettari di terreno già “messi al sicuro”
Il paradosso è che affidare il raggiungimento degli obiettivi rinnovabili all’iniziativa privata porta a decuplicare il numero di progetti. E oggi, per fare tutto allo stesso tempo, hanno dovuto prima “assicurarsi” il terreno facendo firmare ai proprietari promesse di locazione per anni, promettendo loro una remunerazione regolare una volta che il progetto fosse stato costruito.
Fino a 1 milione di ettari di terreno sono già stati contrattualizzati, senza contare le nuove aree attualmente in fase di sottoscrizione, secondo un’indagine interna condotta dai sindacati del settore fotovoltaico citata all’inizio di ottobre dal media GreenUnivers. Solo che, su ogni dieci progetti presentati, solo pochi saranno realizzati.
Per quanto brutale, questa corsa alla terra rischia di essere di breve durata. L’obiettivo da Emmanuel Macron è quello di raggiungere i 100 GW di capacità fotovoltaica installata entro il 2050, “garantendo un giusto equilibrio tra installaziannunciato lo scorso annooni su coperture e a terra”, ovvero circa 40 GW di potenza aggiuntiva su coperture e altrettanti a terra, completando i 18 GW già installato a metà del 2023. Supponendo che vengano impiegati solo terreni agricoli per raggiungere questo obiettivo di 40 GW a terra, sarebbero necessari circa 50.000 ettari – la capacità media dei progetti agrivoltaici è di 0,8 MW/ettaro, con pannelli di ultima generazione, più potenti e distanziati.
Christian Dupraz, ricercatore dell’INRAE (Istituto Nazionale di Ricerca per l’Agricoltura, l’Alimentazione e l’Ambiente) all’origine del concetto in Francia, ritiene “ragionevole” avere un obiettivo di 100.000 ettari, ovvero ” circa lo 0,5% della superficie agricola utile”. Per i sostenitori dell’agrivoltaico, che si dichiara virtuoso, la sfida è sapere come verranno distribuiti questi progetti: Si fanno 100 progetti da mille ettari o centomila da un ettaro?chiede Christian Dupraz, che propende chiaramente per la seconda opzione.
Non è impossibile immaginare che i pannelli solari saranno installati su un’area più grande di questi 100.000 ettari, ma va tenuto presente che la produzione fotovoltaica è molto concentrata nelle ore centrali della giornata, dalla primavera all’autunno. Ora, se si produce troppo nello stesso orario, si corre il rischio di momenti di sovrapproduzione di energia elettrica: quest’estate sono state osservate difficoltà nel venderla sul mercato europeo. Una trappola che dovrebbe essere presto superata con l’installazione di impianti di stoccaggio o di autoconsumo collettivo locale. Ma i progetti agrivoltaici al momento non sono pensati in questo modo, con il maggior costo economico e ambientale che ciò genererebbe.
Da parte sua, il governo ha un’altra priorità: ottenere risultati e installare rapidamente capacità produttiva, in particolare per smettere di pagare multe all’Unione europea per non aver raggiunto gli obiettivi di energia rinnovabile.
Promotori troppo avidi
La frenesia dei progetti ha suscitato proteste, in particolare da parte delle Commissioni dipartimentali per la conservazione delle aree naturali, agricole e forestali (CDPENAF). Questi organismi, composti da amministratori locali, rappresentanti dello Stato e della professione agricola, svolgono un ruolo chiave nello sviluppo dell’agrivoltaico: la legge Aper richiede il loro assenso per la nascita di un progetto.Il paradosso è che affidare il raggiungimento degli obiettivi rinnovabili all’iniziativa privata porta a decuplicare il numero di progetti. E oggi, per fare tutto allo stesso tempo, hanno dovuto prima “assicurarsi” il terreno facendo firmare ai proprietari promesse di locazione per anni, promettendo loro una remunerazione regolare una volta che il progetto fosse stato costruito.
Fino a 1 milione di ettari di terreno sono già stati contrattualizzati, senza contare le nuove superfici attualmente in fase di sottoscrizione, secondo un’indagine interna condotta dai sindacati del settore fotovoltaico citata all’inizio di ottobre dal media GreenUnivers. Salvo che, su ogni dieci progetti presentati, solo qualcuno sarà realizzato.
Per quanto brutale, questa corsa alla terra rischia di essere di breve durata. L’obiettivo annunciato lo scorso anno da Emmanuel Macron è quello di raggiungere i 100 GW di capacità fotovoltaica installata entro il 2050, “garantendo un giusto equilibrio tra installazioni su coperture e a terra”, ovvero circa 40 GW di potenza aggiuntiva su coperture e altrettanti a terra, completando i 18 GW già installa
Questa opposizione non impedisce che aumenti la pressione sui rappresentanti agricoli riluttanti, soprattutto perché la FNSEA (Federazione Nazionale dei Sindacati degli Agricoltori) è sempre più coinvolta nel sostegno ai progetti agrivoltaici a livello nazionale. Dopo aver firmato accordi con TotalEnergies e EDF Renewables, il sindacato agricolo maggioritario fortemente legato agli interessi agroindustriali è entrato a far parte di France Agrivoltaïsme, la principale lobby del settore. Però comincia a preoccuparsi per l’impennata dei progetti e dell’attività di prospezione degli sviluppatori nel mondo agricolo, soprattutto da quando la legge è stata approvata lo scorso marzo. “Da un anno è cominciata una corsa ad accaparrarsi i terreni”, ammette Olivier Dauger, vicepresidente della FNSEA incaricato per le questioni energetiche e climatiche e ormai co-presidente di France Agrivoltaïsme.
L’urgenza del momento si avverte a tutti i livelli, anche nel lavoro delle autorità ambientali. Così, in Nuova Aquitania, “dall’inizio dell’anno, il numero di progetti di parchi fotovoltaici a terra è aumentato in modo significativo”, spiega a Reporterre Pierre Quinet, capo missione della DREAL (Direzione regionale per l’ambiente, la pianificazione del territorio e l’edilizia abitativa) della Nuova Aquitania, che ha deciso di formulare raccomandazioni generali identiche per progetti troppo similari.
Per calmare questi ardori, una soluzione radicale ed efficace sarebbe quella di vietare puramente e semplicemente ogni pagamento di affitti ai proprietari terrieri. Per il momento, questi non sono soggetti ad alcuna disciplina, e vanno da 2.000 a 4.000 euro per ettaro all’anno, a seconda della zona geografica. Per “convincere” gli agricoltori, alcuni sviluppatori, soprattutto quelli molto piccoli, non esitano ad alzare la posta in gioco diventando “procacciatori di affari” per i gruppi più grandi e offrendo somme di 5.000, 8.000 o persino più di 10.000 euro per ettaro all’anno.
Per il vicepresidente della Fnsea, tra l’affitto proposto dai costruttori e il reddito dell’attività agricola, “c’è uno squilibrio”. Ha aggiunto: “Ecco perché dobbiamo separare la produzione di energia dalla produzione di cibo” e quindi evitare che un agricoltore ottenga il suo compenso in base alla produzione di energia. Solo che per gli sviluppatori non importa quanti soldi vengono promessi: la sfida è soprattutto quella di controllare il territorio, e di sbaragliare la concorrenza.
Intanto nei corridoi del ministero dell’Agricoltura prosegue il confronto sui contenuti definitivi del decreto attuativo sull’agrivoltaico, che fisserà il tasso massimo di copertura per ettaro come tasso di perdita agricola consentito. Il 16 ottobre, l’associazione France Agrivoltaïsme si è allarmata in un comunicato stampa dicendo che “questo periodo di riflessione sul decreto […] non dovrebbe essere usato come scusa per lasciar fiorire progetti che non soddisfano lo spirito della legge Aper . Ogni esempiocontrastante sarà un ulteriore passo verso una progettazione non adeguata “.
Il 25 ottobre sono stati i Giovani Agricoltori – un sindacato di agricoltori sotto i 38 anni, noto per essere molto vicino alla FNSEA – ad allarmarsi per l’esito dei negoziati ” tra irresponsabilità e incompetenza in spregio alla nostra sovranità alimentare”. Resta da vedere, quindi, se gli agricoltori e le compagnie energetiche raggiungeranno un accordo.
Ciao
Ci risiamo
Come per le aree industriali negli anni ’70, le aree a servizi negli anni ’80, le aree commerciali negli anni ’90, le aree per la logistica negli anni 2000, ci risiamo!
Si torna a rubare terra slla produzione di cibo.
L’agrivoltaico (si intende quello a terra, perchè sui tetti si poteva già fare prima e va bene) è compatibile con l’agricoltura come una tangenziale!
Un enorme cavallo di troia pieno di grossi capitali, per lo più soldi nostri, che rovineranno addosso al “fattore terra”, comprometteranno per sempre terreni vergini. Non è mai successo per le precedenti ondate di barbari speculatori, che si riuscisse a ripristinare l’uso agricolo di questi terreni. Per lo più Giacciono la abbandonati e vengono scientemente ignorati all’ondata speculativa successiva che si rivolge a nuovo a terreni agricolo intonsi come nuove vergini da stuprare.
L’effetto: saranno sbattuti fuori quei contadini che , con fatica e sudore cerca di produrre alimenti, portando un aumento dei prezzi dei terreni e degli affitti.
Tanti agricoltori a fine ciclo potranno lasciarsi attirare dalle sirene di facili guadagni a scapito delle prossime generazioni che si troveranno intere aree agricole piene di rottami .
Ed è ovvio che tutto questo nulla ha a che fare con l’eventuale produzione di corrente pulita o calcoli di costi benefici ambientali ecc. Questi speculatori guadagnano nel mettere a terra gli impianti, del resto non frega niente a nessuno come per i capannoni degli anni 70 che rimasero per lo più vuoti.
Ma siamo uomini o caporali?
Resistere , Resistere, Resistere.