EL TAMISO festeggia i suoi 40 anni
Sono ormai poche le cooperative agricole ancora esistenti tra quelle che nacquero, per iniziativa di un certo numero di giovani contestatori e di qualche testardo figlio di contadini, intorno agli inizi degli anni 80 del secolo scorso. Li spingeva la ricerca di forme di vita e di lavoro più giuste e solidali e il desiderio di ritrovare un rapporto autentico con la natura. E’ in quell’ambiente che si manifestò, come stiamo cercando di documentare, il rifiuto del modello agricolo intensivo fondato sulle energie fossili, e la sperimentazione di un’agricoltura più rispettosa dell’ambiente e delle sue diverse forme di vita che presto si chiamò “biologica”.
Quest’anno la cooperativa El Tamiso di Padova festeggia i suoi primi quaranta anni di vita. La Cooperativa ebbe un ruolo molto importante nel percorso che portò alla nascita di Aiab, l’Associazione italiana per l’Agricoltura Biologica che fu la prima, e ancor oggi attiva, espressione organizzata del movimento del biologico. Abbiamo perciò pensato di intervistare Franco Zecchinato che è stato tra i fondatori di El Tamiso, di cui è ancora oggi presidente, e che partecipò fin dalle sue prime battute alla nascita del movimento biologico fino a diventare il secondo presidente di Aiab. Gli abbiamo chiesto quali furono a suo giudizio i passaggi fondamentali di quel percorso, quali le scelte in gioco e quali le conseguenze delle decisioni prese in un arco di tempo che va dalla fine degli anni 70 fino al termine del secolo scorso.
Pubblichiamo qui di seguito la sua testimonianza, che speriamo sarà seguita da quelle di altri protagonisti di quelle vicende. Subito dopo riportiamo anche il comunicato stampa della Cooperativa con cui si da notizia di una importante iniziativa culturale con Miguel Altieri e Clara Nicholls, nell’ambito delle iniziative per il proprio quarantennale.
Venivamo da un mondo movimentista
Franco Zecchinato – intervista 19 marzo 2024
Aiab fa risalire le sue origini a un convegno tenutosi a Firenze nell’ottobre 1982in occasione della mostra mercato Herbalist da cui nacque la famosa Commissione per definire cosa si dovesse intendere per biologico in Italia…
A me pare che sia stato nel settembre 1983. L’ ìniziativa fu presa dal nucleo originario di AAM Terranuova che era nato nel ‘77 a Bologna. Quello di Firenze era il primo incontro per mettere a confronto le diverse e frammentate esperienze di agricoltura biologica-biodinamica in Italia e all’estero. Hanno organizzato questo convegno nazionale e invitato quelli che allora erano gli esponenti del mondo biologico dell’epoca. E’ stato quel convegno che ha messo le basi per la creazione della Commissione nazionale “Cos’è biologico” con lo scopo di fare delle norme condivise. Ti posso elencare i nomi dei partecipanti che mi ricordo. Sicuramente c’era il prof. Francesco Garofalo dell’Associazione Suolo e Salute di Torino, mentre non sono sicuro che ci fosse Ivo Totti. Ricordo che c’era Riccardo Cozzo di BioAgricoop oggi BioAgricert che faceva l’agronomo a Bologna e c’era anche Mario Intindoli un altro agronomo che stava in Val Maira. Poi c’era Adriano Del Fabro già esponente dell’Associazione Friulana per l’Agricoltura Biologica-Biodinamica.
In quel periodo stavano nascendo i Coordinamenti Regionali. Io ero presente per il Coordinamento Veneto insieme a Filippo Zaccaria della Biolca. Poi c’era Mimmo Tringale del Coordinamento Toscano e Leonardo Valenti dell’Associazione Marchigiana per l’Agricoltura Biologica, uno dei fondatori de La Terra e il Cielo funzionario regionale del settore agricoltura delle Marche.
Nelle Marche nei primi anni ‘90 i Verdi avevano vinto tanto, come in tutta Italia, e hanno avuto per un po’ di tempo l’assessore all’agricoltura di cui Leonardo era collaboratore. Comunque in quella riunione a Herbalist c’erano questi soggetti che ti ho elencato e anche qualcun altro che adesso mi sfugge, forse c’era anche Paolo Rizzo, perché c’erano anche i siciliani, ricordo che aveva un furgone Volkswagen adibito a camper, il mitico Trasporter. L’avevo già conosciuto in occasione della prima mostra del biologico che abbiamo visto, tenutasi sotto il Museo dell’automobile a Torino. Nel corso di quello stesso viaggio siamo anche andati a fare visita ad Alce Nero. A Torino eravamo andati con grande curiosità io e il mio amico Luciano Sarà stato il ‘78, ricordo che siamo andati in autostop.
Cosa ricordi della Commissione Cos’è biologico?
I lavori durarono un paio di anni, grosso modo dal 1983 al 1985. Lavoravamo discutendo e esprimendo ciascuno le proprie visioni. Per fare un esempio c’era un confronto sull’uso della plastica tra il gruppo storico siciliano di Paolo Rizzo contrario e il gruppo friulano che diceva che la plastica gli serviva per fare la pacciamatura perché da loro piove e l’erba cresce. Si discuteva tantissimo, i siciliani non volevano ammettere le colture protette nel biologico. Ci vedevamo piuttosto spesso, per un periodo credo mensilmente. Poi è successo che non si riusciva a andare avanti perché ogni volta arrivava sempre gente nuova e allora si è deciso di affidare l’elaborazione a un gruppo. Ci siamo candidati in 4 o 5 qui del Veneto per redigere una bozza che potesse essere approvabile. Altrimenti non se ne usciva più. Mi ricordo anche i nomi dei membri del gruppo. C’era Sebastiano Luise, padovano, laureato in agraria, che ha fatto da tecnico di campo dopo di me per il Coordinamento Veneto, che poi è scomparso dal settore. Poi c’era l’architetto Maurizio Lazzarotto, ancora operativo, che era del giro antroposofico di Padova. Un altro è Attilio Scudeller, trevigiano, che faceva parte di quel gruppo che noi definivamo Cristiani Primitivi che avevano la loro “chiesa” a Torre, la borgata periferica di Padova, e che poi hanno preso un villaggio intero in Toscana: Poggio Antico. Poi c’era anche Daniele Dal Molin di Marostica, all’epoca faceva parte della cooperativa Entroterra e oggi credo sia ancora presidente dell’organo di controllo Bios. E poi c’ero io per AAM Terranuova. All’epoca diffondevo il giornale a Padova. I “capi” veneti di AAM Terranuova erano Beppe Sivero e la sua compagna di allora Loredana Dolci, dell’associazione e ristorante vegetariano “La Coccinella” di Verona.
Ma tu come eri entrato in contatto con AAM Terranuova?
Ricordo che il Giornalone piegato in quattro è cominciato a arrivare poco dopo il famoso convegno sulla la repressione del ‘77 a Bologna. All’epoca Roberto Pinton, che avevo conosciuto a 18 anni era già segretario della LOC (Lega Obiettori di Coscienza) che era ospitata presso il partito Radicale di Padova. Siamo stati tra i primi nel 1976 a fruire della legge sul Servizio Civile Alternativo e abbiamo fatto un annetto insieme qui vicino, al comune di Sant’Angelo di Piove. Lui mi ha introdotto nel giro dell’associazione culturale La Biolca che promuoveva l’alimentazione vegetariana, integrale, macrobiotica e mi ha fatto conoscere Filippo Zaccaria, il compianto fondatore nel 1977 della Biolca, morto alcuni anni fa. Associazione che è ancora oggi attiva a Padova. Credo di aver visto arrivare lì dentro il Foglione di AAM Terranuova. Loro cercavano qualcuno che avesse le mani in pasta nell’agricoltura come me, così ho cominciato a frequentare l’ambiente.
Ricordo ancora che nel 1985, l’anno del grande freddo, in cui in Toscana sono morti tutti gli ulivi e a Padova siamo andati a meno 20, in quei due – tre giorni lì sono andato a Roma col furgone: un viaggio indimenticabile, per fare il mio primo intervento pubblico all’interno di un corso di formazione organizzato da AAM Terranuova. Lì ho conosciuto Pino Desario, Rosalba e Carla Sbalchiero, Maria Grazia Frison e altri. Mi ricordo che ero emozionatissimo a parlare di questo tema dell’agricoltura per cui mi è venuta una congestione, un mal di testa…A quell’epoca avevamo già costituito la cooperativa El Tamiso. Nel ‘85 uscivamo da quei circa due anni di confronto all’interno della Commissione Cos’è biologico ma non ricordo la data precisa della pubblicazione delle Norme.
Tutti quelli che hanno firmato il primo disciplinare del biologico hanno partecipato ai lavori, o alcuni si sono limitati a sottoscriverlo?
A differenza di AAMTerranuova e dei Coordinamenti di Veneto, Lazio e Toscana, i firmatari: Legambiente (ARCI), Associazione Biodinamica sezione Lazio, Associazione Suolo e Salute, sono solo sottoscrittori. Invece BioAgricoop Bologna era una cooperativa di tecnici ed ha partecipato ai lavori. Così come la coop. Nuova Terra di Cuneo. Dei tecnici indicati in calce al primo testo ciclostilato ( https://storiedelbio.it/wp-content/uploads/2021/04/cose-il-biologico-1985.pdfpagg. 3/7 ): Adriano Del Fabro, Enrico Accorsi, Egon Giovannini, Luigi Daina, hanno partecipato tutti tranne Ivo Totti che, pur non avendo partecipato direttamente ai lavori, ha sottoscritto le norme.
Ma di quello che avevate studiato all’Istituto Agrario e all’Università non c’era proprio nulla che vi sia servito? Il fatto che tra di voi ci fossero dei tecnici non è stato importante?
All’epoca l’insegnamento dell’agronomia era molto ma molto peggio di adesso, era assolutamente indirizzato all’agricoltura industriale. Negli anni ‘60 e ‘70 di quella che era l’agronomia che può pensare a una sostenibilità ambientale, che mi ricordi, non c’era nulla.
Io ho acquisito dei dati, delle visioni, letti sempre in maniera molto critica, perché avevo la visione di casa mia, di mio padre. Quando ho incontrato gente che la pensava come me ho detto ciao a quel che si insegnava. All’università personalmente non avevo niente da fare, non c’era nulla che mi interessasse.
Dal 1985 quando escono le prime norme al 1988 quando nasce Aiab cosa è successo?
Dove eravamo presenti c’erano le commissioni regionali di certificazione, con una composizione il cui schema era stabilito a livello nazionale. Poi c’erano dei tecnici di campo che venivano mandati in giro con delle schede di rilevazione aziendale e che dovevano fare la famosa “prova della vanga”, ritornata oggi in auge con Rete Humus. Sono andato anch’io, ricordo di aver fatto un giro nel Triveneto per visitare una serie di produttori. Io ero diplomato in agraria e sono stato iscritto per breve tempo alla facoltà di Agraria dell’Università di Padova. Pensavo che l’Università fosse una normale evoluzione della mia passione ma dopo un anno di quel posto, vecchio, stantio, al primo pre-esame abbiamo sbattuto la porta in due.
In quegli anni credo che abbiamo lavorato tutti moltissimo. Un po’ per consolidare questi Coordinamenti regionali tra produttori, consumatori e distributori di prodotti biologici. Consolidarli sul piano del confronto, della discussione, anche delle norme che andavano sempre molto discusse. E molto poi per farlo diventare un primo sistema distributivo di scambi. E lì abbiamo lavorato molto su sto tema che sta a cavallo tra la prima organizzazione distributiva e un lavoro identitario per capire chi siamo, dove andiamo, cosa facciamo. Poi eravamo anche piuttosto settari, ma se arrivava qualcuno che annusava il business dovevamo in qualche modo trovare degli anticorpi.
Sul piano distributivo cosa stavate facendo?
Il contesto in cui io ho vissuto in quegli anni era soprattutto legato alla sviluppo della cooperativa El Tamiso, però in collegamento con tutte le altre esperienze che stavano crescendo in varie parti d’Italia. Il nostro compito era quello di far evolvere le realtà presenti all’interno del Coordinamento Veneto, che poi diventerà Aiab Veneto. C’erano una decina di associazioni tipo La Coccinella di Verona o come Il Germoglio di Castelfranco, o ancora l’Associazione biodinamica e biologica di Verona. C’erano gruppi a Belluno, a Treviso, i quali come la Biolca a Padova erano nati come momenti di divulgazione culturale e siccome non c’era un mercato del biologico, tutti avevano uno spaccio, avevano avviato attività distributive interne per i soci. Per cui il Coordinamento Veneto ha ovviato a questo problema, hanno mandato noi col furgone per capire da chi comprare. Alla fine è stato molto facile, abbiamo preso contatto principalmente con: Arabios in Sicilia, La Terra e il Cielo nelle Marche, un gruppo di produttori in Alto Adige e la riseria Lesca nella Lomellina. Perchè il punto era questo: portare a casa le arance, le mele, il riso, la pasta. Poi è arrivata anche Valli Unite ma noi veneti andavamo in cerca principalmente di queste cose.
Io frequentavo l’Alto Adige e il Trentino per portare a casa le mele. A parte la nostra vendita diretta Padovana di quattro aziendine agricole, l’attività che ci hanno chiesto di fare era il distributore. Così abbiamo preso un piccolo capannone a Legnaro, vicino a Padova, e abbiamo cominciato a raccogliere ordini dalle associazioni, dai loro spacci e a trasmetterli al fornitore. Contemporaneamente ci siamo organizzati come una piattaforma distributiva, col muletto, il furgone e tutto quello che serve. Pensa che il Tamiso nel 1987-88 faceva 4 miliardi di lire. Adesso sono 11 milioni e mezzo di euro. Ma all’epoca non c’era ancora Ecor, eravamo poco più che l’unico distributore legato al movimento.
Come è avvenuto nel 1988 il passaggio a Aiab?
Rispetto alla Commissione cos’è biologico ci sono state nel frattempo delle defezioni: BioAgricoop di Riccardo Cozzo che era una cooperativa di tecnici, si è messa in proprio, così come Mario Intindoli della val Maira. Quando il 17 settembre 1988 a Collegno (TO) viene costituita l’Associazione Italiana per l’Agricoltura Biologica quelli che entrarono a farne parte, vado a memoria, erano: la cooperativa di consumo Cultura e Vita di Bolzano, con cui eravamo in contatto sia come El Tamiso sia come Coordinamento Veneto. Uno dei luoghi in cui la Cooperativa ha cominciato a lavorare di più in virtù di questo Coordinamento Triveneto è stato subito l’Alto Adige. In cui noi andavamo su col furgone pieno e tornavamo col furgone di nuovo pieno. Comunque c’era, oltre a questa coop bolzanina, dalla Lombardia Agrisalus di Gianni Cavinato, che è padovano come me. Credo che ci fossero sicuramente i marchigiani, i friulani, noi del Coordinamento Veneto, la cooperativa di Armando Mariano di Villafalletto (in quell’occasione abbiamo deciso di fare presidente Mariano e io vice), il Coordinamento Toscano, dall’Emilia Romagna Enrico Accorsi e soprattutto Antonio Compagnoni (con il gruppo di cooperative intorno a Vignola e Bologna), i laziali (ma non so bene chi ci fosse), i sardi no, i siciliani non lo so ma penso di si…
Com’era strutturata Aiab?
Era una organizzazione di secondo livello. Aveva uno statuto di carattere federale nel senso che i poteri decisionali, delle politiche, ecc. avevano sede nelle regioni ed erano costituiti dai soci organizzati nei Coordinamenti regionali. Poi c’era un momento di coordinamento che era l’Associazione che aveva innanzitutto la funzione di rappresentare questa visione federativa di biodiversità a livello nazionale. Ricordo che lo stesso anno della costituzione di Aiab c’era stata anche la circolare Zarro, sottosegretario del ministro dell’agricoltura Goria, che aveva provocato numerosi sequestri di prodotti biologici in tutto il paese e aveva reso più evidente la necessità di aggregazione e di voce collettiva.
Ma Aiab federale non era anche il custode del disciplinare e della sua applicazione?
Si, ma si trattava di linee guida nazionali, poi ognuno cercavadi adattarle alle proprie particolarità. In quegli anni dal ‘88 in poi (io credo di essere diventato presidente nel 1989), intanto abbiamo assunto nel 1988 Maria Coladangelo, alla segreteria, il primo dipendente di Aiab federale, e abbiamo selezionato con un mini concorso interno, Paolo Carnemolla che abbiamo assunto poco dopo come coordinatore del sistema di controllo. Poi abbiamo assunto anche Paolo Foglia e dopo qualche tempo Maurizio Agostino. Il che vuol dire che dal ‘88 in poi abbiamo passato il tempo a organizzare il sistema di controllo nazionale che però era su base regionale. Quindi ogni regione aveva la sua Commissione di certificazione. Ogni organismo regionale che faceva parte di Aiab gestiva il sistema di controllo interno di Aiab con i tecnici di campo, ecc. Le norme erano norme nazionali e piano piano si sono concentrate le attività di coordinamento sul piano nazionale. Quindi le norme dovevano essere uniformate, così come le procedure. Il primo lavoro che ha fatto Carnemolla e continuato fino al ‘90 è stato proprio il cosiddetto Manuale Operativo che doveva essere la bibbia comportamentale di tutta questa banda di biodiversi che c’era in giro per l’Italia. Era proprio un manuale operativoche spiegava bene cosa fare, non era un complesso di norme. Stabiliva come organizzare il sistema di controllo.
Quello che sostanzialmente continua in quegli anni è il percorso evolutivo delle norme di Cos’è biologico. Continua, detto papale papale, questo processo di diminuzione valoriale e aumento tecnico. Nel senso che le prime norme erano un complesso di valori-obiettivi e poca tecnica. Però poco a poco il tecnico prende il sopravvento sia sul piano dei contenuti, sia sul piano operativo. Durante quegli anni io andavo su e giù da Padova dove avevo già un lavoro infinito. E poi dovevo andare a Bologna, anzi prima a Firenze quando era segretario Amos Unfer.
Dopo Firenze abbiamo strutturato la sede con una persona dipendente e con la sede a Vignola. Poi siamo passati a Bologna in Strada Maggiore nello stesso stabile dove c’è Nomisma.
Per cosa avevate assunto tutte queste persone?
Per organizzare il sistema di controllo. L’associazione faceva attività culturali, di organizzazione, di coordinamento ma soprattutto cresceva sul piano del sistema di controllo. Quando è arrivato il regolamento europeo (CE2092/91) noi avevamo 13.000 soci perché gran parte delle aziende biologiche erano controllate in base al nostro sistema di certificazione che era precedente a quello CEE.
Avevamo il nostro sistema di controllo privato che era amministrato a livello locale e coordinato a livello nazionale-federale. Se qualcuno sgarrava..erano continue polemiche perché venivamo da un mondo movimentista per cui quando viene uno che vuole imporre una visione unitaria nascono le discussioni.
Quando è uscito il regolamento 2092 del ‘91 noi ci siamo trovati nella necessità di capire cosa fare.
Allora cosa succede?
Amab, l’Associazione Mediterranea per l’Agricoltura biologica, su pressione di Gino Girolomoni esce da Aiab . Prima non aveva motivo di uscire. La loro scelta è stata quella di gestirsi in autonomia il sistema di controllo. Quindi mentre prima Amab era una associazione che faceva parte di Aiab, nel ‘92 con l’accreditamento come organo di controllo in conseguenza del regolamento CEE, si mettono in proprio. Ma a quel punto nascono anche altri enti certificatori: CCPB che era quello delle cooperative “rosse”; BioAgricert di Riccardo Cozzo e pochi altri in successione. Amab continua a esistere come associazione culturale e hanno organizzato il loro sistema di controllo che si chiamava Imc (Istituto Mediterraneo di Certificazione) che poi hanno venduto a CCPB dopo diversi anni.
Nel 92 nasce in ambito CCPB la FIAO (Federazione Italiana Agricoltura Organica) quella che oggi Federbio dice di essere alla propria origine. L’ente di certificazione aveva bisogno di darsi anche una veste associativa tipo quella di Aiab. Però tirando dentro anche la Coop, il mondo distributivo, in particolare quello cooperativistico, che voleva avere il suo strumento, che poi ha ancora adesso come Federbio.
Ma anche l’ambizione di Aiab e prima ancora dei Coordinamenti regionali, era quella di mettere insieme produzione, trasformazione, distribuzione e consumo….
Si ma la Coop non viene in Aiab. La Coop comanda non è che viene in Aiab a fare il federato. Per cui si sono costituiti la loro Associazione che poi si chiama anch’essa federazione. Però è la premessa per quella che è poi diventata Assobio. Cioè tutti i vari distributori agroindustriali che si mettono insieme per occuparsi del biologico.
Per parte nostra tenevamo insieme AAM Terranuova che rappresentava la visione culturale- storica e, dal punto di vista distributivo – economico, parecchie cooperative che avevano la loro capacità distributiva come Il Salto in EmiliaRomagna. e Confabi in Friuli. Peraltro ti ricordo che fino a una certa epoca, non ti so dire esattamente quando, uno non diventava socio di Aiab federale; diventava socio dell’associazione locale, la quale a sua volta aveva un patto federativo con le altre associazioni. Sempre in discussione, sempre discutibile, con vari livelli di organismi dirigenti: Consiglio Direttivo; Comitato Esecutivo, Presidenti regionali.
Lo statuto prevedeva che ogni Coordinamento regionale devolvesse una quota dei ricavi dei controlli al livello federale perché erano loro a fare i controlli. Con 13.000 associati eravamo il 70% dell’agricoltura biologica italiana dei primi anni.
Prevedeva anche che ogni Assemblea Regionale dei soci eleggesse i delegati all’Assemblea Federale i quali eleggevano a loro volta il Consiglio Direttivo che comprendeva anche i Presidenti Regionali come membri di diritto. Il Consiglio Direttivo svolgeva funzioni rappresentative dell’Assemblea e di garanzia politica e aveva un Presidente eletto al proprio interno che però non partecipava alla fase esecutiva, un po’ come il nostro Presidente del Senato. Invece il Presidente Federale era eletto direttamente dall’Assemblea Federale insieme al suo Esecutivo, su lista bloccata. Io l’ho fatto per due mandati e il mio Comitato Esecutivo era costituito da Maurizio Gritta e Nino Paparella.
Fin dalla sua nascita Aiab è entrato a far parte di Ifoam (la federazione internazionale dei movimenti per l’agricoltura biologica) e già nel 1990 organizzava, a Vignola, la prima “Conferenza internazionale dell’agricoltura biologica nei paesi mediterranei” per evidenziare, nell’ambito della sezione europea di Ifoam, le peculiarità dell’agricoltura biologica mediterranea.
Nel ‘99 tu lasci la tua presidenza. Come mai?
Non mi candido più, ero stufo! E’ stata una scelta sia personale che politica. Io ho fatto il doppio lavoro per tanti anni a cavallo tra la cooperativa El Tamiso che cresceva a dismisura e Aiab che cresceva pure lei a dismisura. Ho dovuto sempre mediare in qualche modo tra l’ala movimentista, a cui anch’io appartenevo, e quella più pragmatica rappresentata da Paolo Carnemolla, allora Direttore e Responsabile del Sistema di Controllo.
Il Ministero dell’Agricoltura rompeva le scatole sul fatto che le attività culturali non erano compatibili con il controllo ma in realtà c’era dietro un progetto politico precedente.
Eravamo molto invidiati da tutti i soggetti: da BioAgricoop e CCPB ai Marchigiani di IMC. Eravamo un po’ il trave nell’occhio perché Aiab era troppo grossa, troppo invasiva nel senso che avevamo uffici in tutte le regioni e un numero preponderante di controllati. Penso che fossimo arrivati al 70%, gli altri sta cosa se la vivevano molto male. Per cui viene fuori progetto di fare l’unità, di fare l’aggregazione con CCPB per crescere ancora suddividendo le competenze.
Noi avevamo un patrimonio notevole di uffici, di computer, di personale, di tecnici accreditati, di segreterie, di commissioni di certificazione. Voglio dire che avevamo un patrimonio di competenze assolutamente ineguagliabile in quel momento in Italia. Per cui il CCPB ci teneva molto a appropriarsi di questo patrimonio dicendo che noi avremmo fatto la cultura anche politica.
Era stato Carnemolla a trascinarci in questa vicenda e avevamo contrari tutti gli altri della minoranza: i fratelli Cirronis e Vizioli, la Micheloni e Brambilla sia pure su posizioni diverse. Poi Paolo ha avuto una grave malattia, che lo ha allontanato dal lavoro per diverse settimane, e noi abbiamo deciso di lasciar perdere perché abbiamo capito che l’operazione aveva solo degli svantaggi. Così Carnemolla quando si è ripreso ha trovato maggioranza e opposizione d’accordo, decisi a non fare questa cosa. Credo che fosse il ‘99. Io però ero stremato, non mi sono più candidato. Sono rimasto, sbagliando, nell’esecutivo per un paio di anni.
Nel sito di Aiab c’è scritto che nel 1999 inizia il percorso per separare l’attività di certificazione e trasformare Aiab in un’associazione culturale e che nel 2000 nasce Icea….
Esatto. Ti riepilogo gli eventi. Se ne è discusso in quegli anni, con me nell’esecutivo c’era anche Gaetano Paparella , e si costruisce il progetto ICEA. Però a quel punto io mi sono scarsamente interessato.
C’è la presa di posizione del Ministero che definisce incompatibile l’attività politico-culturale con quelle di controllo, e questo avvalora il proposito di fare la separazione come aveva già fatto Amab con Imc.
A distanza di anni chi in Europa come Soil Association ha mantenuto entrambe le funzioni (a differenza di quanto successo in Francia con Nature et Progrés) ha dimostrato che non era certo conveniente per il “movimento” quello che sosteneva il Ministero.
Fare questa divisione con da una parte Vizioli (Aiab) e dall’altra Paparella (ICEA) ha comportato che le due parti esprimessero punti di vista sempre più lontani. Chi ci ha perso di più è stato Aiab che ha ceduto personale, uffici, computers e know how, indebolendosi come capacità di aggregazione. Invece Icea, irrobustito con queste risorse, ha potuto consolidarsi e si è messo a fare in proprio attività culturali, tanto nessuno glielo poteva impedire, e così ci sono stati anni di conflitti tra Icea e Aiab.
Insomma chi ci ha rimesso è stata Aiab che ha perso i suoi 13.000 soci. Ma oggi anche Icea non è più l’organismo interessante che era allora perché ha perso quella cultura che lo collegava proprio ad Aiab. E’ diventato sempre più una struttura tecnico-burocratica, di fatto alle dipendenze del Ministero e delle Regioni.
Adesso, dopo tanti anni, come vedi questo periodo della tua presidenza?
Era un periodo perfettamente calzante con quegli anni in cui era inevitabile crescere. Io ho sempre fatto in qualche modo quello che faccio ancora adesso in Cooperativa: quello di mantenere la barra dritta rispetto ai valori originari.
Noi non potevamo che essere federati, avevamo una biodiversità movimentista che bisognava in qualche modo mantenere e guidare. Però il sistema di controllo doveva essere unitario. Da questo punto di vista aveva ragione Carnemolla. E però era anche necessario valorizzare il movimento culturale. In quegli anni bisognava mantenere un doppio binario sinergico tra attività di comunicazione, di socialità, di cultura e l’attività distributiva, commerciale, e qui in cooperativa ritengo che siamo ancora in questa condizione positiva. E’ la caratteristica per cui El Tamiso è ancora al mondo dopo 40 anni, ed è per questo che li festeggiamo. Anche la cooperativa Valli Unite ne è un altro esempio forse ancora più limpido, perché è un’azienda agricola che non fa distribuzione; si vede ancora di più quest’aspetto della cultura e del lavoro come valore. Io credo che questo sia il filo conduttore dei quarant’anni che andiamo a celebrare, e questo valeva anche per quella Aiab di cui stiamo parlando. Voglio dire questa idea, secondo me rivoluzionaria, di gente come noi che si è messa in testa di tradurre in lavoro, in modelli economici dei valori senza perderli. Secondo me è un patrimonio da valorizzare, in una situazione come quella attuale in cui vale solo il commercio, la speculazione, l’economia intesa come dare un prezzo a tutto.
Quindi per te è questo il lascito di quel periodo…
Secondo me sì. Ritengo modestamente di aver rappresentato, e me lo riconoscono in molti, quegli anni del movimento che si struttura. Poi la strutturazione successiva a me non è più piaciuta perché è diventata specialistica, ha copiato il convenzionale come modello organizzativo. Secondo me l’organizzazione doveva evolvere ancora senza perdere i valori. Perchè una volta persi quelli ogni azione diventa vuota, come è diventata vuoto il sistema di controllo. Perchè noi eravamo orgogliosi del nostro sistema? Perchè era Aiab che faceva un servizio ai soci attraverso la sua struttura di certificazione, ma era sempre il movimento culturale che si organizzava in autonomia. Oggi se vedi il libro dell’Atelier Paysan “Liberare la terra dalle macchine” [Manifesto per una autonomia contadina e alimentare, LEF 2023], qual è l’obiettivo della auto costruzione di attrezzi agricoli? Dare autonomia al mondo contadino! Riprendersi in autonomia i mezzi della produzione sapendoseli fare. E’ l’agricoltura organica-rigenerativa, quella che produce i concimi con le foglie del bosco, la crusca l’acqua e lo zucchero. E’ questa la filosofia. Riprendere in mano l’autonomia, non dipendere completamente dalle macchine o dal gasolio o dalle banche. Non è facile, però la strada per il movimento contadino è questa se no non è mondo contadino, è quello di operatori agricoli dipendenti dai contributi. Poi li hai visti coi trattori.
Cooperativa agricola El Tamiso
13 APRILE 2024
PARLIAMO DI AGROECOLOGIA CON MIGUEL ALTIERI
Secondo i dati di UnionCamere, la vita media delle imprese italiane è 12 anni, con una maggior longevità nel Nord Est (13,3 anni) e per quelle del settore agricolo (16 anni). Festeggiare il traguardo dei quarant’anni per un’attività economica non è quindi così scontato, e lo è ancora meno per quelle che, come la Cooperativa agricola El Tamiso agli aspetti prettamente economici se ne affiancano altri apparentemente meno redditizi. Fondata nel maggio 1984 da una dozzina di (allora) giovani agricoltori biologici, convinti della necessità di abbandonare fertilizzanti e pesticidi chimici di sintesi, di tornare a basare la fertilità dei suoli sulla sostanza organica, di abbandonare le monocolture e di spingere sulle rotazioni agrarie, sulla biodiversità, sul recupero delle antiche varietà, sul benessere animale (e qui va considerato che la prima legislazione europea per disciplinare l’agricoltura biologica risale al 1991 e in Italia trovò applicazione solo nel 1993) dopo quarant’anni è ancora qui. E con bilanci in salute (sopra i 10 milioni negli ultimi anni), una base sociale aumentata a 53 agricoltori, un banco in Piazza delle Erbe (dal 1985) e un negozio sotto il Salone (dal 2017) a Padova, un banco a Venezia in Rio Terà dei Pensieri e uno a Mestre all’interno del Mercato Bio Equo e Solidale, consegne regolari a gruppi d’acquisto di consumatori a Padova, nella Riviera del Brenta e in Cadore, uno stand (dal 1996) al Mercato Agro Alimentare di Padova da dove i prodotti ortofrutticoli e i loro trasformati, tutti certificati da organismi di controllo indipendenti, raggiungono decine di negozi, mense, ristoranti, spacci di altre aziende agricole, aziende di trasformazione e distribuzione in tutto il Veneto, in Italia e all’estero Da sempre uno dei punti di forza della cooperativa è stata la particolare relazione con i cittadini, considerati più come partner di un progetto per la conversione dell’economia e della produzione in chiave di sostenibilità ambientale e sociale che banali clienti: a broccoli, pomodori e mele, da sempre El Tamiso affianca iniziative di ascolto, di divulgazione e di confronto. Per festeggiare degnamente i primi quarant’anni, organizza un primo evento per il prossimo sabato 13 aprile a Caltana di Santa Maria di Sala, a partire dalle ore 10.00 all’Agriturismo bio “Papaveri e Papere”, in Via Caltana 1. Un evento col botto, una giornata di agroecologia a cui invita cittadini consumatori, agricoltori e operatori delle filiera agro-alimentari, tecnici, amministratori pubblici, organizzazioni ambientaliste, operatori dell’informazione…
Il programma prevede
nella mattinata una visita guidata all’azienda agricola di Andrea Giubilato, a poca distanza nel cuore dell’antica Centuriazione Romana, per immergersi nell’applicazione pratica dei principi agroecologici, (in caso di meteo instabile è opportuno avere calzature adatte).
Segue buffet bio offerto dalla Cooperativa presso “Papaveri e Papere”.
Intorno alle ore 14 si terrà lo spettacolo, molto scenografico, del taglio col metodo tradizionale a mano di una forma di Parmigiano Reggiano di circa 40 kg. Il pugnale e l’apposito coltello a mandorla saranno maneggiati dagli esperti del caseificio sociale Santa Rita, che da oltre 30 anni produce artigianalmente Parmigiano Reggiano di montagna biologico nell’Appennino modenese, presidio Slow Food e collezionista di riconoscimenti in concorsi internazionali.
Al pomeriggio, il pezzo forte, con la lectio magistralis “Agroecologia per salvare il pianeta: rigenerare la terra e i paesaggi in crisi” di Miguel Altieri e Clara Nicholls.
Si tratta di un evento di assoluto rilievo: i due relatori sono tra i massimi esperti mondiali dell’applicazione dei principi ecologici alla produzione agricola e alla gestione degli agrosistemi.
Miguel Altieri, agronomo ed entomologo, è professore di Agroecologia presso il dipartimento di Scienze ambientali, politica e management dell’università di Berkeley, California, e per quattro anni è stato il coordinatore generale del programma di rete ed estensione dell’agricoltura sostenibile del Programma di sviluppo delle Nazioni Unite. Clara Nicholls, ricercatrice, insegna sviluppo rurale sostenibile alle università statunitensi di Berkeley, Stanford e Santa Clara. È assicurata la traduzione in italiano.
A seguire, una tavola rotonda con la partecipazione di Maurizio Agostino (agronomo, presidente di Rete Humus – rete sociale per la bio-agricultura italiana), Stefano Bianchi (“consumattore “, presidente dell’Associazione italiana per l’agricoltura biologica del Veneto) ed Enrico Maria Casarotti (enologo dell’azienda agricola biologica di famiglia e presidente dell’A.Ve.Pro.Bi, associazione veneta dei produttori biologici e biodinamici).
“L’agricoltura non è solo la grande vittima del cambiamento climatico, ma ne è anche uno dei principali motori, continuare a negarlo non migliorerà la situazione. L’impatto ambientale del sistema agroalimentare, piaccia o meno, causa il 37% delle emissioni totali di gas serra”, commenta Franco Zecchinato, presidente della cooperativa El Tamiso. “Il settore agricolo convenzionale si ostina a non ammettere che i terreni coltivati a agricoltura intensiva sono ormai esausti, senza più sostanza organica e sulla via della sterilità, richiedono dosi sempre più massicce di fertilizzanti chimici che ne peggiorano il già pessimo stato. Sui campi italiani si usano oltre 120mila tonnellate di pesticidi l’anno, che ormai si trovano anche negli habitat non coltivati intorno ai massicci montuosi, nei Parchi naturali e nelle aree protette, nel 67% delle acque superficiali e nel 34% delle acque di falda della Pianura Padana, nel 70% della frutta e nel 31% degli ortaggi campionati sul mercato dalle analisi ufficiali. L’agricoltura non può più rinviare un nuovo approccio all’ambiente, ai metodi di produzione e al rapporto con i cittadini consumatori, prima che sia troppo tardi. I nostri primi quarant’anni dimostrano che l’alternativa è possibile”. Il compleanno della cooperativa è un’ottima occasione per saperne di più.
Informazione e prenotazioni: Wathsapp 340 221 8963 – 335 726 6797 www.eltamiso.it sezione Eventi.
Ringraziando Giuseppe Canale per la bella e informativa intervista fatta a Franco Zecchinato e qui riprodotta desidero sottolineare un aspetto della vicenda solo in parte ricordata da Zecchinato. Il successo del bio in termini di superfici coltivate, consapevolezza dei cittadini e fatturato è legato a due fattori : il mantenimento del carattere movimentista di alcune realtà produttive, di cui El TAMISO è un buon esempio e il rapporto stabilito nella distribuzione capillare attraverso i Gruppi di acquisto solidale.
Per un periodo di venti anni a partire dal 2001 ho gestito una piccola azienda nella Marche di 15 ha (di cui solo una metà di mia proprietà ereditata) che ho convertito al biologico immediatamente affidando la certificazione prima a IMC e poi a ICEA. Ho coltivato in rotazione cereali (Farro dicocco, Orzo e Frumento Turanico), Leguminose ( Ceci,Lenticchie ,Erbamedica e Trifoglio alessandrino ( per seme). Ho impiantato 110 ulivi ( Leccino, frantoio e Piantona di Mogliano)Ho applicato con rigore pratiche agroecologiche ( Impianto di una siepe ai confini di tutta la superfice, impianto degli ulivi in filari per rimediare in parte alla mancanza di alberi eliminati per facilitare le lavorazioni meccaniche etc. Vendita dei legumi e di parte del farro dopo sbramatura e dell’olio di oliva ai GAS. La certificazione da parte di IMC e successivamente dell’ICEA è sempre risultata troppo costosa e purtroppo sulla base di visite aziendali annuali limitate a due-tre ore spese a controllare i registri e documentazioni cartacee con brevissime ispezioni nei campi in epoche spesso con raccolte dei prodotti già eseguite.