Biologico e Convenzionale: una messa a punto

Ottobre 19, 2024 1 Di storiedelbio

Dopo l’intervento di Giacomo Sartori sulle questioni sollevate da tentativi come quello svizzero di promuovere alternative al biologico, pubblichiamo ora una messa a punto di Fabio Maria Santucci. L’intervento esplicita meglio quel che già scriveva nel suo commento all’analisi di Sartori: “…. l’agricoltura o è biologica o è convenzionale. Questa seconda può essere più o meno impattante, più o meno violenta, più o meno chimica, ma sempre convenzionale è. Le varie etichette o certificazioni fanno solo confusione e sono portate avanti solo per mantenere lo status quo. L’errore drammatico dei movimenti per l’agricoltura biologica é stato quello di chiedere un contributo ad ettaro per tipologia di coltura, accettando quindi di essere meno produttivi e meno redditizi. Si sono accettate comparazioni ettaro su ettaro, anno su anno, quando invece il bio va valutato sul sistema e su periodi pluriennali. Ho visto in tutto il mondo sistemi bio efficienti e redditizi ”.

Quel che ci interessa approfondire non è il caso Svizzero in sé quanto il suo significato in termini più generali come manifestazione delle tendenze in atto. In Svizzera peraltro la maggioranza dell’elettorato (63%) ha appena respinto l’iniziativa degli ambientalisti per una migliore salvaguardia della biodiversità. Anche i segnali che arrivano dal contesto europeo non sono molto incoraggianti. Dopo che le proteste dei “trattori”, a cavallo tra il 2023 e 24, hanno ottenuto il ritiro della proposta di riforma del regolamento sui pesticidi e l’eliminazione di un terzo delle condizionalità legate alle buone pratiche agricole e ambientali della PAC, la Commissione europea ha eseguito una vasta consultazione, durata 7 mesi, tra i diversi stakeholders, il cosiddetto “dialogo strategico sul futuro dell’agricoltura nella UE”, i cui risultati sono stati di recente pubblicati ( per una loro sintesi si veda: Dialogo strategico sul futuro dell’agricoltura in UE – Gift ).

Adesso siamo in attesa di conoscere la visione strategica per l’agricoltura e l’alimentazione promessa da Ursula Von der Leyen nei primi 100 giorni del suo secondo mandato.

Quel che è certo è che intanto i centri decisionali europei in materia di agricoltura sono stati blindati dal PPE e dai suoi alleati di destra. Il nuovo Parlamento Europeo ha eletto presidente della Commissione Agricoltura la ceca Veronika Vrecionová, unico caso di attribuzione di una presidenza di Commissione al Raggruppamento dei Conservatori e Riformisti (ECR) di Giorgia Meloni. Il nuovo Commissario all’agricoltura dovrebbe essere il lussemburghese Christophe Hansen (PPE) che riporterà al vice presidente Raffaele Fitto (ECR). Insomma non si muoverà foglia senza che Von der Leyen e il Partito Popolare Europeo non voglia.

Nel frattempo in Francia gli agricoltori tornano in strada a Tolosa, proprio dove circa un anno fa, hanno avuto origine le proteste che poi si sono estese in tutta Europa, ma questa volta sono mobilitati dal sindacato maggioritario FNSEA, membro di peso di COPA che insieme a COGECA è la lobby agricola europea più importante. Da notare che è appena divenuto presidente di COPA Massimiliano Giansanti (Confagricoltura) il quale ha dichiarato che: revisione della PAC, tutela del reddito degli agricoltori e reciprocità negli scambi commerciali sono le priorità del suo programma. Cambiare la narrazione sull’agricoltura e la produzione di cibo, promuovendo una comunicazione basata sulle evidenze scientifiche e sulla corretta e trasparente informazione ai consumatori è un altro passaggio-chiave, in difesa dell’agricoltura industriale, del discorso del neoeletto presidente del COPA.

Fabio Maria Santucci è nato nel 1954 a Perugia, si è laureato in Scienze Agrarie nel 1978, con indirizzo economico-politico. Per sei anni presso il Centro Studi Agricoli ENI, per progetti di sviluppo agricolo e rurale in Italia e PVS. E’ poi ricercatore presso l’Istituto di Economia e Politica Agraria di Perugia, quindi Professore associato ad Ancona e di nuovo a Perugia, fino al pensionamento nel 2019.

Dal 1989 ha iniziato a interessarsi di agricoltura biologica, maturando la convinzione che questa – insieme con una rivisitazione dei modelli alimentari – sia la soluzione alle problematiche dell’agricoltura e dell’ambiente.

Nel 1996, insieme con alcuni colleghi, fonda il “Gruppo di Ricerca in Agricoltura Biologica – Italia”. Nel 2003, è fra fondatori della Società Internazionale per la Ricerca in Agricoltura Biologica. In questi anni, è stato coinvolto, a vario titolo, in 25 progetti di ricerca, ha partecipato a circa 20 conferenze internazionali ed ha prodotto circa 80 pubblicazioni.

Ha collaborato con ISTAT, Organizzazioni Non Governative, associazioni di agricoltori bio e convenzionali, Enti di Certificazione, FAO, CIHEAM Bari, Banca Mondiale.



Considerazioni su alcuni aspetti del biologico

Fabio Maria Santucci – 10 Ottobre 2024

Ho cominciato a interessarmi all’agricoltura biologica nel 1988-89, quando incontrai i primi produttori bio al mercato del sabato mattina a Koniz, cittadina prossima di Berna, in Svizzera. In contemporanea, in Italia portavamo avanti una ricerca sulle aree interne ed era un pianto greco, con tutti che si lamentavano e se ne andavano, chiudevano le attività, accusavano il Governo e i burocrati di Bruxelles.

Gli unici che avevano un atteggiamento positivo erano dei tipi strani, non umbri, che parlavano di nuova agricoltura, di rigenerazione, etc.. Ottenni quindi un finanziamento dal CNR per studiare – sotto il profilo socio-economico, questa realtà e all’epoca contammo, se non erro, 26 agricoltori bio in Umbria. La cosa interessante, nessuno era del posto, alcuni del Nord Italia, altri Tedeschi, Svizzeri, Austriaci, altri di Roma, un australiano. All’epoca, non v’era alcun regolamento, né finanziamenti, anzi il contrario.

A seguire, ebbi altri piccoli finanziamenti, da fondi CNR o della Regione Umbria, e cominciai a collegarmi con colleghi italiani e stranieri, arrivando poi nel 1996 a fondare il GRAB-IT “Gruppo di Ricerca in Agricoltura Biologica – Italia”, che cercava di favorire lo scambio di informazioni. Alcuni erano economisti agrari, con pochi di altre discipline. All’epoca (ma ora non è molto diverso) parlare di biologico era rischioso, i professori anziani erano totalmente contrari, i sindacati pure, ricordo sessioni di laurea nelle quali gli studenti con Tesi su aspetti socio-economici e di mercato venivano quasi massacrati dai miei colleghi che continuavano a ripetere che tutta l’agricoltura è biologica. Il resto è storia: i regolamenti della CEE e poi della UE, lo sviluppo del mercato, l’arrivo della Grande Distribuzione, ecc. ecc.

E’ quindi una 30ina di anni che mi occupo dell’agricoltura biologica, in Italia e all’estero, grazie a fondi vari, nei suoi aspetti microeconomici, di mercato, istituzionali.

Per quanto riguarda l’argomento di queste pagine, sappiamo che dal 1992 è stato introdotto in Europa un contributo forfettario ad ettaro, a supporto degli agricoltori biologici, sia per la fase di conversione che per il successivo mantenimento.

Per giustificare tale contributo, sono state addotte varie giustificazioni, la più rilevante essendo che la agricoltura biologica è meno produttiva, genera un minor reddito rispetto all’agricoltura convenzionale e quindi gli agricoltori biologici debbono essere aiutati, ipoteticamente per sempre.

Riportando queste considerazioni a livello planetario, si sostiene che l’agricoltura biologica non sarebbe in grado di produrre abbastanza derrate per alimentare la crescente popolazione mondiale, che inoltre consuma sempre di più, specialmente carni, latte e derivati. Ecco quindi che l’industria agro-industriale e i sistemi di ricerca si sono buttati sulle agricolture convenzionali dai nomi più fantasiosi: landscape agriculture, agricoltura conservativa, agricoltura blu, agricoltura di precisione, agro-forestry, agricoltura sostenibile, smart farming, etc. pur di non ammettere che la soluzione già c’è ed è una vera agricoltura biologica, accompagnata da una adeguata educazione alimentare

Circa il primo punto: le rese della agricoltura biologica sono più alte, più basse o uguali a quelle dell’agricoltura convenzionale? C’è poi da considerare i fenomeni collegati al cambiamento climatico. Visto ciò che succede in Italia e nel mondo, come si pone l’agricoltura biologica? E’ più resistente, più resiliente del convenzionale, oppure no?

La risposta è difficile se non impossibile. Dipende. Molto dipende dal tipo di ambiente e dalla coltura che esiste prima, ovvero nel convenzionale, e quello che si vuole ottenere poi. Supponiamo due estremi:

  1. L’agricoltura convenzionale dura, nelle zone di pianura un tempo fertili, magari irrigue, meccanizzata al massimo. In questi ambienti, con sementi selezionate ibride, alte dosi di concime, antiparassitari e diserbanti, monocoltura spinta, antibiotici agli animali, abbiamo certamente rese molto elevate, se parliamo di kg ad ettaro o latte per vacca, ma poi se parliamo di sostanza secca la produttività diminuisce. Lasciamo perdere il benessere animale. In realtà, lo stesso concetto di qualità va messo in discussione. Usiamo ancora strumenti vecchi (il quintale, l’ettolitro) mentre dovremmo usare nuovi metodi, come l’acqua, la sostanza secca, l’energia..

Se qualcosa va storto, il sistema non è resiliente. E se le disponibilità d’acqua diminuiscono? Lo abbiamo visto in questi ultimi anni, nel Nord come nel Sud Italia. Tanto per cambiare scenario, mi viene in mente l’esempio della risaia di Vandana Shiva, simile peraltro a quello che si può osservare nelle nostre zone risicole. Nella risaia di un tempo, il riso coesisteva con altre erbe commestibili, o usabili per nutrire qualche animale, v’erano pesci, rane, chiocciole, anatre e oche, gli alberi piantati sugli argini davano banane, manghi, papaie e ananas, e magari qualcos’altro. Il riso prodotto non era tantissimo, ma il prezzo era accettabile e la famiglia di contadini, che magari aveva anche qualche altra coltura, se la cavava accettabilmente. In ogni famiglia, e nel villaggio, si producevano varietà diverse di riso, da quelle precoci a quelle tardive. Poi sono arrivati i risi ibridi messi a punto dall’International Rice Research Institute (IRRI), che producevano tanta granella, ma volevano anche concimi, antiparassitari e diserbanti. E bisognava comperare la semente ogni anno. Sono scomparsi i pesci, le rane e le chiocciole, le anatre e le oche. Via gli alberi da frutto, uccisi dai prodotti chimici o tagliati via per guadagnare qualche metro quadrato. Cala il prezzo del riso, il guadagno scarso non permette nemmeno di comperare un po’ di carne. Non c’è il denaro per pagare i fornitori. Tanti si suicidano, milioni emigrano negli slums delle grandi città. Di questa faccia della Rivoluzione Verde all’Università non parla nessuno.

Nella narrativa del progresso agricolo si è sempre e soltanto guardato ai kg / ha del riso convenzionale rispetto al biologico, ma non si è mai parlato di tutti gli altri prodotti, o del crollo dei prezzi, né dell’esodo indotto.

  1. L’agricoltura marginale tradizionale delle zone interne (da noi in Italia) e delle aree difficili del pianeta. Qui l’agricoltura intensiva non è mai arrivata e le rese delle colture / allevamenti sono modeste. Il sistema convenzionale tradizionale non è però perfetto – l’agricoltura itinerante uccide la foresta e l’eccesso di bestiame distrugge i pascoli – l’agricoltura biologica può addirittura aumentare le rese di alcune colture e/o introdurne di nuove. L’agricoltura biologica può aumentare la complessità dei sistemi e poi aprire nuovi mercati più redditizi. Addirittura, l’introduzione dell’agricoltura biologica significa rese più alte, output maggiori e maggiore utilizzo di forza lavoro – che non è un costo, ma una opportunità, in Italia come in Malawi.

Prima di fare comparazioni, dobbiamo chiederci: che tipo di innovazione è l’agricoltura biologica? E’ una innovazione “semplice” che non richiede mutamenti strutturali? Se fosse così si potrebbe misurare con strumenti di breve periodo, come la resa (in kg/ha, kg/capo) o il Margine Lordo (Valore del prodotto – costi correnti). Invece no, l’agricoltura biologica è una innovazione complessa, di lungo periodo, che richiede adattamenti strutturali, modifiche dell’uso del suolo, introduzione di nuove attività (si fa per dire, potrebbe trattarsi di reintroduzione di attività a suo tempo abbandonate).

In sintesi, l’agricoltura bio è una innovazione di lungo periodo, strutturale, che non può essere comparata con le varie forme di agricoltura convenzionale, ed è assolutamente sbagliato fare dei raffronti utilizzando la resa ad ettaro, per di più su un anno solamente.

Reddito: in generale, l’agricoltura biologica vende a prezzi uguali o superiori a quelli dell’agricoltura convenzionale, per una serie di considerazioni tecniche e per strategie di marketing. Ciò fa sì che il reddito del sistema biologico nella sua interezza possa essere almeno uguale a quello del prodotto convenzionale. Ciò vale anche nei paesi in via di sviluppo, dove l’agricoltura bio in primis rappresenta migliore alimentazione dei produttori, e nel mercato urbano i consumatori già riconoscono le differenze – in genere per ciò che riguarda il sapore, la consistenza e la conservabilità del prodotto biologico. Dato in contemporanea l’annullamento della spesa per concimi, antiparassitari, gasolio, ecc., il reddito agricolo è uguale o migliora. Ciò vale per il sistema arrivato alla sua completezza. Nella fase iniziale di conversione (che può essere più o meno lunga), vi possono essere costi emergenti e produzioni / incassi minori. In questi anni, la conversione va comunque vista come un investimento. Come in viticoltura quando si pianta una nuova piantagione: i primi anni di impianto e potature rappresentano solo un costo. La vigna darà l’uva dopo alcuni anni e il vino dopo altri anni ancora. Come si può comparare un anno del sistema biologico con un anno del sistema convenzionale?

Visto quanto sopra, è corretto che l’agricoltura biologica abbia dei sussidi, ma non perché è meno produttiva o meno redditizia.

Durante la fase di conversione, di tre o anche più anni, vanno concessi contributi in conto capitale per l’acquisto di macchinari, costruzioni ecologiche, impianti e laboratori, cioè per investimenti. Vanno poi erogati pagamenti diretti per i miglioramenti ambientali. Quanto? Qui sarebbe interessante studiare ed acquisire dati biologici sull’agrosistema. Quanto vale una farfalla?

Successivamente, usciti dalla conversione (che secondo me in realtà non finisce mai), al produttore bio va riconosciuto un pagamento forfettario calcolato sulla base del contributo alla biodiversità, alla bellezza ed alla complessità dell’agro-sistema ricreato, alla impronta ecologica.

Perché allora qualcuno in Europa ha deciso di calcolare per l’agricoltura biologica un sussidio a ettaro comparando il Margine Lordo di un anno del biologico con un anno del convenzionale, generando la convinzione che il biologico è sempre e comunque inefficiente? Risposta: perché è stato facile, perché non v’erano conoscenze su molte colture e perché questo approccio disaccoppiato andava bene (quasi) a tutti.

Circa la capacità del biologico di nutrire la popolazione del pianeta, fin dall’inizio l’agricoltura biologica è stata voluta anche dai consumatori e dai medici, in un’ottica di sana e salubre alimentazione. La presa di coscienza dei consumatori è fondamentale. Per la grande maggioranza dei Paesi in via di sviluppo si è già detto: l’agricoltura biologica permette una migliore alimentazione, e garantisce resilienza nelle situazioni di crisi.

Inoltre, già oggi si produce troppo. Almeno 6 i fenomeni da considerare: a) l’alimentazione animale fatta con prodotti edibili dall’uomo, b) le perdite in campo post raccolto, c) le perdite lungo la catena d) lo scarto alimentare – tutto quello che le famiglie comprano e poi buttano via, e) l’eccessivo consumo di carni, latte e derivati (prodotti su pascoli strappati alle foreste o con soia e cereali coltivati su terreni già afforestati) , f) l’obesità e il sovrappeso.

Per ciascuno di questi aspetti vi sono dati e studi, in quasi tutti i paesi del mondo. Il modello agro-alimentare occidentale ha un impatto nefasto sul pianeta e le malattie legate alla cattiva alimentazione hanno un impatto sociale ed economico enorme. Come si risponde? Non con l’invito alla moderatezza, ma con nuove medicine prodotte spesso dalle stesse società che controllano la produzione di sementi, fertilizzanti e agrochimici. Un’economia “circolare” che di sano ha ben poco.

L’agricoltura biologica può quindi nutrire il mondo, se anche i consumatori prenderanno coscienza delle conseguenze ambientali, sociali, economiche e sanitarie del loro comportamento alimentare.