LA TASSA DANESE SULLE EMISSIONI ANIMALI
La Danimarca tasserà gli allevatori per i gas a effetto serra emessi da mucche, pecore e maiali a partire dal 2030. E’ il primo Paese al mondo a deciderlo.
La misura prende di mira le emissioni di anidride carbonica e di metano, uno dei gas che più contribuiscono al riscaldamento globale, da parte degli allevamenti e giunge in un momento in cui l’Unione Europea è sempre più tiepida verso gli impegni per il clima presi con il Green Deal.
La mossa di Copenhagen arriva dopo mesi di proteste da parte degli agricoltori di tutta Europa contro le misure per la riduzione delle emissioni inquinanti e le normative che, a loro dire, li stanno rovinando.
La Società danese per la conservazione della natura, la più grande organizzazione ambientalista del Paese, ha descritto l’accordo fiscale come “un compromesso storico”. L’imposta è di 300 corone danesi (40 euro) per tonnellata di anidride carbonica e raddoppierà nel 2035. Tuttavia, sarà applicata una detrazione fiscale del 60 per cento.
L’accordo è stato raggiunto il 24 giugno tra il governo e i rappresentanti degli agricoltori, dell’industria e dei sindacati.
La misura deve essere approvata dal Parlamento di Copenhagen ma ha un ampio consenso nella maggioranza di governo.
Una legge simile sarebbe dovuta entrare in vigore nel 2025 in Nuova Zelanda, ma è stata bloccata dopo pesanti critiche da parte di agricoltori e allevatori.
Le informazioni in proposito apparse qui da noi sono piuttosto sommarie e spesso approssimative. Rendono comunque difficile comprendere appieno la portata e i limiti dell’iniziativa danese. Pensiamo quindi di fare cosa utile pubblicando questo articolo di Mathieu Mal, apparso recentemente su Social Europe, che fornisce una disamina completa del provvedimento corredata da una ricca serie di riferimenti a sostegno della propria analisi.
Mathieu Mal è responsabile delle politiche per l’agricoltura e il clima presso l’Ufficio europeo dell’ambiente e si occupa delle politiche dell’UE relative all’agricoltura, all’uso del suolo e al clima.
Emissioni in agricoltura: i danesi non seguono il gregge
MATHIEU MAL – 3 luglio 2024
La tassa danese sulle emissioni di gas serra prodotte dall’agricoltura è motivo di speranza, ma non di compiacimento.
Il modello agricolo dell’Unione europea degli ultimi decenni si è concentrato esclusivamente sull’aumento delle rese, che ha eroso il suolo e degradato l’ambiente, minacciando gli stessi ecosistemi su cui facciamo affidamento per coltivare il nostro cibo. In un clima che cambia, in cui gli eventi meteorologici estremi stanno diventando più probabili e più intensi, i parassiti e gli agenti patogeni delle colture sono più diffusi e le popolazioni di impollinatori vengono decimate, abbiamo bisogno di un sistema agricolo che costruisca resilienza. In caso contrario, l’Europa rischia di mettere a repentaglio la sicurezza alimentare futura.
Nel 2022 le emissioni agricole nella UE – pari a circa 380 milioni di tonnellate di biossido di carbonio equivalente (CO2e) – hanno rappresentato il 12% delle emissioni di gas serra (GHG) della regione. Mostrano pochi segni di diminuzione, dopo essere rimaste ferme per due decenni. Per raggiungere l’obiettivo della neutralità climatica della UE ogni settore deve fare la sua parte. L’Europa ha bisogno di un ambizioso obiettivo di riduzione delle emissioni per il 2040 per l’agricoltura e il nostro sistema alimentare e agricolo deve cambiare.
Una novità mondiale
La Danimarca, un paese con una grande industria agricola intensiva, responsabile di un quarto delle emissioni complessive, ha deciso di introdurre una tassa sulle emissioni provenienti dall’agricoltura, una novità mondiale. L’accordo raggiunto tra le varie parti interessate, tra cui le organizzazioni che rappresentano gli agricoltori e gli ambientalisti, comprende anche misure per il ripristino del territorio attraverso la riforestazione e la riumidificazione delle torbiere, nonché il sostegno al biochar come tecnologia di rimozione del carbonio. Ha fatto seguito alla relazione del gruppo di esperti per una riforma fiscale verde istituito dal governo danese nel 2021.
L’introduzione di un prezzo per le emissioni prodotte dall’agricoltura riconosce che si tratta di un fattore significativo del cambiamento climatico. La curva dei prezzi poco pronunciata, fissata a circa 15 euro per tonnellata di CO2 a partire dal 2030, con l’aumento a soli 40 euro entro il 2035, significa tuttavia che è improbabile che il piano incentivi cambiamenti fondamentali nelle pratiche agricole o nelle diete dei consumatori.
Un’azione nazionale, anche se non molto incisiva, è comunque positiva ma è necessario fare di più a livello della UE. Qui le discussioni sulla fissazione dei prezzi delle emissioni prodotte dall’agricoltura si sono incentrate su un sistema di scambio di quote di emissione per l’agricoltura, un “Agri ETS”. Un incentivo del genere, basato su prezzi a livello della UE, non solo stimolerebbe la riduzione delle emissioni, ma creerebbe anche condizioni di parità. Garantirebbe che i paesi pionieri, come la Danimarca, non rischino di perdere competitività ed eviterebbe “il trasferimento delle emissioni di carbonio”, in cui i guadagni ottenuti a livello nazionale sono compensati da un afflusso di prodotti provenienti da paesi privi di tali misure fiscali.
Il sistema agroalimentare è il principale fattore di perdita di biodiversità e uno dei principali responsabili dei cambiamenti climatici, del degrado del suolo e dell’inquinamento di acqua e aria, in Europa e nel mondo. Se dare un prezzo alle emissioni è l’unica misura, ciò può innescare effetti collaterali perversi. Ad esempio, senza precauzioni mirate, un’ulteriore intensificazione della produzione, perseguita in nome della riduzione delle emissioni, potrebbe compromettere ulteriormente gli standard di benessere degli animali, un aspetto fondamentale della sostenibilità.
Un quadro d’insieme
Se soccombiamo al una visione limitata dei gas serra e ci affidiamo a soluzioni tecniche, che possono portare o no a miglioramenti incrementali, il rischio è quello di perdere il quadro d’insieme e lasciar proseguire senza interruzione l’esaurimento degli ecosistemi vitali e della qualità dell’acqua e dell’aria. Le soluzioni olistiche saranno cruciali. L’accordo danese rischia una di queste forme di visione limitata, focalizzandosi molto sul potenziale che hanno gli additivi per mangimi nel ridurre le emissioni di metano dal bestiame e sul biochar per stoccare il carbonio.
Sebbene gli additivi per mangimi abbiano mostrato un certo potenziale di riduzione delle emissioni, non riescono ad affrontare altre preoccupazioni ben note intrinseche all’allevamento intensivo, come le grandi quantità di terreno necessarie per la produzione di mangimi e la conseguente perdita di biodiversità, l’impronta idrica fuori misura e il ruolo di primo piano svolto nell’inquinamento dell’aria e dell’acqua. Ridurre la produzione e il consumo di prodotti animali è il modo più efficace per allineare le emissioni del bestiame agli obiettivi climatici generali e l’unico modo sicuro per andare avanti dal punto di vista della sostenibilità e della salute. Il biochar, d’altra parte, è una tecnologia non collaudata su larga scala, che rischia di aumentare la pressione sulla domanda di biomassa proveniente da fonti sostenibili e può portare a impatti indesiderati sul suolo e sull’acqua che potrebbero essere difficili da annullare.
Il ripristino dell’ecosistema dovrebbe essere integrato nelle pratiche agricole. Cambiando ciò che produciamo e consumiamo, la terra può anche essere liberata e riportata al suo stato naturale. La decisione del governo danese di acquistare aree per il ripristino – riumidificazione in alcuni casi, riforestazione in altri – è benvenuta e consentirà alla natura di riprendersi, mitigando il cambiamento climatico e stimolando la resilienza. Lodevole è anche l’attenzione rivolta alle aree con il deflusso dei nitrati più problematico, in un paese che solo pochi mesi fa ha celebrato il funerale, a cui hanno partecipato più di 1.000 persone, per un fiordo che aveva “perso la vita” a causa dell’inquinamento da azoto.
Nessuna bacchetta magica
Sebbene i sistemi di fissazione dei prezzi delle emissioni abbiano il potenziale per fare la differenza (se adeguatamente progettati e attuati), non sono una bacchetta magica. Dare un prezzo alle emissioni può essere un pezzo importante del puzzle dell’agricoltura sostenibile, ma l’Europa non dovrebbe mettere tutte le uova in questo paniere.
Gli agricoltori meritano prezzi equi per il loro lavoro, che garantiscano mezzi di sussistenza dignitosi ora e in futuro. Devono essere sostenuti nella transizione verde, per guidare l’Europa verso un sistema alimentare più resiliente. L’Europa ha bisogno di una combinazione più ampia e coerente di politiche per rimodellare l’agricoltura, modificare le diete e affrontare lo spreco alimentare, nel quadro generale di una legge sui sistemi alimentari sostenibili.
Sarebbe un assurdo spreco di denaro pubblico se la UE dovesse continuare a spingere come fa ora, verso un sistema di prezzi delle emissioni, mentre le sovvenzioni nell’ambito della politica agricola comune – la componente più importante del suo bilancio – continuano a finanziare pratiche dannose incompatibili con gli obiettivi climatici. Con la transizione all’agroecologia, l’agricoltura della UE, invece di essere un fattore importante del cambiamento climatico e del degrado ambientale, può diventare parte della soluzione, con benefici per gli ecosistemi, gli animali, gli agricoltori e i consumatori.
L’accordo danese è innovativo, ma è una combinazione incoerente. Mentre gli elementi di ripristino della natura sono un grande passo nella giusta direzione, i prezzi delle emissioni poco ambiziosi e la dipendenza da ritrovati tecnici fanno scattare un campanello d’allarme. Abbiamo bisogno di più e di meglio.
Tuttavia, in tempi di discussioni fortemente politicizzate e polarizzate sul futuro dell’agricoltura della UE, questo ci fa bene sperare. Dimostra che è possibile raggiungere accordi guidati dalle conoscenze scientifiche e che la UE può muoversi verso un futuro più luminoso.