Ripensare la PAC, ripensare la UE
Le recenti agitazioni degli agricoltori che hanno manifestato sui trattori hanno senz’altro avuto il merito di suscitare un dibattito pubblico intorno alla PAC (la Politica Agricola Comune dell’Unione europea) che ha coinvolto anche il mondo del biologico: si veda, a titolo di esempio, il documento di un gruppo di agricoltori lombardi che abbiamo pubblicato nel febbraio scorso.
Adesso che le agitazioni si sono spente non se ne parla già più al di fuori della cerchia degli addetti ai lavori. Ma i problemi che sono stati accantonati con le discutibili decisioni delle istituzioni europee ( in ultimo quella del Consiglio europeo del 13 maggio scorso ) si ripresenteranno immutati col nuovo ciclo politico europeo che si aprirà con le elezioni europee del 6-9 giugno prossimi. Vale dunque la pena di riprendere la riflessione sul tema andando alle radici dei pregi e dei difetti di una costruzione (la PAC) che ha ormai più di 60 anni.
Avevamo a suo tempo pubblicato un estratto dal libro di Franco Sotte – La politica Agricola Europea. Storia e analisi – su questo tema per la parte riguardante proprio il periodo di applicazione della nuova PAC 2023-27 che si stava aprendo. Adesso pubblichiamo un suo recente articolo, in forma di intervista a un extraterrestre “Le proteste dei Trattori e la PAC “, già apparso su AgriFoglio.
La sintesi della storia della PAC, dei suoi attuali problemi, e delle possibili soluzioni che Sotte ci presenta si presta a una varietà di considerazioni che meritano di essere tutte discusse ed approfondite. Noi ci limitiamo qui a richiamare l’attenzione solo su alcuni temi di più pressante attualità.
Quando si ragiona sulle origini della PAC (di cui Sotte si occupa ampiamente nel primo capitolo del suo libro) si rischia di dimenticare che la cosa più importante, e ancor oggi fondamentale, fu la creazione del Mercato Unico Agricolo. Si calcola che nei sei Stati fondatori ci fossero prima circa 30.000 regole e leggi nazionali diverse. Dopo aver messo in comune con la CECA il carbone e l’acciaio, cioè “i cannoni”, con il trattato di Roma (articoli da 38 a 47) si mise in comune anche “il pane”. I cannoni e il pane erano sempre state le risorse con cui si facevano le guerre, e anche in questo modo la guerra tra gli stati europei fu resa impossibile.
Vale la pena di ricordarlo in un momento come questo, in cui in un altro contesto si torna purtroppo a parlare di “arma della fame”. Non dobbiamo dimenticare che il Mercato Unico Agricolo, che sta alla base delle diverse versioni di PAC che lo hanno innervato, rappresenta ancora oggi l’unico modo efficace di risolvere il problema della sicurezza alimentare in modo vantaggioso per tutti i paesi dell’Unione. Le critiche alla Politica Agricola Comune del momento non possono mettere in discussione l’importanza del Mercato Unico Agricolo. Chi oggi agita il vessillo dell’agro-nazionalismo, magari con manifestazioni sciovinistiche alle frontiere, contribuisce a spargere veleni che alla lunga possono inquinare i rapporti tra i popoli dell’Unione.
Spesso si tende ad attribuire alla politica agricola dell’Europa una razionalità economica che non è facile riscontrare. Se ci si limita a considerare la spinta produttivistica diffusa a tutti i livelli, si rischia di ignorare il peso considerevole che hanno avuto nelle vicende della PAC gli interessi dei diversi governi nazionali e delle lobbies agroindustriali.
La logica intergovernativa che presiede alle scelte dell’Unione, non solo in campo agricolo, determina accordi pieni di incongruenze e più costosi del possibile ( Sotte dice che ècome quando al ristorante si paga alla romana, e tutti finiscono col consumare e spendere più del bisogno ). Sono accordi che ben difficilmente rappresentano l’interesse generale dell’Unione. Il risultato di queste logiche in campo agricolo è stato il perdurare di una distribuzione iniqua dei pagamenti diretti in base alla quale lo 80% dei fondi è continuato ad andare al 20% dei beneficiari mentre agli altri, la stragrande maggioranza degli agricoltori, restano le briciole.
E’ la stessa logica che ha portato a formulare un’architettura verde della PAC 2023-27 che disturbasse il meno possibile gli interessi costituiti ( senza peraltro riuscire a evitare le proteste ) e a rinunciare ai più importanti obiettivi del Green deal agricolo non appena sono stati contestati.
Questa Europa intergovernativa gelosa del diritto di veto, ultimo simulacro di sovranità fittizie, è incapace di superare i piccoli interessi di bottega e alimenta delusioni e rifiuti, come in campo agricolo. E’ proprio questa la situazione, che per un attimo il Covid pareva aver fatto superare, che alimenta i sovranismi che rischiano di portare alla disgregazione dell’Unione.
Franco Sotte, già professore ordinario di economia e politica agraria presso l’Università Politecnica delle Marche. Ha fondato e diretto la rivista scientifica on-line Agriregionieuropa. È stato consulente della Commissione europea. È socio emerito della Associazione italiana di economia agraria ed applicata.
Le proteste dei trattori e la PAC:
intervista a PAC-MAN
Franco Sotte
Ho avuto recentemente il piacere di incontrare un alieno che, osservando le vicende della PAC dal suo remoto pianeta, tenta, e a volte gli riesce, di vedere più lontano di quanto non succeda a noi abitanti di questa terra. Noi che, condizionati dal fatto di osservare dal basso, abbiamo un orizzonte più limitato. Sia in senso spaziale: occupandoci di agricoltura, spesso non vediamo oltre il nostro campo. Così come, con riferimento al tempo, il continuo flusso di informazioni contingenti ci impedisce una visione di lungo periodo.
Questo alieno, che per l’occasione ha scelto per sé di chiamarsi PAC-MAN, ci ha cortesemente concesso una approfondita intervista che riportiamo integralmente. Il suo punto di vista, comunque, ha voluto precisare, è quello di esterno agli interessi strettamente agricoli. Da cittadino del suo pianeta, che però ha a cuore il futuro dell’agricoltura (anche di quella europea).
Domanda: Gentile PAC-MAN, lei che vede le cose molto da lontano, ci dia innanzitutto il suo parere complessivo sul ruolo della PAC in Europa.
PAC-MAN: La PAC ha avuto un ruolo fondamentale nella fondazione e nel consolidamento dell’Unione europea. Per decenni è stata l’unica politica compiutamente comune e, a parte i meriti settoriali (uno fra tutti: ha garantito in pochi anni la sicurezza alimentare), ha indubbiamente consentito al progetto dell’Unione europea di superare la profonda crisi politica che, negli anni Sessanta e Settanta e fino all’Atto Unico europeo di Delors del 1985, avrebbe potuto spezzare il patto sancito nel 1957 con il Trattato di Roma. Nel nostro pianeta abbiamo studiato a fondo la vostra PAC per farne tesoro nel costruire la nostra politica agricola comune.
Insomma, senza PAC forse non ci sarebbe stata l’Unione europea che avete oggi, con le sue grandi contraddizioni, ma anche con il suo enorme potenziale geopolitico, sociale ed economico.
D: Il suo giudizio dunque appare complessivamente positivo. La PAC ha avuto un ruolo fondativo dell’Unione e dei meriti settoriali. Da dove originano i problemi?
PAC-MAN: Dopo la Conferenza di Stresa del 1958, della quale in questi giorni ricorre il 66° anniversario, avete scelto di puntare tutto sui prezzi, fissandoli a livelli particolarmente alti e garantendoli attraverso acquisti pubblici, dazi alle frontiere e premi all’esportazione. Quella era una soluzione artificiale, che favoriva le agricolture nordeuropee già ben strutturate e soltanto alcune specializzazioni: cereali e colture industriali (le cosiddette commodity) oltre che latte, carne bovina e altri prodotti.
D: Ha garantito comunque la sicurezza alimentare.
PAC-MAN: Vero! Tanto che la Comunità europea dell’epoca è passata in pochi anni da prima importatrice di alimenti al mondo a seconda esportatrice, dopo gli USA. Questo va riconosciuto è stato il maggiore successo della PAC. Ma quella politica è costata talmente tanto da lasciare fuori o proteggere scarsamente gran parte dei prodotti mediterranei e di qualità che, proprio voi in Italia, siete specializzati a produrre, come vino, ortaggi, frutta, agrumi. E poi, soprattutto, mancava il sostegno necessario alle agricolture, come ancora quella italiana, che avrebbero avuto bisogno di interventi infrastrutturali e strutturali per costituire imprese agricole di dimensioni adeguate, dotate di tecnologie competitive e guidate da imprenditori professionalmente preparati. Altrimenti non sarebbero state in grado di competere alla pari con le più strutturate agricolture francese, olandese, ecc.
D: Da quella volta, però, la PAC è profondamente cambiata, i prezzi non sono più protetti come all’inizio e siamo passati nel 1992 ai pagamenti compensativi, poi nel 2003 al pagamento unico aziendale disaccoppiato ed ora alla graduale convergenza verso un aiuto al reddito uguale per tutti gli ettari dell’Unione.
PAC-MAN: Chi guarda troppo da vicino a volte si concentra sui cambiamenti di facciata. Dovete guardare oltre le apparenze. Quello che conta è capire chi nel tempo ha beneficiato maggiormente dei fondi della PAC. Se osservate la distribuzione dei pagamenti diretti l’80% va al 20% dei beneficiari che sono grandi percettori, mentre agli altri, la stragrande moltitudine di agricoltori restano briciole. E badate bene, la distribuzione è squilibrata anche dal punto di vista territoriale, perché i soldi si concentrano dove stanno i grandi percettori, Centro-Nord dell’Unione (e in Italia Valpadana e alcuni altri territori già naturalmente favoriti). Tant’è che tra grado di ruralità del territorio e pagamenti diretti c’è una evidente correlazione inversa, solo parzialmente compensata dai fondi dello sviluppo rurale. In altre parole, il sostegno va di più alle grandi pianure intorno alle aree urbane che alle agricolture più svantaggiate di collina e montagna. Al tempo stesso, i cosiddetti aiuti al reddito, pagati dai contribuenti, si concentrano nelle tasche di soggetti che hanno già redditi molto elevati.
La convergenza verso un pagamento ad ettaro uguale per tutti è ancora da realizzare. E comunque quella soluzione rivela esplicitamente la vera natura dei pagamenti diretti: quella di sostegno alla rendita fondiaria, che premia maggiormente le agricolture che utilizzano la terra con un ridotto impiego di manodopera e forte intensità di mezzi tecnici.
D: E chi ci perde?
PAC-MAN: Penalizzata è principalmente l’agricoltura che, concentrando lavoro su superfici più ridotte, produce prodotti di qualità ad alto valore aggiunto. Anche questo penalizza la vostra Italia, il cui peso nell’UE in termini di ettari è relativamente modesto, mentre primeggia in termini di lavoro occupato e valore prodotto per unità di superficie. Una ricerca ha stimato che, se il peso dell’agricoltura italiana nei confronti di quella dell’UE-15 (l’UE senza gli Stati membri dell’Est) fosse misurato, non solo con gli ettari, ma anche con l’occupazione, il valore aggiunto o il numero di aziende, l’Italia, rispetto alla media dell’UE-15, avrebbe dovuto e dovrebbe avere dalla PAC il 46% di fondi in più. Voi italiani insomma contribuite a finanziare questa PAC molto di più di quanto ne siate beneficiari. Ciò nonostante, tutte le volte che si è tentato di riformarla, eravate contrari. Perché, come insegna l’attuale scontro sull’esenzione dall’IRPEF o dalle accise sui carburanti, introdurre un privilegio è facile, ma se provi a toglierlo, hai i trattori in piazza. Il paradosso è che la strenua difesa dei privilegi è svolta da quelli che ricevono le briciole. Sono loro che garantiscono che la gran parte della torta vada a chi ci guadagna davvero.
D: La Commissione europea, lei converrà, fin dal tempo del Progetto ’80 del Commissario Mansholt, il padre della PAC, ha reiteratamente presentato proposte di riforma sostanziale della PAC, anche in risposta alle sollecitazioni della Corte dei conti europea. Anche il mondo della ricerca non ha mancato di fornire analisi e soluzioni in tal senso.
PAC-MAN: La reazione dei vostri governi però, nel Consiglio europeo e nei Consigli dei ministri agricoli, è stata quella di rigettarle e, quando questo non era proprio possibile, di annacquarle cambiando la forma ma non la sostanza della sua distribuzione iniqua. Qui va detto che una grandissima responsabilità l’ha il COPA-COGECA, l’l’organismo che rappresenta a Bruxelles le organizzazioni agricole nazionali (COPA) e quelle cooperative (COGECA). Sempre in difesa dello status quo. Di una politica che premia la rendita a spese del profitto e dell’iniziativa imprenditoriale, il breve termine rispetto alla strategia. In questo non è mancato il sostegno delle lobby dell’intera filiera agro-alimentare, anch’esse indirettamente beneficiarie del sostegno PAC attraverso le relazioni di mercato. E lo stesso Parlamento europeo ha delle responsabilità: troppo spesso ha appaltato senza interferenze i dossier agricoli alla sola ed esclusiva competenza della Commissione agricoltura, che uno studioso ha etichettato come a conservative forum welded to the defence of vested interests [un club conservatore votato alla difesa degli interessi costituiti, NdR ]. Solo di recente è stata coinvolta sui dossier agricoli anche la Commissione ambiente, e il Green Deal ha effettivamente inserito la politica agricola nel più ampio campo delle politiche alimentari. È anche contro questa invasione di campo che si schierano i trattori.
D: Converrà comunque che un aiuto al reddito come quello dei pagamenti diretti sia necessario per sostenere le imprese agricole che altrimenti non riuscirebbero a sopravvivere.
PAC-MAN: Nel mio pianeta non esistono settori produttivi nei quali, nel lunghissimo periodo (come quello in cui c’è stata la vostra PAC), le imprese non riescano a sopravvivere senza aiuti. Alcune certamente, le meno efficienti, chiudono, ma le restanti si riorganizzano e fanno profitti. È la legge del mercato. D’altra parte, come hanno fatto a prosperare le imprese vitivinicole, frutticole, orticole, floricole, avicole (ce ne sono tantissimi esempi) o tutte quelle che si sono diversificate con l’agriturismo, l’agricoltura sociale, la trasformazione o la vendita diretta? Nonostante queste non abbiano beneficiato per niente (o poco) degli aiuti PAC, non solo sono sopravvissute, si sono anche sviluppate e inserite con successo nel mercato.
La verità è che i vostri aiuti PAC sono come una droga che, specie se assunta per tanti anni, con il tempo crea dipendenza e attenua lo spirito imprenditoriale. Si finisce per “coltivare il contributo” anziché innovare e confrontarsi con il mercato. Adeguando l’offerta alla domanda, riqualificando la produzione, diversificando.
D: Deve riconoscere comunque che l’agricoltura ha le sue difficoltà a svilupparsi.
PAC-MAN: Certamente. Ma nel nostro pianeta invece di “aiutare” gli agricoltori con integrazioni di reddito, prendendo spunto proprio dalla vostra PAC, ma evitando i suoi limiti, abbiamo concentrato selettivamente i fondi della politica agricola nel formare imprese moderne, inserite in un sistema di infrastrutture efficiente, favorendo l’aggregazione dell’offerta in modo appropriato per contrastare i monopoli e gli oligopoli della catena alimentare. È così, promuovendo e sostenendo le Organizzazioni dei produttori, che si affronta il problema della distribuzione iniqua del valore aggiunto lungo le filiere e si contrastano gli oligopoli delle industrie (a monte e a valle) e della distribuzione alimentare. Poi per lo sviluppo imprenditoriale abbiamo investito fondi adeguati in ricerca, formazione tecnica e professionale, educazione al calcolo economico, alla gestione del rischio, all’informazione ed alla valutazione delle prospettive di mercato. Se anche voi aveste adottato una politica del genere, sarebbe bastata, azzardo a dire, anche soltanto la metà dei fondi spesi fin qui per la PAC.
D: Mi permetta di definire la sua una visione economicista. Lei non tiene conto del ruolo dell’agricoltura nella protezione dell’ambiente, nella cura del paesaggio, nel contrasto al cambiamento climatico. Non pensa che sia giusto che l’UE paghi questi servizi?
PAC-MAN: Certo che debbono essere pagati. Io ho apprezzato la vostra iniziativa di avviare con il Green Deal (lasciamo perdere alcuni dettagli sui quali anch’io ho delle perplessità) una politica mirata alla transizione verso un’agricoltura sostenibile. Sareste stati all’avanguardia nel mondo, con qualche costo in più all’inizio, ma con dei grandi vantaggi competitivi, una volta che il resto del mondo sarà comunque costretto a adeguarsi. I costi per i beni pubblici vanno coperti dalla collettività. Ma occorrono politiche che, senza ambiguità, siano esplicitamente ed esclusivamente mirate allo scopo. Con misure basate su programmi organici e finalizzate su base contrattuale alla fornitura dei beni e servizi pubblici che si vuole siano forniti dall’agricoltore e commisurate ai maggiori costi sopportati e ai minori ricavi conseguiti. Gli agricoltori debbono trovare conveniente anche economicamente di adottare comportamenti eco-sostenibili. Non si può fare appello solo alla loro buona volontà. Bisogna “comprare” il loro consenso. Nel nostro pianeta, ad esempio, una politica del genere, concentrata sulle aree interne, ha evitato lo spopolamento. Mentre da voi proprio lo spopolamento è tra le cause della cattiva gestione del patrimonio naturale e spesso all’origine dei disastri (alluvioni, frane, perdita di biodiversità, invasione della fauna selvatica, ecc.).
D: L’Unione europea si è dotata a questo scopo della cosiddetta “architettura verde”. Non le pare sia stata trovata una soluzione adeguata?
PAC-MAN: Sotto l’etichetta di architettura verde avete attivato tre differenti politiche agro-ambientali: eco-condizionalità, eco-schemi e misure agro-ambientali della politica di sviluppo rurale. Queste sono incoerenti tra loro. Ne deriva un pot pourri di comportamenti disorganici che poco o nulla hanno di effettivo impatto ambientale come ha spesso denunciato la stessa Corte dei conti europea. La verità è che nelle negoziazioni per la PAC interessava piuttosto dare una mano di verde (quello che chiamate greenwashing) ai pagamenti diretti pur di giustificarli in qualche modo e mantenere i soldi PAC nelle tasche dei soliti percettori. La politica di sviluppo rurale, pur con i suoi (seri) limiti, svolge meglio questo compito, anche perché non impone una soluzione unica per tutte le latitudini, ma attraverso i programmi di sviluppo rurale tiene conto delle specificità territoriali. Se davvero avete a cura l’ambiente, perché non avviare una politica agro-ambientale organica con precise misure per precisi obiettivi?
D: Lei critica pesantemente i pagamenti diretti. Ma almeno con quella più semplice soluzione i fondi arrivano a coprire tutto il territorio dell’Unione imponendo con l’eco-condizionalità un minimo di rispetto delle regole ambientali. Invece con la politica di sviluppo rurale i fondi restano a lungo inutilizzati e si rischia anche di vederseli risucchiati dal bilancio dell’UE.
PAC-MAN: Ho sentito che questa tesi dei pagamenti diretti che remunerano facilmente tutti gli ettari dell’UE per compensare il rispetto delle leggi ambientali (ritenute più severe in Europa che in altri contesti) è sostenuta con determinazione da qualche suo collega, ma non mi convince affatto. Si individui chi, dove e quando è effettivamente penalizzato e si intervenga in modo finalizzato e con fondi adeguati a livello territoriale o di tipologie di agricoltura. Con l’eco-condizionalità, qualcuno (come si dice a Bruxelles) è paid for doing nothing e altri sono pagati poco per i sacrifici che si vorrebbe sopportassero.
Quanto alla necessità di rendere la politica di sviluppo rurale più efficiente ed efficace e più integrata con la politica di coesione, non c’è dubbio che questo sia un obiettivo imperativo. Dovete rimuovere gli ostacoli che in Europa, in Italia o nelle Regioni rallentano le procedure, ostacolano l’accesso e ritardano i pagamenti. È anche fondato il sospetto (qualche volta più che un sospetto) che attorno ai programmi di sviluppo rurale, specie in alcune regioni, ronzino i calabroni della spesa fraudolenta. Dovete quindi non solo velocizzare ma anche controllare bene in quale direzione vengono spesi i soldi, specie in quei periodi in cui le erogazioni sono effettuate in fretta e furia per non rischiare di perdere i finanziamenti comunitari. Ma, come si dice, non dovete gettare il bambino con l’acqua sporca.
D: Come concilia questa sua posizione con l’obiettivo reiteratamente sostenuto nell’Unione europea di semplificare la PAC?
PAC-MAN: L’obiettivo della semplificazione è continuamente invocato ma mai realmente perseguito. Basti osservare quanta complicazione è stata introdotta anche nel primo pilastro con il suo frazionamento in diverse componenti (base, eco-schemi, giovani, accoppiato, ecc.), con la duplicazione delle misure tra primo e secondo pilastro, con l’incerta definizione di “agricoltore attivo”, con l’inestricabile architettura verde. Per non dire poi delle complicazioni che gli Stati membri hanno aggiunto con le loro decisioni attuative. Il Piano Strategico Nazionale della PAC italiano ha addirittura 4.502 pagine.
Se si volesse affrontare sul serio il tema della semplificazione, occorrerebbe entrare nel merito di cosa frena e ostacola la messa in atto di una politica mirata e a misura degli obiettivi che si intendono perseguire. La semplificazione viene da voi evocata spesso più per impedire la finalizzazione della spesa e la selezione dei beneficiari. È evidente che chi resterebbe escluso si batta per la semplificazione e attacchi sulla troppa burocrazia e sui ritardi della spesa. Ma il modo più semplice di spendere tutti i soldi disponibili è gettarli dalla finestra. Subito dopo viene la soluzione dei pagamenti diretti o dei pagamenti comunque concessi senza obiettivi, condizioni, controlli e riscontri precisi.
D: Cosa ne pensa poi del trasferimento di competenze sia per il primo che per il secondo pilastro della PAC a livello nazionale? L’introduzione dei piani strategici nazionali assicura maggiore sussidiarietà, come dicono i documenti ufficiali. Non le sembra una buona idea che responsabilizza maggiormente gli Stati membri?
PAC-MAN: Intendiamoci innanzitutto sulla questione della sussidiarietà. La sussidiarietà è un principio sancito nei Trattati. Un principio non si estende né si restringe, ma si applica. L’UE, avete scritto, deve intervenire dove espressamente previsto dai Trattati stessi e soltanto dove ci sia “valore aggiunto europeo”, cioè dove l’azione a livello comunitario produca risultati migliori o aggiuntivi. Al centro della PAC c’è da sempre il mercato unico e il principio di assicurare agli operatori di tutti gli Stati membri pari condizioni senza distorcere la libera concorrenza. Su questa base si giustifica che la PAC sia stata impostata come politica europea comune.
Con il trasferimento delle decisioni agli Stati membri, di fatto si è smentito quel principio e, lo si ammetta o meno, di fatto si è avviata una parziale rinazionalizzazione della PAC. Questa volta si sono passate le competenze. La prossima volta, chi vivrà vedrà, si potrebbe anche dire agli Stati membri, ormai la politica agricola è vostra: pagatevela. Sono curioso di sapere come i manifestanti sui trattori giudicano una eventuale rinazionalizzazione della PAC e come sarebbero trattati se effettivamente si facesse a meno della PAC. Poi c’è la questione del cosiddetto new delivery model, cioè del passaggio da una PAC gestita da Bruxelles ad una orientata ai risultati affidata agli Stati membri. Ciascuno di loro ha avuto maggiore autonomia, ma dovrà dimostrare di aver raggiunto i risultati prefissati sulla base di alcuni indicatori. È evidente che per i pagamenti diretti questo è in grande misura velleitario. Dal momento che gli obiettivi non sono definiti, non esistono misure in grado di dimostrare che gli obiettivi siano stati raggiunti. Ve li immaginate poi quanti conflitti tra Stati membri e tra questi e l’Unione europea possono prodursi se gli obiettivi sono incerti o indefiniti e le misurazioni sono sulla sabbia?
D: Allora, secondo lei, sarebbe stato meglio avere una PAC che, come in passato, fosse gestita centralmente. Senza coinvolgere gli Stati membri e le loro Regioni?
PAC-MAN: Assolutamente no. Nel nostro pianeta, ispirandoci al vostro principio di sussidiarietà, ci siamo organizzati sulla base di due sovranità: quella centrale su base federale, con un proprio bilancio, un proprio governo autonomo e delle competenze specifiche. E quelle nazionali (e poi Regionali e locali) con i loro bilanci, i loro governi e le loro competenze. Con riferimento all’agricoltura, nel nostro caso, abbiamo riconosciuto che alcuni compiti, per la loro natura globale, meritassero di essere governati centralmente, quali la salvaguardia del mercato unico, il contrasto e adattamento al cambiamento climatico, la tutela dei consumatori, la ricerca, il sistema della conoscenza e dell’innovazione, la coesione e l’inclusione. Altre invece fossero competenze da attribuire alle responsabilità nazionali e regionali: in particolare lo sviluppo rurale con riferimento a tutte le attuali competenze in materia di tutela ambientale e della biodiversità, investimenti, sviluppo regionale e locale, forestazione. Seguendo i suggerimenti di Tommaso Padoa-Schioppa (1987) e del Rapporto Sapir (2003) redatto quando Romano Prodi era presidente della Commissione, abbiamo trasferito, questo sì, a livello delle competenze nazionali anche i pagamenti diretti. Quella di abolire le misure di aiuto al reddito a livello europeo, per darne la responsabilità agli Stati membri, è stata una scelta che ha liberato una notevole quantità di fondi del bilancio comune. Questi sono stati particolarmente utili per aumentare le dotazioni riservate alle competenze dell’Unione.
D: Veniamo all’attualità. Come avrà sicuramente visto, in questi giorni l’Europa è invasa dai trattori per le proteste degli agricoltori. Come risposta, la Commissione ha ritirato alcune decisioni qualificanti del Green Deal e del Farm to Fork. Come quelle che limitavano l’impiego dei fitofarmaci e che imponevano il set aside del 4% delle superfici. Che ne pensa?
PAC-MAN: Effettivamente, in Europa la situazione attuale di molte imprese agricole è particolarmente difficile. Perché si sommano gli effetti di tante cause concomitanti. Alcune sono congiunturali: aumento del prezzo dei fattori di produzione (energia in primis), diminuzione dei prezzi di diversi prodotti, calo delle produzioni per effetto della siccità e di alcune patologie (peronospora), carenza di manodopera. Altre sono strutturali. Siamo, in particolare, di fronte ad una sfida tecnologica e di mercato che offre grandi opportunità, ma crea anche una grande incertezza. Alla quale molti non sanno come far fronte, che non sono preparati ad affrontare e che non sono aiutati a farlo. Le politiche che si propongono di andare loro incontro con gli aiuti al reddito o gli sconti fiscali, non risolvono il problema. Se lo avessero risolto, dopo più di sessant’anni di questa PAC (e delle politiche assistenziali e degli sconti fiscali nazionali) non saremmo a questo punto. Sono imprenditori, di fronte alle difficoltà legate alla maggiore incertezza debbono comportarsi come tali. Diversificando, sperimentando nuovi percorsi, aggregandosi in organizzazioni di prodotto, puntando sulla qualità e nuove soluzioni commerciali. Con i soldi risparmiati degli aiuti e le esenzioni, qui nel nostro pianeta, abbiamo aiutato le imprese agricole piccole e medie a fare il salto. E adesso sanno come difendersi anche nelle fasi congiunturali negative.
D: E come avete fatto a salvare lo spirito del vostro Green Deal con le loro rivendicazioni volte a farne carta straccia?
PAC MAN: Innanzitutto, ricordando, ma abbiamo riscontrato che gli agricoltori lo sapevano già benissimo, che le prime vittime del cambiamento climatico e della perdita di biodiversità sono proprio loro. Basta vedere gli effetti della siccità sulle loro rese o le precarie condizioni dei suoli che coltivano. Poi loro stessi, dopo l’esperienza delle manifestazioni dei trattori e della mucca Ercolina, hanno cominciato una profonda e interessante riflessione. Infatti, a parte qualche sconto fiscale e il rischio di essere strumentalizzati da movimenti estremisti, finite le manifestazioni, poco era cambiato nella sostanza. Alcuni più avveduti hanno compreso che la forza dell’agricoltura non sta più nel loro numero. Le manifestazioni hanno un grande impatto perché si fanno sui trattori. Scesi a terra, i manifestanti erano soltanto qualche centinaio. Non esattamente una folla e neanche tanti voti. Da soli non avrebbero ottenuto granché e soprattutto la PAC, tolto di mezzo il Green Deal, avrebbe conservato la distribuzione iniqua che li penalizza, avvantaggiando soltanto i soliti grandi percettori. Peraltro, potendo permettersi l’acquisto di quei grossi trattori, qualcuno aveva osservato che non meritassero il sostegno riservato ai poveri contadini di una volta o ai meritevoli del reddito di inclusione. Così, la solidarietà raccolta nei sondaggi dei primi giorni della protesta si era rapidamente attenuata.
D: Gli agricoltori sono pochi, ma hanno un ruolo importante di interesse di tutti i cittadini.
PAC MAN:Infatti. La forza dell’agricoltura però, si sono subito resi conto i più avveduti di loro, risiede nelle sue interrelazioni con l’ambiente, la salute, la biodiversità, la cura del territorio, la difesa idrogeologica, la qualità dell’alimentazione, la produzione di servizi di accoglienza, educativi, di svago, ecc. Temi di interesse primario di tutti. Allora loro stessi hanno proposto l’apertura di un dialogo e la ricerca di un accordo che i nostri governi hanno favorito, chiedendo al tempo stesso alle organizzazioni sociali (alle loro stesse, a quelle ambientaliste, dei consumatori, dei residenti rurali e ai sindacati dei lavoratori agricoli dipendenti) di porsi in una posizione di ascolto e proposta. Il confronto non è stato facile, ci sono stati momenti in cui si è rischiata la rottura. Ma tutti erano consapevoli che era necessario un nuovo patto sociale tra agricoltori e società. Sui pilastri di questo patto sociale si è concentrato anche il confronto nella nostra ultima campagna elettorale. Cosicché dopo le elezioni era pronta una proposta di Nuovo Patto Sociale (NPS) sulla cui base avviare, con il consenso delle parti e con il supporto di una approfondita analisi degli impatti economici, ambientali, sociali e territoriali affidata ai massimi esperti del nostro pianeta, un progetto di riforma sostanziale della nostra politica agraria.
D: Questo progetto di nuova politica agraria, basata sul Nuovo Patto Sociale, come si è concretizzato?
PAC-MAN: Sul nostro pianeta è stato semplice, perché noi abbiamo già un assetto federale. Alla vostra Commissione, da noi corrisponde un Governo federale a tutti gli effetti (simile a quello degli Stati Uniti, per capirci). La proposta è stata presentata al Parlamento ed è stata approvata divenendo operativa, facendo conto sulle risorse di bilancio proprie della nostra Unione. Da voi invece ho capito che la questione è più complicata. Nel vostro Consiglio ogni ministro partecipa in rappresentanza degli interessi nazionali e, da ogni riunione con gli altri 26, deve tornare a casa con un risultato che soddisfi i propri elettori. Siccome ognuno ha il diritto di veto a qualcosa di specifico da rivendicare, tutti i ministri debbono essere accontentati. È evidente a tutti che l’accordo finale è pieno di incongruenze e costa più caro di quanto dovrebbe. È come quando al ristorante si paga alla romana. Alla fine, ciascuno mangia di più, tanto poi si divide, ma costa più caro. E lo stesso Parlamento europeo è eletto su base nazionale, non a livello dell’intera Unione. Così alle elezioni europee si presentano i partiti nazionali, concentrando la campagna elettorale su temi nazionali, come mi pare stia per succedere anche in Italia. Così anche i parlamentari europei sono europei di fatto ma non nella sostanza. La vostra futura riforma della PAC (2028-2034) dovrà così passare attraverso il trilogo, il lungo e complesso confronto cioè, tra Consiglio, Parlamento e Commissione. Un iter defatigante, pieno di trabocchetti, in cui è più facile che, nella sostanza, niente o poco cambi.
D: Lei suggerirebbe che anche nell’UE si faccia una federazione? Gli Stati Uniti d’Europa? Ma qui andiamo ben oltre la materia di questa intervista. Questo è un progetto che investe tutti gli altri temi prioritari dell’UE: la difesa, la politica dell’immigrazione, la tutela della salute, la politica estera, il commercio internazionale, ecc.
PAC-MAN: Certamente una federazione, con un Governo, un Parlamento e un bilancio autonomi! A 82 anni dal manifesto di Ventotene, io non vi capisco. Cosa aspettate? Mi auguro che nella prossima campagna elettorale di questo si parli e subito dopo si facciano dei concreti passi avanti !
Concordo con te Franco,
La sfida è aperta a tutti i “consumatori” (alias “società”), che propongano / convengano con i produttori, pur attraverso compromessi e non “diritti di veto” di qualsivoglia parte / Ente/ Istituzione, si avvii ad elaborare il Nuovo Patto Sociale dando priorità agli effetti per la prossima generazione
Tutto sbagliato. Meno Europa!!! Se siamo in questa situazione è per il troppo potere all’Europa. E sarà sempre peggio con l’inclusione di altri Stati dell’est. L’agricoltura, l’agricoltore vanno sostenuti garantendo un GIUSTO prezzo delle produzioni. Oggi guadagnano solo chi trasforma, distribuisce e vende i prodotti agricoli che invece vengono pagati anche sottoprezzo all’agricoltore. Lo stato deve riconoscere un rimborso a quell’agricoltore che MANTIENE il territorio, lo salvaguarda e lo rende fruibile alla popolazione non agricola e al turista. Giustamente rimarca che i fondi europei vanno a finire alle grandi aziende e il piccolo agricoltore riceve le briciole, inoltre si mantengono tanti calabroni. Mi pare che mettendo in pratica molte delle sue osservazioni, i calabroni aumenteranno e mangeranno ancora di più la torta europea sempre più piccola.
Meno Europa vuol dire rinazionalizzare la Politica agricola? Lei ritiene sarebbe meglio affidare al Governo, al Parlamento e al bilancio italiani (le ricordo il nostro debito pubblico) la tutela dell’agricoltura. Proprio in un paese come il nostro, fortemente deficitario di prodotti agricoli e al tempo stesso forte esportatore di prodotti alimentari, lei chiede di chiudersi nel proprio orticello? Ha nostalgia per la “battaglia del grano” e per l’autarchia? L’Unione europea spende il 30,3% del suo bilancio per l’agricoltura che pesa l’1,4% del PIL dell’UE. Il problema non è smantellare l’UE, ma farla funzionare meglio. Sono d’accordo che i beni pubblici (manutenzione territorio, salvaguardia dell’ambiente, clima, ecc.) debbano essere pagati e anche bene. Ma per farlo bisogna smantellare i pagamenti diretti e gli aiuti al reddito generici (che finiscono nelle tasche sbagliate di chi “coltiva il contributo”, spesso rovinando, anziché mantenere il territorio e l’ambiente. Per concentrare i soldi su contratti in cui l’agricoltore assuma (pagato bene) precisi impegni agro-ambientali..
Quanto al suo commento circa il guadagno che nelle filiere va “solo a chi trasforma, distribuisce e vende i prodotti agricoli”, da presidente di una cooperativa lei sa meglio di me che di fronte ai monopoli o agli oligopoli occorre innanzitutto aggregare l’offerta in Organizzazioni dei produttori rappresentative e efficienti. Opponendo ai monopoli un altro monopolio. L’UE promuove le OP e le AOP, ma non è colpa dell’UE se da noi funzionano poco.