LE FORME DELLA DISTRIBUZIONE DEL BIOLOGICO E LA LORO EVOLUZIONE

Gennaio 26, 2025 7 Di Giuseppe Canale

Qui di seguito gli appunti per la mia relazione al seminario tenutosi a Bologna il 15 dicembre scorso nell’ambito di Regenera. Sarò grato a chi vorrà correggere eventuali inesattezze e integrare con le proprie testimonianze e/o considerazioni questo quadro inevitabilmente parziale.

Quando negli anni ‘70 e agli inizi degli anni ‘80 del secolo scorso i primi produttori italiani di un biologico in progress cominciarono a operare, non c’erano ancora strutture di vendita dedicate a questo tipo di produzione. Talvolta c’era un giro di conoscenze a cui vendere direttamente l’eccedenza di quel poco che si produceva. Racconta Renzo Garrone a proposito della sua esperienza nella occupazione delle terre di Monte Peglia: “ Fin da subito decisi di non vendere più il furgone. Cominciai a usarlo per lavorare, invece, portando a Genova e a Roma formaggio, vino, olio buono, da vendere. Una volta al mese facevo un viaggio e vendevo ai privati. Andai avanti per parecchio tempo, con queste forme di sopravvivenza “. Se non bastava gli unici rivenditori potenziali erano le erboristerie e il circuito dei negozi-spacci di prodotti naturali e per la macrobiotica come: i Centri Est-Ovest (una associazione per la diffusione della Medicina Tradizionale Cinese e della macrobiotica) a Torino, Firenze e Roma; il circolo La Biolca a Padova; negozi come Il Girasole e Il Papavero a Milano; Ananda Samgham a Firenze; le cooperative COAP di Torino e Il Sole e la Terra di Bergamo…

Erano gli anni in cui, come sostiene Martin Halsey: “La macrobiotica ha avuto il merito di avere introdotto anche in Occidente e in Europa il concetto di alimento biologico, cioè privo di residui chimici, coltivato in modo sano con grande attenzione alla qualità….Aziende come La finestra sul cieloFior di lotoProbios hanno iniziato così, sono state tra le prime a credere in questa scelta..”.

Sono quelli gli anni del disastro dell’ICMESA di Seveso (1976) ma anche dell’interesse per le cure naturali e dell’erboristeria di Maurice Messèguè.

Non stupisce quindi che il convegno del 1983 nel corso del quale si decise la costituzione della Commissione Cos’è Biologico si sia tenuto nel 1983 nel corso della fiera Herbalist che si svolgeva a Firenze.


Negozi, Mercati e altro

Gli anni ‘80 vedono un grande attivismo dei produttori bisognosi di trovare uno sbocco per i loro prodotti ma anche di far conoscere le loro idee. Sono quelli in cui cresce, si consolida e si struttura un primo ecosistema di produzione, trasformazione e distribuzione del biologico.

Ma non sono solo i produttori a muoversi come dimostra il caso del negozio L’albero del Pane di Roma (1978) che diventerà la base di Aam Terranuova, la rivista che avrà un ruolo cruciale nella storia del biologico italiano. Come ricorda Rosalba Sbalchiero: Avevamo bisogno di trovare dei prodotti biologici a prezzi accessibili. E’ stato allora che abbiamo cominciato ad andare in giro per l’Italia per cercare fornitori. In questi giri abbiamo incontrato delle persone che si interessavano di agricoltura e siamo venuti in contatto con il gruppo che aveva dato vita al numero zero di Aam”.

Il 1978 è lo stesso anno in cui Gino Girolomoni apre a Urbino il negozio di Alce Nero, la cooperativa da lui fondata l’anno prima: ancora più uno spaccio che un negozio [ Massimo Orlandi, La terra è la mia preghiera, pag. 78 ].

In questa fase il protagonismo dei produttori si manifesta molto spesso in forme cooperative.

Nel volgere di pochi anni nascono alcune delle cooperative più famose del biologico: nel 1978 la cooperativa Otto Marzo, nel 1980 La Terra e il Cielo, nel 1981 Valli Unite, nel 1984 Iris bio,…aggregazioni di produttori talvolta già attive di fatto da qualche tempo. Ci si organizza anche in strutture commerciali più grandi come le Cooperative El Tamiso a Padova (1984), Il CONFABI in Friuli VG (1984), il Consorzio Produttori Biologici dell’Emilia Romagna Il Salto (1987), in Sicilia Arabios ( che si trasformerà in una cooperativa nel 1988 )… che organizzano gli scambi tra i soci e la commercializzazione del biologico su scala più ampia. Cominciano a nascere alcuni trasformatori come Germinal e Ki (poi Ki group), arrivano le farine e la pasta integrale della cooperativa Alce Nero di Girolomoni, il parmigiano del Caseificio sociale Santa Rita…. Ovunque aprono spacci e negozi. Anche in piccoli centri come, ad esempio, Tortona sorge la cooperativa La Buona Terra che organizza interessanti iniziative culturali e apre un suo negozio dove oltre al biologico si potevano trovare consigli in relazione alla dieta, alla salute, alla cucina. .

L’offerta del biologico si amplia e si rafforza in molte regioni anche per opera dei Coordinamenti regionali promossi da AamTerranuova, come nel caso del Coordinamento Toscano che verso la metà degli anni ‘80 apre un suo punto vendita. Mimmo Tringale ricorda che:  il coordinamento toscano si fece promotore del primo negozio di prodotti biologici a Firenze. Il negozio era gestito interamente da un gruppo di volontari e il ricavo delle vendite andava interamente ai produttori, tranne una quota minima che serviva per pagare affitto e bollette “. Sempre a Firenze nel 1984, grazie a Giannozzo Pucci, nasce la Fierucola del Pane, il primo mercato contadino [ si veda il libro di Ilaria Agostini: Il diritto alla campagna ] a cui faranno subito seguito altre iniziative simili come la prima fiera contadina del biologico a Senigallia.

In questi stessi anni nascono anche alcuni grossisti. Nel 1987 a Bologna nasce Il Baule Volante che prende avvio importando in Italia i prodotti di Rapunzel. Dal filone antroposofico – biodinamico sempre nel 1987 nasce la cooperativa Ariele (1985) di Conegliano, da cui nascerà GEA che poi darà vita a ECOR spa.

Sono gli anni dei disastri di Bhopal (1984) e di Chernobyl (1986) e qui da noi dello scandalo del vino al metanolo (1986) e l’interesse per il biologico cresce tanto che nel 1989 ci sarà la prima edizione del SANA di Bologna.

Il biologico comincia a dare fastidio tanto che si giunge, a seguito della circolare Zarro (1988 ), a sequestri e denunce in tutta Italia. Ma ormai il biologico è maturato nelle sue regole ( il primo disciplinare del biologico “Cos’è biologico” è del 1985), nella sua rappresentanza (Aiab viene fondata proprio nel 1988), nella sua capacità di suscitare il consenso dell’opinione pubblica. Grazie alla federazione dei Verdi, che nel 1987 era riuscita a portare 12 deputati e 2 senatori in Parlamento, la circolare Zarro viene ritirata. Finchè esce poco dopo la direttiva europea (CE) 2092/91 che riconosce e regolamenta il biologico in modo omogeneo su tutto il territorio di quella che diventerà l’Unione Europea.

Così gli anni ‘90 vedono una forte crescita della rete di vendita specializzata nel biologico. Già nel 1993 Biobank censisce 682 negozi bio. Ma, pur in assenza di una significativa forma di concorrenza da parte di altri soggetti, non mancano le difficoltà e gli insuccessi dovuti probabilmente anche all’inesperienza, come nel caso del negozio La Buona Terra, di cui abbiamo parlato, che chiuderà dopo alcuni anni dalla sua apertura. Nonostante ciò il loro numero continuerà a crescere fino a arrivare a 1.437 nel 2017 per poi decrescere fino a 1.022 nel 2023 (dati Biobank).


La GDO

La regolamentazione europea del biologico e l’emergere di un interesse sempre maggiore di una parte dei consumatori, che sarà ancor più stimolato dallo scandalo della “mucca pazza” nel 1996 (quando fu dimostrato il salto di specie della BSE dagli animali all’uomo, tanto che il 17 novembre del 2000 il governo italiano vieta l’importazione di carne), induce la GDO a entrare in modo significativo nel settore. Secondo la vulgata la prima iniziativa rilevante risale al 1992 quando COOP introduce l’ortofrutta bio dapprima col marchio del produttore poi sotto il marchio di fantasia “naturali biologici”. Ma c’è chi come Antonio Corbari (già presidente Aiab) ricorda: “ Il primo GDO che vende il bio a inizio anni ’90 non è la Coop o Esselunga ma Carrefour che allora si chiamava Euromercato a Carugatee per brevi periodi anche quello di Assago e di Paderno Dugnano. Ho venduto loro fino al ’95-’96…fino a quando entra in scena Berlusconi che si compra Standa, Euromercato, Supermercati brianzoli (intervista inedita). Ad ogni modo un numero sempre maggiore di catene inseriscono l’ortofrutta bio nel proprio assortimento. Nel 2000 saranno 1.439 i supermercati che lo fanno insieme a un numero sempre maggiore di referenze fresche e non (Focus 2024 Biobank ). Finché nel 1999 Esselunga scende in campo più decisamente con la sua linea Esselunga Bio, seguita poco dopo da Coop con la linea “viviverdebio” e da tutte le principali catene. Tuttavia dopo un breve slancio iniziale si assiste a un lungo periodo di rallentamento, allora si diceva che la GDO “stava alla finestra”, segnato dalla marcia indietro di Esselunga voluta da Bernardo Caprotti, che portò all’estromissione del figlio Giuseppe e della sua squadra, e dal crack (2004) della cooperativa Mustiola di Cesena fondata nel 1984 [ Alberto Berton, La storia del biologico, pag 99 ]. Delle cause di quel rallentamento sono state date varie spiegazioni ma comunque nel 2014 ci fu un risveglio rapidissimo con tre anni di crescita delle vendite a due cifre con punte del 43% annuo. Secondo Rosa Maria Bertino (Biobank) questo trend è stato agevolato da vari fattori. Private Label:entrano sul mercato linee bio con centinaia di prodotti. Poi tutti i grandi produttori si sono messi a fare il bio e anche i piccoli e medi produttori si sono in seguito accodati per non restare fuori da questa segmento. Infine c’è stata un’enorme massa di prodotto bio, sia a marca del distributore che del produttore, che è entrata nella GDO a prezzi convenienti che ha intercettato nuove fasce di consumatori e ne ha anche sottratto ai negozi specializzati.

Cosicchè tra il 2011 e il 2020 le posizioni nel Bio di GDO e Specializzato si sono ribaltate.

Nel 2011 la quota di mercato del canale specializzato era del 45% mentre quella della GDO era del 27%. Invece nel 2020 la quota della GDO era salita al 47% mentre quella dello Specializzato era scesa al 21%.

Secondo Retail Watch lo scenario che ha caratterizzato il mercato del biologico per anni e che ha avuto un impatto negativo sugli operatori specializzati è stato dovuto a questi fattori: Prezzi al pubblico non competitivi dei prodotti equivalenti a quelli della GDO ; Condizioni di acquisto meno vantaggiose rispetto a quelle delle grandi catene di supermercati ; Mancanza in assortimento di prodotti dell’industria di marca, ricercati dai consumatori, per la preferenza data a quelli artigianali ; Conseguente riduzione delle vendite che ha innescato il circolo vizioso della perdita di fatturato.

Inoltre questo ribaltamento ha inciso pesantemente sui rapporti coi produttori che da protagonisti, quali erano stati all’inizio e per molti anni, si sono trovati ad essere sempre più determinati nelle loro scelte e nelle loro possibilità dalle esigenze della GDO. In questi ultimi ultimi tempi è stata poi denunciata persino una stretta dei prezzi al produttore per il bio maggiore di quella per il convenzionale.


Vendita diretta

Sarà forse un caso ma il rallentamento agli inizi del nostro secolo dell’impegno della GDO nel biologico di cui abbiamo parlato presenta una singolare coincidenza con, grosso modo, il periodo di maggior sviluppo Gruppi di Acquisto Solidali nati dal movimento altermondista della fine del secolo scorso quando al summit del WTO del 1999 a Seattle entra in scena il movimento No Global. In Italia basti ricordare che quello stesso anno nasce la Rete Lilliput tra i cui obiettivi c’è quello di promuovere reti locali di economia solidale tra realtà presenti sul territorio come le Botteghe del Mondo, i Gruppi di Acquisto Solidali, gli agricoltori biologici, la finanza etica, il turismo responsabile, le cooperative sociali, i bilanci di giustizia, ecc.

Secondo Jason Nardi Nel 2014, dopo vent’anni dalla fondazione del primo, i GAS censiti in Italia erano un migliaio, anche se quelli effettivi erano probabilmente almeno il doppio. Oggi forse si sono stabilizzati sui 3000, ma è difficile dare una stima della misura del fenomeno…..nel 2024 i gruppi d’acquisto solidali hanno “tenuto”, anzi hanno dato segni di ripresa. Il problema principale però è che l’età media è piuttosto elevata e prevalgono gli over 50-60 ” . Va però segnalato che alcuni dei protagonisti di quell’esperienza, come ad esempio Vincenzo Vasciaveo (Desr parco Sud Milano), si mostrano assai meno ottimisti, sostenendo che: “ Da una decina di anni è cresciuta la routine e la disillusione dei GAS e il mercato ha imparato ad assorbirne le pratiche”.

Ma i GAS non esauriscono di certo le forme di vendita diretta. Innanzitutto occorre ricordare che dal mondo del consumo critico e solidale sono gemmate anche esperienze interessanti come: i mercati di Campi Aperti e Genuino Clandestino, Arvaia la prima CSA italiana, Camilla il primo emporio di comunità italiano, con le relative reti.

Più in generale bisogna ricordare che, come sostiene ISMEA nella sua indagine 2024 su “Il biologico e i mercati contadini”: “ Tra i canali di distribuzione, anche la filiera corta svolge un ruolo importante per la diffusione dei prodotti biologici, e lo fa in particolare attraverso il modello distributivo della vendita diretta….. G.A.S. , mercati contadini e rionali, punti vendita aziendali. Il modello in questione, eliminando totalmente o in gran parte gli intermediari commerciali, promuove l’instaurazione di un legame diretto e privilegiato tra produttore e consumatore.……I mercati contadini si configurano come il canale di vendita diretta maggiormente frequentato dai consumatori…”. L’indagine ha riguardato i mercati di Campagna Amica sorti nel 2009 per iniziativa di Coldiretti ma dobbiamo qui ricordare anche i Mercati della Terra lanciati da Slow Food già nel 2004, così come quelli già citati di Campi Aperti. Insomma si tratta di una realtà che ha un suo rilievo ma di cui ignoriamo quasi totalmente le dimensioni quantitative ed economiche, salvo azzardare stime assai discutibili.


NaturaSì

Parallelamente all’ingresso della GDO nel biologico nel 1992 nasce a Verona L’Istituto Italiano di Reforming, divenuto poi NaturaSì con lo scopo di creare una rete di supermercati biologici. L’idea era quella di creare una catena di piccoli supermercati in franchising che costituissero un’alternativa rispetto ai tradizionali negozi specializzati sorti negli anni precedenti. Il primo supermercato NaturaSì aprì a Brescia nel 1995.

Intanto ECOR spa, nata nel 1998 per effetto di un’operazione di fusione tra quattro aziende operanti nel settore e GEA della Libera Associazione Antroposofica Rudolf Steiner (oggi Libera Fondazione Antroposofica Rudolf Steiner, L.F.A.R.S.), aveva acquisito nel 2008 il concorrente Baule Volante, rafforzando la propria posizione di leader della distribuzione all’ingrosso.

Dalla fusione di queste due realtà dominanti del canale specializzato, ECOR leader della distribuzione all’ingrosso e NaturaSì la principale insegna di supermercati bio, nasce nel 2009 ECOR-NaturaSì. Da ricordare che già nel 2002 ECOR aveva lanciato il marchio commerciale B’io che nel 2010, dopo la fusione, si trasforma in CuoreBio. Ma dopo il 2020-21 questi negozi sono stati tutti riconvertiti a insegna NaturaSì. Tra le acquisizioni di aziende storiche vanno segnalate anche quelle di Fior di Loto srl e La finestra sul Cielo che nel 2019 verranno a costituire insieme a Baule Volante la sub holding BiotoBio.

Da segnalare anche le operazioni aventi ad oggetto reti di vendita come: Bioessere S.r.l., operante tramite numerosi punti vendita specializzati operanti in Lombardia e nel Lazio;Bio&Logico S.r.l., operante con numerosi punti vendita nelle province di Bologna e Firenze, e titolare di Tuttobio S.r.l. ; AG Food S.r.l., operante con cinque punti vendita specializzati a Roma. L’ acquisizione di Biobottega e Piacere Terraavvenuta nel 2019 e altre ancora.

La concentrazione in un solo raggruppamento di così tanti operatori, a cui vanno aggiunte grandi aziende agricole come Di Vaira e Cascine Orsine e ultimamente anche la società di e-commerce bio Portanatura, ha determinato in un mercato tutto sommato piccolo una situazione di tipo monopolistico che è da vedere quanto abbia giovato sia al settore sia alla stessa Holding, che ha attraversato recentemente serie difficoltà.

Ultimamente sono intervenuti due eventi particolarmente significativi da valutare: l’investimento non puramente finanziario di Bonifiche Ferraresi nel capitale dell’azienda e la cessione a Probios della sub holding BiotoBio che comprende come già detto tre aziende del settore salutistico: Baule Volante, Fior di Loto e Finestra sul cielo.

Sta di fatto che nella distribuzione al dettaglio NaturaSì resta l’unica grande catena specializzata con 356 punti vendita affiancata da sole tre piccole catene ( Biosapori, Melaverdebio, e Naturplus, più il circuito dei negozi macrobiotici ) facendo mancare una vera concorrenza. Discorso non molto diverso può essere fatto nel caso di Probios per quanto riguarda la distribuzione all’ingrosso.


e-commerce

In questi ultimi anni ha fatto parlare molto di sé lo e-commerce anche per quanto riguarda il settore alimentare. Molti produttori, anche del biologico, hanno creato vetrine e siti dedicati alla vendita on-line come nel caso degli agrumi o della pasta o di una vasta gamma di prodotti anche freschi come nel caso del produttore-trasformatore Alce Nero SpA. Sono nate anche aziende specializzate nel fresco come la già citata Porta Natura. Tra le più note ricordiamo qui Bio Express, che da Lagundo (BZ) rifornisce un’ampia zona del Nord-Nord Est e Roma, e Cortilia la food tech company che però non tratta solamente il biologico. Pur essendo questo un canale che continua a crescere, secondo Nomisma nel 2022 faceva segnare vendite bio per soli 78 milioni di euro.


Il mercato del bio nel 2023

Il quadro attuale del biologico vede l’Italia al decimo posto nella Top Ten dei Paesi a maggiore consumo di prodotti biologici con una quota di mercato del 3,5% sul totale dei consumi. Davanti a noi, la Germania col 6,4% e la Francia col 6,5% di market share. Per non parlare della Danimarca che si conferma il Paese più biologico al mondo con una quota di mercato superiore al 10%. Per di più si tratta di una domanda stagnante scesa al 3.5% dal 3,6% del 2022, anche se nel 2023 c’è stata secondo Nomisma una leggera ripresa delle vendite

Secondo i dati ISMEA, negli ultimi 5 anni la spesa di prodotti biologici veicolata dalla GDO è passata dal 60,2% al 64,6%, quella dei discount dal 6,1% al 14,1%, mentre quella dei negozi tradizionali è passata dal 33,7% al 21,3%.

Dal canto suo Biobank afferma che nel 2023 i negozi specializzati erano 1.022 di cui 419 legati a reti di vendita e 603 indipendenti. Da notare che nel 2023 l’insieme dei negozi è diminuito del 7,8% rispetto al 2022 riportando il loro numero al livello del 2003 e che dal 2017, anno della loro massima espansione, si sono persi oltre 400 negozi .

(dati disponibili a dicembre 2024)

Piaccia o meno con questi numeri il mercato lo fa la GDO insieme a NaturaSì. Per gli altri l’unica strategia possibile è quella della differenziazione tra le cui leve ogni dettagliante deve saper trovare la combinazione più opportuna.

Retailwatch ritiene comunque assai improbabile che il segmento possa sfondare nel breve periodo la soglia del 4% di incidenza perché l’erosione del potere di acquisto dei consumatori costringe molti clienti a cercare occasioni di risparmio che il bio spesso non garantisce.


Oltre il mercato

Ma non c’è solo questo. Con il Green Deal, la strategia Farm2Fork e, più in particolare, il suo obiettivo del 25% di conversione della SAU agricola europea al biologico entro il 2030, era lecito pensare che ormai il biologico stesse realizzando la sua missione storica. Così non è stato. Gli attacchi sono cominciati quasi subito, favoriti anche dalle conseguenze dell’aggressione russa all’Ucraina. Pochi anni dopo il lancio del Green deal tira una brutta aria. Solo per citare qualche fatto, il governo francese vuole chiudere la Agence bio, l’agenzia pubblica preposta allo sviluppo e alla promozione dell’agricoltura biologica. Al tempo stesso il presidente della Fédération National de l’Agriculture Biologique (FNAB) dichiara che l’agricoltura biologica è in pericolo. Per non parlare della grottesca montatura, contro l’ex Commissario Ue Frans Timmermans, ripresa proprio in questi giorni dai nostri quotidiani governativi e subito sottoscritta dai massimi esponenti di Coldiretti ( vedi: Fondi green, le associazioni rispondono: nessuna regalia da Timmermans – Vita.it ). Peraltro va da tempo avanti qui da noi una campagna denigratoria contro le agricolture bio che ha coinvolto anche insospettabili esponenti della scienza e della cultura, e che gode di vasti appoggi e apparati propagandistici. Anche la GDO ( altrimenti detta Distribuzione Moderna ) che fino a poco tempo fa aveva cavalcato l’onda lunga del biologico ha ridotto fortemente le nuove referenze e gli investimenti su questo fronte. Come denuncia Fabrizio Piva: “ Il modello di sostenibilità che la DM odierna offre al consumatore confonde il biologico nella miriade di prodotti, presentati come sostenibili in virtù di una riduzione degli imballaggi, dei consumi energetici, della certificazione di parità di genere, dello spreco o di altri comportamenti, sia chiaro, virtuosi ma che non “raccontano” l’approccio alla sostenibilità dei prodotti biologici, multidisciplinare e olistico ovvero tale da corrispondere alla maggior parte degli SDG’s (obiettivi di sostenibilità) fissati in sede ONU ”.

E poi c’è il greenwashing vero e proprio, c’è l’ipoteca di Coldiretti e delle sue propaggini su Federbio e su NaturaSì, e altri fatti inquietanti come, ad esempio, segnala Franco Ferroni ( vedi Terranuova febbraio 2025 pag. 71). A un anno di distanza dal ritiro del Regolamento europeo sull’uso dei pesticidi (SUR), non se ne parla proprio più .

Insomma sarebbe forse il caso di ripensare la ragioni e le forme di una prospettiva che, pur essendo riuscita a dimostrare la validità dell’approccio agroecologico, rischia di essere ridimensionata. Come fanno temere anche le voci di rinuncia alla certificazione, se non addirittura di ritorno al convenzionale, di vari produttori ( vedi ad es. https://greenplanet.net/biologico-consumi-in-aumento-ma-rese-in-calo-in-lombardia-le-imprese-bio-diminuiscono/ ).