UNA   ALTERNATIVA   SVIZZERA   AL   BIOLOGICO 

Agosto 25, 2024 2 Di storiedelbio

Con il nuovo ciclo politico europeo che si è aperto dopo le elezioni del 9 giugno torneranno a porsi tutte le questioni agricole e ambientali che sono state accantonate nell’ultimo scorcio della fase precedente.

Le agitazioni dei “trattori” dello scorso inverno hanno già comportato la messa in dubbio di alcuni dei fondamenti del Green Deal e l’allentamento o l’eliminazione dei vincoli della PAC in essere. In questo quadro è assai probabile che vengano ridimensionati, o quantomeno messi in sordina, anche gli obiettivi relativi allo sviluppo dell’agricoltura biologica, per puntare invece su una serie di opzioni tecnologiche e agronomiche presentate come più realistiche.

Tre sono le principali direttrici  dell’alternativa al biologico: le New Genomic Techniques ( qui da noi ribattezzate TEA ), l’Agricoltura di Precisione e il nuovo mantra dell’Agricoltura Rigenerativa in cui si cerca di far rientrare di tutto e di più. In questa rincorsa ad abbassare il tiro non mancano neanche tentativi di rilancio di strade un tempo ritenute promettenti ma che, almeno qui da noi, si sono rivelate solo un comodo paravento di pratiche poco virtuose, come ad esempio la cosiddetta Produzione Integrata (vedi Il Salvagente, dicembre 2022, pag. 42).

Ma la Svizzera non è l’Italia, e anche per questo ci sembra interessante riprendere un articolo dal titolo “Senza pesticidi ma non biologica: l’alternativa svizzera per un’agricoltura libera da sostanze chimiche” recentemente apparso su swissinfo.ch.

Il biologico svizzero ha una lunga e interessante tradizione, la cui origine viene fatta risalire a Hans Müller, a sua moglie la dottoressa Marie Müller, e al medico batteriologo ed esperto del suolo Dott. Hans Peter Rusch. Già negli anni 1950-60 un numero relativamente alto (se paragonato alla media europea) di contadini e contadine si convertì alla produzione biologica.

In questa storia notevole importanza ha avuto anche la cooperativa Biofarm di Kleindietwil (BE) fondata nel 1972 che è stata una sorta di precettore di BIO Suisse.

Il caso svizzero merita di essere conosciuto. Pur con le sue peculiarità, può costituire un interessante termine di paragone. La sua conoscenza, anche solo limitata al quadro sommario qui delineato, che potremo approfondire meglio in futuro, può essere fonte di utili riflessioni.

In Svizzera ci sono oggi circa 48.000 aziende agricole che coltivano una superficie di 190.000 ettari.

A differenza di altri paesi la Svizzera non dispone di un proprio marchio biologico nazionale ma di marchi privati il più importante dei quali è quello dell’Associazione svizzera delle organizzazioni per l’agricoltura biologica Bio Suisse, fondata nel 1981 come VSBLO, che riunisce oggi oltre il 90 per cento delle aziende biologiche svizzere. Il suo marchio bio – la Gemma – garantisce il rispetto delle sue severe direttive.  Oggi conta tra i suoi membri circa 7.400 aziende agricole svizzere che coltivano il 18% della superficie agricola utile. A queste vanno ad aggiungersi oltre 2500 aziende e gruppi di produttori in tutto il mondo che sono certificati secondo le direttive di Bio Suisse. I loro prodotti vengono commercializzati con la designazione BIOSUISSE ORGANIC.

Bisogna anche ricordare che nel 1973 è nato, proprio in Svizzera, l’Istituto per la ricerca in agricoltura biologica (FIBL) che è oggi uno dei principali istituti di ricerca in agricoltura biologica al mondo. Ha sedi in Svizzera, Germania, Austria, Ungheria e Francia, e con il FiBL Europe dispone di una rappresentanza a Bruxelles.

Risale  invece al 1989 la fondazione dell’Associazione  IP Suisse che raccoglie gli agricoltori che praticano la Produzione Integrata. Oggi conta 18.500 membri che sono tenuti a seguire un disciplinare piuttosto impegnativo il cui rispetto è controllato da un ente terzo. I loro prodotti sono riconoscibili dal marchio col maggiolino.

Sempre in Svizzera hanno avuto origine e hanno la loro sede Sativa e GZPK ( Getreide Züchtung Peter Kunzi ), due delle più importanti società sementiere biologiche-biodinamiche europee.

Dopo la Danimarca, la Svizzera insieme all’Austria, è in Europa il paese in cui il biologico ha la maggior quota di mercato (11,6% nel 2023) pari a 4.075 milioni di Frs.

La quota di biologico venduta nei supermercati è di gran lunga la più importante 83% (Italia 58%) pari a circa 3 miliardi di Frs.

Da sola la quota delle due più importanti catene alimentari del paese COOP e Migros, che fatturano insieme circa 65 miliardi di Frs all’anno, rappresentava nel 2021 il 72,4% del mercato del biologico.

COOP è stata uno dei primi rivenditori che già nel 1993, in collaborazione con Bio Suisse, ha introdotto un vasto assortimento di prodotto certificati Gemma con il label Naturaplan.

Migros invece con i suoi tre marchi principali nel segmento (Migros-Bio, Alnatura e Demeter) conta oltre 5.000 prodotti biologici, ma solo nel 2022 il label Gemma di Bio Suisse ha fatto la sua comparsa sui prodotti bio della Migros.

Inoltre Migros è da oltre 20 anni partner di IP-SUISSE ed è quindi stata la prima impresa svizzera di commercio al dettaglio a collaborare con il noto marchio di sostenibilità. Essa è la principale acquirente in Svizzera di prodotti realizzati secondo lo standard IP-Suisse.

Se dunque il biologico è piuttosto ben radicato in Svizzera non bisogna dimenticare che qui c’è anche la sede di Syngenta AG, la multinazionale dell’agrochimica oggi in mano ai cinesi di ChemChina, il cui presidente sostiene che “La gente muore di fame in Africa perché mangiamo sempre più prodotti biologici”. La società risulta essere il terzo rivenditore al mondo di semi e prodotti biotecnologici, dietro alla Monsanto (oggi BAYER) e alla DowDuPont, e conta più di 28.000 dipendenti in oltre 90 paesi nel mondo.

Questo per dire che le lobby che hanno a che fare con l’agricoltura industriale, come anche l’Unione dei Contadini Svizzeri (il sindacato unico degli agricoltori), sono molto forti e possono condizionare scelte importanti, come nel caso attuale  della revisione dell’ordinanza sui prodotti fitosanitari , e che comunque, nel referendum del 2021 sulla messa al bando dei pesticidi nell’arco di 10 anni, il 60% degli svizzeri ha votato contro.

Nel 2023 in Svizzera il consumo del biologico ha tenuto nonostante l’inflazione.  Il fatturato del biologico ammontava a 4,075 miliardi di Franchi, pari a una quota di mercato del 11,6% rispetto al 11,2% dell’anno precedente. Il 53% dei consumatori ha acquistato prodotti bio giornalmente o più volte alla settimana. L’importo pro capite annuo speso per i prodotti bio è stato di 454 franchi. Le aziende agricole certificate Bio Suisse in Svizzera ( e nel Principato del Leichtenstein ) sono state 7.362 impegnando il 18% della superficie utile agricola. Inoltre, al 31 dicembre 2023, anche 1.356 titolari di licenza di trasformazione e commercio erano certificati Gemma.

Se la GDO svizzera, e in particolare la Coop, ha avuto un peso decisivo nella promozione del biologico, va anche detto che non ha mancato di sviluppare anche l’offerta di prodotti definiti “sostenibili”. Soprattutto Migros propone da una ventina di anni, come alternativa meno impegnativa al biologico, il marchio di qualità IP-Suisse.

Adesso Migros fa un ulteriore passo avanti e scrive:

“Adottando le linee guida IP-SUISSE, l’FFB-Group di Migros punta da anni su cereali coltivati senza l’uso di fungicidi, insetticidi e regolatori di crescita. La panetteria della Migros si pone obiettivi ambiziosi, che fissa anche per i propri fornitori. Ecco perché́ in futuro gli agricoltori dovranno rinunciare anche ai diserbanti. L’FFB-Group ritiene che la coltivazione senza l’uso di pesticidi costituisca una delle più̀ grandi rivoluzioni nell’agricoltura svizzera e vada a beneficio della natura, di produttrici e produttori nonché di consumatrici e consumatori. L’obiettivo è rafforzare la biodiversità̀ sia sopra sia sotto il suolo”. 

Anche COOP, parlando del suo assortimento col proprio marchio  Qualité &Prix, sostiene; “offriamo sempre più prodotti con il label IP-Suisse. Il label è sinonimo di un’agricoltura con un occhio di riguardo per la natura e le risorse e contraddistingue produttori rispettosi dell’ambiente e degli animali”.

Si tratta di iniziative ancora relativamente piccole. Bisognerà vedere se in futuro queste produzioni cresceranno e contribuiranno veramente a ridurre in modo significativo l’impiego dei pesticidi o non andranno piuttosto a erodere la quota di mercato del biologico, e in che misura.

Senza pesticidi, ma non biologica: l’alternativa svizzera per un’agricoltura libera da sostanze chimiche

Convincere gli agricoltori e le agricoltrici a passare al biologico non è facile. Rinunciare ai pesticidi, ma non ai fertilizzanti sintetici, potrebbe favorire questa transizione?

 Anand  Chandrasekhar                                               12 giugno 2024

Tre anni fa i pesticidi erano al centro della discussione politica svizzera. A giugno 2021 i cittadini e le cittadine hanno votato la proposta di un divieto totale dell’uso dei pesticidi, che avrebbe reso la nazione alpina un’oasi di agricoltura al 100% biologica. L’iniziativa però non ha raggiunto la maggioranza, con solo il 40% dei voti a favore. Il popolo svizzero non era ancora pronto per questa svolta.

Ma una rivoluzione silenziosa era già in atto. L’Associazione svizzera dei contadini che praticano agricoltura integrata (IP-Suisse) è un movimento per l’agricoltura sostenibile con circa 18’500 membri. Dal 2019 gli agricoltori membri che coltivano senza pesticidi e senza passare al biologico ottengono dall’associazione il 30% del prezzo dei loro prodotti. Non c’è alcuna restrizione sull’uso dei fertilizzanti. Il rimborso del programma, tra i primi del suo genere in Europa, è finanziato soprattutto dalla Migros, la più grande catena di supermercati in Svizzera. Il frumento coltivato con questo metodo è poi venduto dalla stessa Migros con l’etichetta TerraSuisse.

Anche il governo svizzero sta incoraggiando l’agricoltura priva di pesticidi e non biologica. Nel 2023 si è impegnato a dimezzare l’impatto ambientale dei pesticidi entro il 2027. Per raggiungere questo obiettivo il governo ha imposto dei limiti all’uso di sostanze chimiche nocive, e ha introdotto pagamenti diretti per gli agricoltori che decidono volontariamente di coltivare con meno – o senza – pesticidi, senza passare al biologico. L’importo dei pagamenti va dai 650 franchi per ettaro di frumento a 1’400 franchi per ettaro di colza.

“Non si tratta di imporre un divieto, quanto di dare agli agricoltori l’opzione di intraprendere questa strada, se è per loro ragionevole e se consumatori e contribuenti sono disposti a rimborsarli”, afferma Robert Finger, professore di economia e politiche agricole presso il Politecnico federale di Zurigo (ETH).

Secondo le stime di IP-Suisse, nel 2022 in Svizzera la porzione di campi di frumento senza pesticidi e non biologici era di circa il 15%.  Alcune analisi prevedono che entro il 2027 questo tipo di coltivazione potrebbe raggiungere tra il 41% e il 79% di tutta la superficie coltivabile della Svizzera; il fattore che influenza di più questa percentuale è l’entità della riduzione del raccolto rispetto alla coltivazione tradizionale.

“Introdurre una terza categoria di prodotti alimentari per indicare quando non sono stati utilizzati pesticidi offrirebbe ai consumatori una scelta più ampia. Questi prodotti sono più sostenibili rispetto a quelli dell’agricoltura convenzionale e hanno prezzi più contenuti del biologico”, riporta uno studio pubblicato nel 2024, per il quale sono stati intervistati quasi 600 consumatori e consumatrici tedeschi. I risultati del sondaggio suggeriscono che le persone sarebbero disposte a pagare tra il 38,3% e il 93,7% in più per questa tipologia di prodotto ibrida.

L’esposizione ai pesticidi è stata associata a diversi tipi di cancro, disturbi neurologici come il Parkinson e l’Alzheimer, problemi riproduttivi e disturbi nello sviluppo dei bambini. Secondo l’Ufficio federale dell’ambiente svizzero (UFAM), nel 98% delle stazioni di monitoraggio la concentrazione di pesticidi nelle acque sotterranee non supera il limite prestabilito di 0,1 microgrammi per litro (μg/L). Ma l’impatto dei pesticidi sull’ambiente può durare per decenni. Dopo il processo di decomposizione chimica, infatti, vengono rilasciate delle sostanze chiamate metaboliti, tra cui i metaboliti di pesticidi vietati come l’atrazina e il diclobenil. A livello nazionale, circa un terzo dei siti di monitoraggio rileva una concentrazione di metaboliti oltre il limite di 0,1 μg/L.

Problemi di attuazione

Coltivare senza pesticidi significa rischiare una diminuzione del raccolto, anche impiegando i fertilizzanti. Nelle regioni con un clima temperato, dove è stata condotta la maggior parte degli studi al riguardo, si è stimata una perdita del raccolto del 6%. Ma la percentuale potrebbe essere più alta in zone con un clima meno favorevole.

“Se questo approccio funziona per gli agricoltori e i consumatori in una regione specifica, ben venga. Ma la situazione è diversa nelle zone tropicali, dove i parassiti sono più resistenti e le coltivazioni possono essere distrutte in una sola notte”, afferma Virginia Lee, portavoce di CropLife International, un gruppo d’interesse che rappresenta le compagnie di prodotti fitosanitari.

Secondo Lee, la priorità dovrebbe essere produrre il più possibile sui terreni a disposizione, in modo sostenibile. La portavoce suggerisce un approccio per cui ogni zona agroclimatica dovrebbe trovare il proprio equilibrio tra produttività, clima e biodiversità.

Il gigante agricolo Syngenta, basato in Svizzera e membro di CropLife International, si dice d’accordo con questo approccio. La multinazionale non vorrebbe eliminare del tutto l’uso di pesticidi in agricoltura.

“Le innovazioni della chimica hanno reso i pesticidi più efficienti. Prima per ogni ettaro di terreno se ne applicavano chili, oggi parliamo di grammi. Gli sviluppi tecnologici nei metodi di applicazione dei pesticidi stanno aiutando a ridurne l’uso ancora di più”, afferma Ioana Tudor, responsabile globale per il Crop Protection Marketing di Syngenta.

A non convincere la comunità di coltivatori svizzeri sono anche gli aspetti pratici della transizione.

“Questo approccio è interessante dal punto di vista teorico, ma nella pratica implementarlo con costanza presenta alcuni problemi”, afferma Sandra Helfenstein, portavoce dell’Unione svizzera dei contadini. “Ad esempio, non esistono metodi di controllo biologici efficaci per ogni malattia o parassita in agricoltura. È per questa ragione che il biologico non sta decollando per le colture arabili. I fertilizzanti sono il problema minore”.

La tutela dell’ambiente non è sufficiente

Da una parte, la coltivazione priva di pesticidi non convince i coltivatori e le aziende chimiche; dall’altra, per i sostenitori dell’agricoltura biologica eliminare solo i pesticidi non è sufficiente per proteggere l’ambiente.

“I fertilizzanti non causano gli stessi problemi dei pesticidi, incidono sull’ambiente in modi diversi”, afferma Raphaël Charles, dell’Istituto di ricerche dell’agricoltura biologica (FiBL), basato in Svizzera. “L’uso dei fertilizzanti rilascia protossido d’azoto – un gas serra – nell’atmosfera. In più, si inducono dei cambiamenti nel ciclo vitale di molti organismi, tra cui la flora, e l’eutrofizzazione (ovvero il danneggiamento delle acque) nelle zone non agricole”, conclude il ricercatore.

Charles è a favore di metodi alternativi ai fertilizzanti sintetici, come l’uso di piante azotofissatrici e il riciclaggio di rifiuti organici per produrre compost o digestato.

“È vero che con il biologico si produce di meno, ma l’agricoltura tradizionale non sta forse producendo troppo, se teniamo in considerazione il suolo, l’ambiente e il pianeta a nostra disposizione?” chiede Charles.

Una questione di soldi

Alla fine, sarà il sostegno finanziario a determinare il successo o meno dell’agricoltura senza pesticidi. Il raccolto che si ricava da questo tipo di coltivazione infatti potrà anche essere superiore al biologico, ma rimane decisamente inferiore rispetto all’agricoltura convenzionale, quando gli agricoltori usano tutti gli strumenti a loro disposizione – pesticidi inclusi. Ad esempio, alcuni studi condotti tra il 2019 e il 2021 indicano che solitamente si ricavano 7,5 tonnellate di frumento per ettaro, contro le 6,5 tonnellate nelle coltivazioni senza pesticidi e non biologiche. Gli agricoltori interessati alla transizione dovrebbero sostenere in anticipo la spesa dei macchinari per il diserbo, oltre che trattare il campo più spesso, assumere più personale e infine spendere di più in benzina per i macchinari.

“Se non usare pesticidi fosse profittevole gli agricoltori lo starebbero già facendo”, afferma Finger, che ha da poco pubblicato sulla rivista Nature un’analisi delle iniziative europee su questo metodo agricolo. “Il supporto da parte dell’industria e del governo è necessario per far sì che ci sia un impegno a lungo termine volto a cambiare il sistema produttivo. Il mark up sul prezzo e i pagamenti diretti da parte del governo danno agli agricoltori la sicurezza necessaria per compiere la transizione”.

Anche il governo tedesco nel 2023 ha cominciato a rimborsare i coltivatori che rinunciano ai pesticidi sintetici, come in Svizzera. Inoltre, sono sorte iniziative private più piccole come la cooperativa dei cereali KraichgauKorn a Baden Württemberg, in Germania, mentre a Brittany, in Francia, alcune cooperative hanno lanciato un’etichetta “senza pesticidi” per i pomodori.

L’interesse per queste iniziative volontarie “di compromesso” sta crescendo in Europa. Tuttavia, le proteste degli agricoltori all’inizio dell’anno hanno fatto sì che venisse abbandonata la proposta del Green Deal dell’UE di dimezzare l’uso di pesticidi entro il 2030, dimostrando che un divieto imposto dall’alto difficilmente funzionerà.

“Un’opzione è cominciare rimuovendo solo i fertilizzanti o solo i pesticidi, a seconda del contesto, per poi guardare al sistema nel suo insieme in un secondo momento. Potrebbe essere una fase di transizione accettabile nell’attuale clima politico”, afferma l’esperto di agricoltura biologica Charles.