AGRICOLTURA BIOLOGICA O RIGENERATIVA?
La nascita negli USA della agricoltura “organica” ( da noi invece definita “biologica”) viene fatta risalire all’incontro tra il movimento alternativo radicale degli anni ‘60 del secolo scorso e la rivista Organic Gardening and Farming pubblicata da J.I. Rodale dal 1942. Rodale, che potè avvalersi della collaborazione di eminenti personalità della cultura agronomica eterodossa degli anni ’30 come Albert Howard e Ehrenfried Pfeiffer, aveva creato la Soil and Health Foundation per promuovere le ricerche sull’agricoltura organica ( cfr. Alberto Berton, La storia del biologico. Una grande avventura, Jaca Book, 2023, pag. 61).
La prima certificazione biologica negli Stati Uniti è avvenuta all’inizio degli anni ’70 a livello statale ( nel senso di singoli stati della Federazione ) e privato. Il primo standard organico nazionale (federale) è stato stabilito dal Congresso con lo Organic Foods Production Act (OFPA) del 1990, che ha portato alla creazione del National Organic Program (NOP) sotto la responsabilità del Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti (USDA). La certificazione USDA Organic è entrata ufficialmente in vigore solo il 21 ottobre 2002, rendendo obbligatorio per tutti i prodotti etichettati come “biologici” rispettare rigide linee guida federali. Prima di questo, varie organizzazioni private e statali, come California Certified Organic Farmers (CCOF) (fondata nel 1973) e Oregon Tilth (fondata nel 1974), fornivano la certificazione biologica in modo indipendente.
Ma già pochi anni dopo Michael Pollan nel suo famoso libro del 2006 (M. Pollan, The Omniver’s Dilemma. A Natural History of Four Meals, Penguin Press, pagg. 149 e segg.) si chiedeva se non vi fosse una contraddizione tra l’industrializzazione della catena alimentare biologica e gli ideali del “movimento per il biologico” americano.
La situazione non dev’essere migliorata negli anni seguenti se ancora nel 2014 il Wall Street Journal denunciava che secondo un rapporto interno del Dipartimento dell’Agricoltura: “ Dei 37 enti che quest’anno sono stati sottoposti a una revisione completa da parte del Dipartimento dell’Agricoltura, ben 23 sono stati segnalati, perché non fanno rispettare correttamente i requisiti richiesti alle aziende agricole e non effettuano appropriate ispezioni in loco”.
Non stupisce quindi che Robert Rodale, figlio di J.I. Rodale, abbia coniato il termine ” organico rigenerativo” per descrivere un approccio olistico all’agricoltura che incoraggia l’innovazione continua e il miglioramento delle misure ambientali, sociali ed economiche. Nel 2018 è stato introdotto un nuovo standard olistico e di alto livello per la certificazione agricola, il Regenerative Organic Certified ™, o ROC, che è supervisionato dalla Regenerative Organic Alliance. Questa è un’organizzazione no-profit che include organizzazioni e marchi come Rodale Institute, Dr. Bronner’s e Patagonia.
Peraltro la nuova normativa USDA – NOP entrata in vigore il 19 marzo 2024 non sembra aver eliminato l’esigenza di una ulteriore certificazione “Rigenerativa” come la ROC. Ancora pochi giorni fa infatti Sarah Compson del world board di IFOAM Organics International sosteneva che: “ L’ascesa del movimento rigenerativo è certamente nata negli Stati Uniti in risposta a vari problemi presenti nel Paese, tra cui le carenze nella regolamentazione biologica che causano una frustrazione continua poiché la base normativa biologica si è in qualche modo allontanata dai principi del movimento biologico ”.
Da noi permane ancora una notevole confusione sull’argomento, il che, tra l’altro, permette perfino a Bayer di presentarsi come campione dell’agricoltura rigenerativa.
Così abbiamo pensato che fosse opportuno conoscere meglio lo European Regenerative Organic Centre, creato nel 2022 da Davines a Parma con la collaborazione del Rodale Institute, e abbiamo chiesto al suo direttore Dario Fornara di parlarcene.
Dario Fornara è Direttore di Ricerca del Gruppo Davines – Rodale Institute, European Regenerative Organic Center (EROC) a Parma. Ha conseguito un dottorato di ricerca in Ecologia presso l’Università di Pretoria, Sudafrica nel 2005. Nel 2006 è stato premiato con un contratto Marie Curie Post-Doc della Commissione Europea presso l’Università del Minnesota (USA) e la Lancaster University (UK). Nel 2009 ha ottenuto un incarico di docente in Ecologia Terrestre presso l’Università di Ulster (UK). Tra il 2014 e il 2022 ha lavorato presso l’Agri-Food Biosciences Institute (AFBI) (UK), come direttore del programma di ricerca in ecologia terrestre e biogeochimica del suolo. Dario è autore e coautore di oltre 90 pubblicazioni scientifiche ed è stato coinvolto in networks di eccellenza, tra cui il gruppo consultivo tecnico (TAG) sui cambiamenti delle riserve di carbonio nel suolo del partenariato LEAP promosso dalla FAO, il gruppo di lavoro della Global Soil Partnership (GSP) sulla gestione del carbonio organico nel suolo e il Gruppo di ricerca integrativa della Global Research Alliance.
Rigenerativo e biologico sono due termini che devono andare insieme
intervista a Dario Fornara*
Giuseppe Canale – 11 marzo 2025
Raccontami cosa fate sui 17 ettari del Centro e le sue 188 parcelle sperimentali.
Abbiamo cominciato a creare il nostro Centro (European Regenerative Organic Centre o EROC) nel 2022. Io sono arrivato in Italia nel febbraio di quell’anno e abbiamo cominciato a interagire con il Rodale Institute (USA) per creare un centro di ricerca qui a Parma, finanziato dal Gruppo Davines. E’ un progetto unico in Italia e in Europa. Il primo con il Rodale al di fuori degli Stati Uniti. Avevamo a disposizione questi 17 ettari. In realtà erano 10 poi sono diventati di più. Abbiamo acquisito altri ettari qui vicino. Era terra che era stata coltivata in precedenza per produrre cereali e pomodori, già un po’ degradata, un pochino depauperata per l’agricoltura intensiva ma meno rispetto ad altre zone della Pianura Padana. Quindi 17 ettari con in mente 5 obiettivi.
Il primo obiettivo era proprio quello di creare il Centro, creare le strade, i passaggi, cominciare a creare gli esperimenti scientifici, il sistema di irrigazione, e via dicendo. Fortunatamente c’era già un pozzo presente in EROC che ci consente di attingere ad acqua dal sottosuolo che è fondamentale. Quindi abbiamo creato un sistema di irrigazione, abbiamo creato delle siepi con diversi arbusti per creare biodiversità proprio a livello di paesaggio. Questo era il primo obiettivo.
Il secondo obiettivo era quello di fare ricerca e sviluppo per Davines. Noi siamo un’azienda cosmetica e quindi vogliamo utilizzare EROC per far coltivare piante che ci interessano dal punto di vista della cosmetica. Quindi coltiviamo, ad esempio, calendula, varietà di camomilla, trifoglio rosso. achillea millefolium, melissa officinalis e altre piante nelle quali andiamo poi a misurare la concentrazione di alcuni metaboliti secondari che interessano a noi , per metterli poi nella formulazione di prodotti per la pelle o per i capelli
Come fa Davines a procurarsi queste sostanze?
Davines ha dei fornitori a livello italiano e anche internazionale che forniscono le materie prime. Da circa un anno e mezzo abbiamo cominciato a certificare degli agricoltori in Italia e questo fa parte del nostro quinto obiettivo di cui parlerò tra poco. Le specie di piante che coltiviamo nel Centro le usiamo per fare dei test, per misurare la concentrazione di metaboliti secondari come, ad esempio, dell’acido rosmarinico ed altre sostanze che contengono. E quindi facciamo ricerca e sviluppo. EROC non è visto al momento come una filiera del gruppo Davines. EROC è un laboratorio a cielo aperto, è un centro di ricerca dove facciamo ricerca e anche sperimentazione. Non è visto come una filiera, anche perché la biomassa che produciamo non potrebbe essere sufficiente, i volumi che produciamo non potrebbero essere sufficienti. Anche se qualche volta è possibile. Infatti io vorrei, almeno una volta all’anno, coltivare una pianta dalla quale si estrae un ingrediente che va a finire in una linea particolare di prodotti. L’anno scorso era uno shampoo solido, quest’anno sarà un altro prodotto. L’anno scorso abbiamo usato l’estratto di achillea millefolium, quest’anno useremo un estratto di calendula.
Questo era l’obiettivo 2 per Davines: fare ricerca e sviluppo.
Obiettivo 3. Io sono in realtà uno scienziato del suolo, un biogeochimico, un ecologo, niente a che fare con la cosmetica. Sono rientrato in Italia dopo 22 anni all’estero perché vedevo l’impatto che può avere questo progetto. E’ un progetto in cui un’azienda cosmetica che raggiunge tantissime persone nel mondo, e il Rodale Institute conosciuto a livello internazionale, non profit, si mettono insieme per creare un centro di ricerca, educazione e divulgazione unico. E il progetto trasmette questi messaggi: suolo sano, piante sane, persone sane. E’ molto semplice ed ha perfettamente senso.
Immagino che non sarai solo, avrai degli agronomi, delle altre persone che ti aiutano…
Esatto. Adesso siamo un team di 4 persone. Tre agronomi che lavorano a tempo pieno e gestiscono questi 17 ettari con me e con dei lavoratori stagionali che talvolta ci aiutano perché nei periodi più intensi diventa difficile.
Come fate per gli input, in particolare per i concimi e per i semi?
Non abbiamo una stalla. Prendiamo il letame da un’azienda certificata biologica che ha le mucche. Ci forniscono il letame maturo che utilizziamo in autunno. Compriamo semi biologici per quanto riguarda la coltivazione in rigenerativo biologico.
L’ obiettivo 3, è mettere a confronto tramite esperimenti scientifici piante coltivate in modo convenzionale (quindi usando la chimica, il disturbo del suolo, non facendo le rotazioni come fanno molti agricoltori nella Pianura Padana) con piante coltivate in modo rigenerativo-biologico.
Un po’ come il Farming System Trial di Rodale?
Esatto. Diciamo che noi non facciamo gli stessi esperimenti, però il concetto è lo stesso: confrontare convenzionale con biologico-rigenerativo. E’ ovvio che il sistema cerealicolo biologico-rigenerativo non include cereali tutti gli anni, perché ci sono delle rotazioni, arrivano i legumi, ci sono le cover crops, non si disturba il suolo.
Abbiamo poi un agro ecosistema che include i pomodori sia in convenzionale che in biologico rigenerativo. Abbiamo un altro sistema misto frumento-pomodoro e girasole convenzionale che gestiamo in convenzionale e in rigenerativo.
Anche per le colture più elettive di Davines valgono gli stessi principi? Per dire, che cosa cambia per la camomilla rispetto al frumento?
Ci sono dei sistemi che si prestano all’aratura come frumento, mais, e
ci sono campi che ogni anno, magari un minimo, devono essere disturbati, magari anche solo in superficie. Per quanto riguarda invece le aromatiche medicinali come la melissa, la calendula, la camomilla, quelle non vanno arate. Cioè possono rimanere lì per qualche anno: sono piante perenni o comunque da lasciare lì e non disturbare almeno per qualche anno. in quel caso sono piante che si prestano bene al biologico-rigenerativo perchè non hanno bisogno che venga disturbato il suolo. L’unica cosa che cambia nei nostri esperimenti confrontando per esempio una camomilla convenzionale e una biologico rigenerativa sono gli input chimici. Quindi abbiamo la camomilla rigenerativa in cui non usiamo pesticidi, non usiamo erbicidi, non usiamo fertilizzanti sintetici, e quella convenzionale che rimane lì a terra anche per anni ma in cui usiamo la chimica. Abbiamo anche qui la possibilità del confronto tra qualche anno.
Come vi regolate per non avere contaminazioni dal convenzionale sul biologico-rigenerativo?
Ci sono alcuni metri di distanza tra le diverse parcelle sperimentali. Da un punto di vista scientifico è appurato che in questi esperimenti che si fanno con parcelle e che vengono replicati su campo il rischio di influenzare i trattamenti tra di loro è proprio minimo.
Per l’aspetto della ricerca che riguarda l’obiettivo 3, abbiamo diversi esperimenti. Ho menzionato l’esperimento 1. C’è un altro esperimento che abbiamo cominciato insieme a Barilla. Barilla coltiva il frumento e i ceci e noi li mettiamo in rotazione con la calendula e la melissa per capire come una rotazione di questo tipo possa influenzare la produttività e la salute del suolo.
La curiosità d’accordo, ma l’interesse di Barilla qual è?
Uno è l’interesse scientifico che condividiamo con i loro agronomi, il secondo interesse riguarda la comunicazione. Il progetto “Bello e buono” descrive la collaborazione tra Barilla e Davines, un’azienda agro-alimentare ed una cosmetica che creano esperimenti su campo per migliorare il nostro sapere.
In conclusione, l’obiettivo 3 è tutto quello che riguarda la ricerca scientifica, perché si parla di biologico-rigenerativo ma mancano dati sui benefici dell’agricoltura biologico-rigenerativa sulla biogeochimica del suolo.
Per misurare questi benefici, come l’assorbimento del carbonio, esistono delle metodiche consolidate?
Sì, esistono procedure chiare per misurare il carbonio nel suolo. Raccogliamo campioni di suolo e li mandiamo ad analizzare da un laboratorio accreditato.
L’ obiettivo 4è quello di fare educazione, training.Abbiamo fatto un corso con 12 agricoltori due anni fa e abbiamo fatto un altro corso con gli ispettori dell’ICEA, che è l’ente di certificazione forse più grande in Italia. Sono venuti da noi abbiamo fatto un corso sull’agricoltura biologica-rigenerativa e la certificazione biologica rigenerativa.
Questo vuol dire che adesso ICEA farà la certificazione ROC (Regenerative Organic Certified)?
Esatto. L’ICEA si sta organizzando per diventare un riferimento importante in Italia per la certificazione ROC (Regenerative Organic Certification).
Ma questa certificazione è sostitutiva o è integrativa rispetto alla certificazione biologica europea?
Condizione necessaria per ottenere la ROC è che un produttore dev’essere già certificato biologico. Oppure deve fare la conversione al biologico prima e appena la ottiene può chiedere di fare domanda per la ROC. In Italia per esempio se un agricoltore vuole ottenere la ROC deve prima ottenere la certificazione biologica attraverso ICEA o un altro ente certificatore. Quando la ottiene può fare domanda per ottenere la ROC
Voi di EROC siete stati forse i primi a essere certificati ROC. Mi piacerebbe capire se è una certificazione di processo, come per il biologico, o di outcome, di risultato.
Nella certificazione ROC, bisogna misurare, tenere monitorato il suolo secondo il protocollo fornito
Puoi fare qualche esempio?
La misurazione di alcuni parametri del suolo è richiesta il primo anno e poi ogni 3 anni. Parametri da misurare sono: pH del suolo, contenuto di carbonio organico, densità del suolo, tessitura del suolo. Il protocollo ROC prevede tutta una serie di controlli di vari parametri che vengono effettuati dall’ente di certificazione.
La salute del suolo è uno dei pilastri della ROC così come lo è il benessere degli animali se fossero presenti nell’azienda agricola. Così come la social fairness quindi le condizioni dei lavoratori. Per ognuna di loro c’è tutta una serie di parametri da verificare.
Sai che nel biologico c’è ancora chi fa la “prova della vanga”…
Nei nostri suoli rigenerativi già adesso dopo tre anni si colgono le differenze rispetto ai convenzionali. Nei terreni rigenerativi c’è più vita, ci sono più lombrichi, ci sono le radici delle piante ed evidenza che micro- e macro-fauna è più presente rispetto ai suoli convenzionali.
Mi risulta che anche Aboca abbia una certificazione “Biodiversity Alliance” che misura la qualità biologica del suolo.
Ci sono molte altre certificazioni. Non c’è solo la ROC, ce ne sono altre. Dovremmo lavorare per standardizzare i protocolli ed avere una certificazione unica e basata sui risultati della gestione dell’azienda agricola.
Stavi parlando della formazione…
A parte i corsi di cui ho già parlato, l’anno scorso sono passate più di 4.000 persone da noi perché poi ci sono eventi dove ci sono 800 estetisti, 500 parrucchieri, poi arrivano le scuole, oltre agli istituti agrari e le Università: Piacenza e Pisa S. Anna sono venuti a vedere. Gruppi anche europei come EIT food un hub dell’Unione europea, sono venuti e abbiamo organizzato un workshop noi al Davines Village. Diciamo che adesso EROC è conosciuto a livello nazionale ed internazionale come un centro di educazione, ricerca e divulgazione , finanziato da un’azienda cosmetica. Suona ancora strano ma è così. Infatti, ci stiamo allargando, l’azienda è ambiziosa e vuole contribuire anche al benessere degli agroecosistemi. Stiamo pensando di creare un visitor center dove ci saranno sala conferenze, uffici. E poi abbiamo progetti che riguardano l’agrivoltaico. Vorremmo mettere dei pannelli solari, probabilmente appoggiati a terra su file verticali. Occupano poco spazio e l’agricoltura viene fatta tra le file di pannelli che staranno a 10-12 metri di distanza. Quindi si produce energia elettrica e si fa agricoltura biologica-rigenerativa.
Quali benefici hanno evidenziato i vostri esperimenti?
Per esempio, i lombrichi sono gli indicatori fondamentaliper la fertilità del suolo. Abbiamo visto che il numero di lombrichi è aumentato in modo incredibile nelle parcelle trattate in biologico-rigenerativo. Ma proprio tanti, e dopo solo due stagioni. Abbiamo cominciato nel 2022, e nel 2024 abbiamo fatto i campionamenti, e non c’è confronto. Da zero, uno o due nel convenzionale fino a 60 nei riquadri rigenerativi nello spazio di mezzo metro quadro.
Un altro esempio è che il microbioma sta cambiando. Notiamo un incremento degli indicatori delle micorrize, quindi dei funghi che hanno delle simbiosi con le radici delle piante. Queste stanno aumentando in modo notevole. Questo evidenzia che la struttura sta cambiando. Abbiamo notato un aumento del contenuto di carbonio organico.
E qui arriviamo all’obiettivo 5che è quello di aiutare gli agricoltori che, in Italia e all’estero, ci forniscono la biomassa di cui abbiamo bisogno per le formulazioni cosmetiche, a certificarsi ROC. Ad esempio l’anno scorso abbiamo aiutato 14 agricoltori in Italia a certificarsi ROC. Li abbiamo seguiti anche tramite un consulente nel compilare i moduli e poi con l’ente di certificazione che era Bioagricert. Li abbiamo certificati ROC e abbiamo pagato noi le spese di certificazione.
Quanto tempo richiede la conversione? E il costo?
La maggior parte di questi agricoltori erano già biologici e poi dipende, ci vuole 7-9 mesi – un anno per ottenere la ROC. Per il costo, una volta che uno è biologico, magari con ICEA. può andare e fare tutte e due: sia il bio che la ROC tutto insieme. Costa intorno ai 1.000 euro all’anno per fare la certificazione, per rinnovarla magari anche qualcosa in meno. Dipende anche dalle dimensionidagli ettari coltivati e da altri aspetti.
Non c’è un contratto di filiera poliennale per i fornitori di Davines?
Non c’è un contratto per ora, e infatti stiamo spingendo per intraprendere questa strada e fare un contratto di almeno 3-5 anni agli agricoltori.
C’è anche gente nel biologico che torna al convenzionale
Questa è la situazione. Per cambiarla velocemente ci vorrebbe una legislazione nuova. Servono aiuti economici per agricoltori che seguono il biologico in modo da sostenere la transizione ecologica.
Anche la PAC andrebbe radicalmente cambiata, solo chi è che va a toccare gli interessi costituiti?
Serve un cambiamento a livello Europeo.
Ho visto che avete istituito un premio. Chi sono quelli che avete premiato?
Abbiamo lanciato questo premio (Good Farmer Award) nel 2022 destinato ad agricoltori con meno di 35 anni. Abbiamo ricevuto una quarantina di domande da tutta Italia, dalla Sicilia fino al Trentino, e abbiamo premiato questi due ragazzi. Una è Cascina Bagaggera che mi sembra vicina a Lecco e l’altra R.A.M in Piemonte. Sono giovani agricoltori, che hanno cominciato a intraprendere questa strada e funziona. Ma ci sono tante belle realtà in Italia. Quelle che hanno vinto il premio hanno dimostrato anche una visione allargata, fanno agricoltura ma sono impegnate sul sociale, promuovono turismo, organizzano eventi di educazione.
Purtroppo ce ne sono sempre di meno. In Francia si parla di agricoltura senza agricoltori. I giovani checché se ne dica sembra che generalmente non abbiano voglia di fare il contadino
E’ difficilissimo perché per uno che vuole iniziare da zero l’investimento è notevole.
Tu come vedi il futuro del biologico?
Quello che sento è che gli agricoltori si stanno allontanando perché non vedono il valore aggiunto di quello che producono e quindi c’è un problema anche di mercato, di consumatori, di qualità del cibo che dovrebbe avere la priorità sulla quantità. Non è semplice, bisognerebbe promuovere filiere più corte.
E’ quello: la filiera corta che parte da agricoltori che coltivano la terra in modo virtuoso seguendo i processi naturali
Quando mi chiedono che cosa è meglio: permacoltura, biodinamica, rigenerativa, biologica, io dico semplicemente che vanno bene tutte quando si seguono le interazioni naturali tra le piante e gli organismi che vivono nel terreno.
Il problema è quando si creano degli antagonismi. Rigenerativo e biologico sono due termini che devono andare insieme perché il solo rigenerativo implica che la chimica viene ancora utilizzata.
(*) Ogni eventuale errore o omissione è di esclusiva responsabilità dell’intervistatore
Come scrivevo in un altro commento, tempo fa, l’ agricoltura rigenerativa rappresenta l’ennesimo tentativo dell’agricoltura convenzionale di spostarsi sempre di più verso il biologico. Ben venga, ma il biologico non é solo l’abbandono della chimica.
Ricordo che da molti anni la Società Aboca produce erbe per la produzione di infusi e medicamenti con il metodo bio,
UN’altra osservazione circa le modalità di ricerca: l’approccio riduzionistico, con le parcelle non riflette la complessità del bio e sono anni e anni che si propone una sperimentazione, per il bio, su aziende reali.
Inoltre, e’ tempo di smetterla con gli studi comparativi e investire invece su studi di sviluppo.
Saluti,
D’accordo sull’approccio riduzionistico, poco adatto a dimostrare gli effetti del biologico, che segue i “vecchi” dettami dell’a.b. e anche sugli studi comparativi: hanno già dimostrato e lo stanno continuando a fare nel dimostrare le differenze (c’è anche l’esperimento DOK del Fibl).
Inoltre, da tecnico biologico con esperienza da oltre 40 anni, mi pare che quanto è stato presentato come agricoltura organica-rigenerativa sia “semplicemente” quello che la “vecchia” a.b. praticava prima del “successo” post regolamenti UE.
Infine mi pare che la strada della certificazione (io, ahimè, ci lavoro ancora) sia una strada perdente, per due motivi:
1. rifacendomi a Lao Tzu (+o-): quando si promulga la legge, vuol dire che è stato perso il senso di quello che si sta normando (e la legge non servirà a ritrovarlo) e la certificazione è un’ulteriore legge e ha bisogno di una norma di riferimento!
2. se si vuole fare qualcosa legato alle leggi della natura, bisogna pensare ad organizzare qualcosa di “orizzontale” (buoni fratelli che si conoscono, dove “il maggiore” aiuta “il minore”) e lasciar perdere i controlli. La “polizia” non esiste in natura, dove vige la legge della collaborazione, della compensazione, della “rete” di sostegno!